(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Month: March 2010

Ultimi

Ultima puntata, con gli ultimi santini trovati in giro. Voglio ribadire che sono tutti santini che ho trovato nei bar e che li ho pubblicati tutti.

Taverna ha una bella posa, ma quasi spavalda
Ecco un altro candidato sindaco. Santino istituzionale.
Giovanetti è l’unico di questo partito di cui ho trovato un santino. La foto è scurissima, non mi piace.
Uffa i santini standard dell’UDC proprio non mi piacciono: sono troppo grossi e hanno tutti il faccione del candidato in primo piano.
Vedi sopra, sembrano tutti uguali, io non farei caso neanche alla persona…
Ferraresi addirittura non ci sta nel santino, ne avrebbe bisogno uno più grande! Però almeno ha aggiunto uno slogan.
Pernetti sorride ma che cavolo vuol dire "Segretario collegio ingegnere architetto della provincia di Pavia" ??
Mi scuso con Saccardi ma il mio scanner non ne vuole sapere di acquisire bene il suo santino. Che a me piace.
Ferrari è un po’ triste. Il santino è senza infamia e senza lode.
Quello di Arianna è un bel santino, c’è tutto: il verde dell’appartenenza politica, il nome, la foto, la grafica un po’ stilosa. Brava, promossa.
Mi sa che anche quelli del Movimento 5 Stelle sono tutti uguali. Anche lo slogan è identico… non mi piace tanto come idea.
Idem per quelli di Rinnovare Voghera. Ragazzi io sono più critico nel giudicare le foto: non potete non dirmi che sono fototessere che avevate in casa
Vedi sopra, ma almeno la foto non è quella della patente.
Anche Vicentini non è benvoluto dal mio scanner. Sarà la carta lucida? O la mia incompetenza? Peccato perchè il santino mertia: colorato, con le informazioni, bella foto sorridente. Promosso.
Anche questo non è male. Ma era l’ultimo. Ora in bocca al lupo a tutti… io non voto a Voghera.

 

Sempre santini

Ecco la terza parte delle critiche sui santini elettorali a Voghera:

Ohibò, ma come… un santino rosso col candidato con la cravatta rossa e la barba da Che Guevara? Non c’è più religione, il mondo sta finendo…
Non ci siamo. La cravatta è un po’ retrò, ma la foto seduto… la giacca fa le pieghe. Il sorriso ce lo siamo dimenticati, la poltrona non sta bene e il color verdino dello sfondo poi… Da Todeschini mi aspettavo di meglio.
Anche da Fiori mia aspettavo di meglio. La foto è bella, ma il bianco e nero è pessimo. Un’attenuante: la scritta è chiara e precisa.
Invece Abelli in bianco e nero sta bene. La grafica è molto curata, ma lo slogan fa ridere… cosa fa, si prende in giro da solo? Se è così un punto alla simpatia, ma suona come una minaccia…
La Rocchi ha fatto un santino molto colorato. Vi assicuro che non è colpa del mio scanner la sfocatura, era proprio stampato male così.
Ammazza che faccione in primo piano. Troppo in primo piano. E poi la camicina multicolor e l’orecchino sono un po’, come dire… ineleganti.
E dai! Ma all’UDC i santini li fanno col ciclostile? Almeno Anello sorride, però sembra che debba uscire dal bigliettino ! Ma chi è il genio che ha ideato questi santini?
Diani è stato molto professional. Si mi piace, abbastanza curato.
Quello di Pozzoli è il santino, tra quelli che ho trovato, che mi piace di più. La foto è ok, lo sfondo carino, insomma ben fatto. Ma volete che un criticone come me non trovi un difettuccio? Lo slogan cosa significa? "Quello che sono". Ma che slogan è?
Il santino di Nicola non ha difetti evidenti, ma non mi soddisfa in pieno. La foto è giovane, elegante e contemporaneamente sportiva. Ma le cariche scritte a fianco sono troppo confuse: qualche punto, qualche virgola in più non guastavano. Da un "esperto in comunicazione" mi aspettavo di meglio.

 

Ancora santini

Ecco la seconda parte delle critiche sui santini elettorali a Voghera:

Chiaro, preciso, sincero. Né troppo né troppo poco. Però un poco triste.
Carino, col rosso che richiama l’appartenenza politica. Ma ci son scritte fin troppe cose. E poi lo slogan lo metterei fuori dalle virgolette.
Il design non è male, la foto è bella sorridente, ma "spara" un po’ troppo.
Mamma mia, Franco ha usato la foto della patente, avrà almeno 20 anni ‘sta foto!
Quante cose che bisogna fare….troppe? Il sorriso è tirato.
L’idea del castello come sfondo è originale, ma la figura rimane troppo piccola. Ma poi perchè hanno tutti questo vizio di scrivere "uscente" ? Non basterebbe scrivere la tua carica attuale senza aggiungere "uscente" ??
Anche lui ha usato una foto un po’ (tanto) datata.
La foto è molto bella. Per il resto anche qui non mi piace "uscente" e lo slogan tra virgolette (e per giunta coi puntini di sospensione, uno slogan deve essere deciso!). Un’altra cosa che non mi piace è "professione avvocato". Io avrei scritto semplicemente "avvocato".
Vedi sopra
 Niente di criticabile, ma neanche niente di che. Anonimo.

Domani altra puntata…

Santini

Anche a Voghera, il prossimo 28 e 29 marzo ci saranno le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale e regionale. Ho raccolto alcuni "santini" e li vorrei commentare, come sempre facendomi i fatti degli altri senza guardare i fatti miei ;-)

Clicca sulle anteprime per ingrandire la foto.

Il santino di Carbone mi piace, c’è addirittura il tricolore che fuoriesce dal logo. Lo slogan è un po’ evangelico, mi ricorda "per Cristo, con Cristo….."
Anche quello di Foresta è un onesto santino. La foto però è un po’ scura e il sorrisetto è forzato.
Oddio la foto non mi piace. La maglietta della salute dà un tocco casereccio (anche io la metto sempre), ma lo sfondo bianco è un po’ spettrale.
Pernetti vuole invece "uscire" dal santino: troppo in primo piano.
Quella di Giugliano non è male, a parte i ciuffi ribelli nella foto. Lo so ragazzi che vi piace mettere gli slogan, ma… ne vale la pena… di che cosa??? E poi la parola "cocoordinatore" è orribile.
Quello di Pino invece mi piace proprio, ma non perchè è un amico (lui sa che sarei comunque perfido e cattivissimo). La foto lo ringiovanisce, c’è un indicazione importante che molti dimenticano (la parola "scrivi" e non la parola "vota")
Il layout del santino della Azzaretti è un po’ diverso dai soliti, anche per il tipo di carattere usato. Se proprio devo fare una ciritca non mi piace l’ovale che racchiude la foto, e il foularino.
Anche Domenico mi è scaduto sullo sfondino abbagliante. Sembra la fototessera del Circolo della Briscola.
Il santino di Tura è molto "giovane": slogan, breve curriculum, riferimenti internet, foto elegante e sorridente. Unico neo: gli sono venute spalle troppo larghe…
 Miiiiii che titolone. Ma cosa vuol dire? Ma quindi sulla porta dell’ufficio ha scritto A.a.S.E.P.T.e.T.V.P.T.L ? Lo slogan è pessimo: prima mette le virgole e poi non mette neanche il punto. Per il resto tutto ok.

 Pero oggi ho criticato abbastanza… a domani…

Ancora Viale Bligny 42

Vi ricordate il mio post su Viale Bligny 42? Come potete vedere è cliccatissimo e commentatissimo.  Dopo anni di distanza tutte le volte che passo di lì in auto mi viene da dare un’occhiata a quel posto. Nel frattempo ho scoperto che si è creata anche su internet un’attenzione sul "caso" B42.

C’e addirittura una pagina su Facebook che recita : "Benvenuti nella pagina di B42, lo stabile più controverso e denso di storia di Milano. La sua collocazione, in Viale bligny 42, lo tiene a solo un km e mezzo da piazza Duomo e a 150 m dall’ Università Bocconi".

Ne hanno parlato i giornali e la tv, ecco un servizio del Tg Rai regionale:

Ed ecco un interessante articolo di Grazia che dice "un palazzo gigantesco molto vicino all’idea di Babilonia  che vi siete fatti al catechismo":

http://blog.graziamagazine.it/2010/01/15/il-mondo-di-viale-bligny-42-a-milano/

Ed è stato realizzato addirittura un breve film presentato al Festival Internazionale FILMAKER di Milano, "Storie da un edificio mondo":

http://42film.wordpress.com/

C’è chi ne ha fatto un blog:

http://edificiomondo42.wordpress.com/

Chi un’opera d’arte:

http://orticanoodles.deviantart.com/art/Viale-Bligny-42-142710812

Anche il noto artista Maurizio Cattelan ha uno studio in quel posto.

Oppure provate a cercare con Google

Insomma, quel posto è ormai leggendario.

Aneddoti 13

Ecco una carrellata di storpiature delle marche che ogni tanto mi capita di sentire in negozio.

La più citata è indubbiamente la "Hashish", che chiaramente deriva dalla italogiapponese "Asics". E dire che, come spiego qui, l’acronimo è addirittura in latino.

Pittoresca è stata la storpiatura della marca di abbigliamento da neve Vuarnet in "Guarneri". Beh, l’hanno nazionalizzata, come ai tempi dell’autarchia linguistica.

Al contrario una volta una signora mi chiede una giacca della "Dolomait", intendendo l’italianissima marca Dolomite. Ma tu dimmi…

Un altro errore di pronuncia molto diffuso è quello di dire "rebuk" per indicare la marca Reebok (che si legge "ribok"). Come i tantissimi che chiamano la famosa catena FootLocker "futlucher" anche se di "o" ne ha una sola.

Uno degli ultimi refusi l’ho sentito pochi giorni fa quando un signore mi ha chiesto se la suola era in "fibra", inendendo chiedere se fosse della marca Vibram.

Grande magazzino

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Diciannovesima puntata

Il grande magazzino è un formato di punto vendita che si caratterizza per:

  • la copertura delle diverse categorie non food (abbigliamento, profumeria, tessile casa, intimo, casalinghi);
  • la localizzazione in centro città, con sviluppo su più piani, un orario continuato e un servizio di assistenza personale fornito da parecchi addetti;
  • una superficie compresa tra i 300 e i 5000 metri quadri;
  • una forte presenza della marca commerciale;

Magazzini La Rinascente di Milano

Il declino che si è registrato ultimamente della formula del grande magazzino è attribuibile a due principali circostanze: il mantenimento di un’offerta basata sul modello programmato in un mercato che si stava progressivamente orientando verso il fast fashion (gli acquirenti seguono le tendenze del momento) unitamente all’incapacità di integrarsi pienamente a monte nello sviluppo del prodotto di moda attrabverso la marca commerciale.
Il punto vendita non food ha un diverso ruolo nella creazione della domanda rispetto al punto vendita food: non si può contare sul traffico generato dal punto vendita per stimolare gli acquisti d’impulso.
Recentemente si è assistito ad un ulteriore tentativo di rilancio della formula del grande magazzino mediante il riposizionamento verso l’alto della gamma, ottenuto esasperando la logica dello shop in shop con spazi dedicati alle marche leader della moda e creando corner con un coinvolgimento diretto dei produttori di marca. Il futuro della formula è fortemente condizionato dall’ubicazione dei punti vendita, che attualmente sono localizzati nelle vie del centro storico delle principali città.

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Facilità per chi abita in centro o per i turisti di raggiungere il punto vendita.
Assortimento di marche prestigiose.
Orari di apertura prolungati
Alti costi.
Poca propensione della clientela al libero servizio per i prodotti più sofisticati
Esterni Rivalutazione dei centri storici Concorrenza delle boutiques del centro

 

Mater Morbi (2)

Sono sveglio, arriva il dottor Vonnegut. Mi chiama col mio nome e ammette l’errore, è stato un incidente. E’ stato un incidente anche il fatto che il dottor Faber si sia suicidato dopo avermi operato. Strano eh? Fatto che sta che la mia cartella clinica indica una massa di materia oscura nel mio addome. Non si sa di preciso cosa sia, siamo in attesa dei responsi delle analisi. Non so se è colpa della notizia, ma sto subito male, mi viene il sangue dal naso e ho conati di vomito. Ho freddo, il dottore dice che non devo perdere i sensi, ma a me pare di stare scivolando via, lontano dalla luce….fin dentro il buio.

Sono di nuovo con Vincent, gli chiedo dove ci troviamo e mi risponde che siamo nel giardino della consunzione, davanti all’albero delle pene, pieno di corpi morti o moribondi che penzolano. Lo trovo mostruoso, lui è affascinato dalla sua sinistra bellezza, dice che i frutti della sofferenza sono amari, ma hanno fiori bellissimi. Ha quindici anni, ma sembra ne abbia duemila, la malattia lo ha fatto crescere in fretta e lo ha reso forte, almeno nello spirito. Mi fa discorsi senza senso, parlandomi ancora di Mater Morbi, e dicendo che la mia malattia si sta aggravando…piove…

Mi portano in terapia intensiva, l’ultimo avamposto prima del grande nulla. I pazienti possono essere visitati solo dai familiari, uno per volta e per pochi minuti al giorno. Stanze senza finestre, niente televisione, nessun suono aldilà del ronzio delle macchine che tengono in vita i malati più gravi. Qui il paziente non è un uomo ma solamente una macchina guasta e come tale viene trattata. Tutto quello che non è necessario alla sua riparazione è superfluo. Niente vestiti, nemmeno un camice ospedaliero, perché in casi d’emergenza potrebbero intralciare un intervento d’urgenza. Materassi ricoperti di plastica per essere velocemente ripuliti dai fluidi corporei. Medici e infermieri non ti guardano nemmeno in faccia, ma si limitano a controllare i tuoi parametri vitali su un monitor. Nessuno ti ascolta perché i numeri dicono più verità sul tuo conto di quanto tu possa fare con le parole… sempre che tu ce la faccia a parlare…

Il letto si muove, mi spiegano che è un "letto ad assetto dinamico". Ogni cinque minuti sposta il peso del paziente evitando le piaghe da decubito. Deprimente. Sono qui da sette giorni, mi viene solo da piangere. Piangere e dormire, lasciarmi andare…

Ora sono impigliato ai rami di un albero, ma una donna mi libera. Lo capisco subito, è Mater Morbi. Mi accompagna con lei. In realtà mi costringe, ma la scelta è un lusso che a un malato non è concesso. L’unica cosa che può fare è accettare la sua sorte, per quanto amara e dolorosa questa possa essere. Il sogno continua in modo confuso, sempre se si tratta di un sogno, o un’allucinazione. La donna mi offre da bere, poi mi bacia, poi mi incatena e inizia a frustarmi a sangue. Vuol farmi cedere ma io la mando al diavolo. Ma forse anche il diavolo ha paura di lei, è la madre di tutte le malattie. E’ la morsa che mi stringe le ossa, la febbre che mi fa rabbrividire, il dolore che mi mette in ginocchio. E’ quella materia oscura che mi cresce dentro, il mio corpo che impazzisce, il delirio, la disperazione e la pazzia. E alla fine, quando tutto sarà consumato, sarà la mia fine. Si diverte a giocare con me, mi prende in giro, mi vuole umiliare. Poi se ne va, arriva Vincent e mi libera dalle catene, anche se sembra rassegnato al suo destino. Io non lo sono, non voglio esserlo, e tento di fuggire da questo incubo. La donna ritorna, accompagnata da mostruose creature, che scatena contro di me: mi picchiano, mi feriscono, fino a farmi perdere i sensi…

Nel frattempo i dottori stanno decidendo del mio destino. I miei segnali vitali sono sempre più deboli. Per aiutarmi a respirare devono collegarmi ad un macchinario. C’è chi si interroga sull’utilità di questo accanimento terapeutico, ma il dottor Vonnegut insiste, è suo preciso dovere fare di tutto, di tutto, per tenermi in vita, anche in modo artificiale. Il dottor Harker non è d’accordo a prolungare questa agonia, vorrebbe lasciarmi morire dignitosamente, e se ne va sbattendo la porta. Come faccio a sapere tutto questo? Non lo so, continuo a vagare tra la realtà e i sogni, non riuscendo più a discernere quali siano gli uni o gli altri…

Mater Morbi mi sta curando le ferite. Perché lo fa? Vuole tenermi in vita. La verità è che si sente terribilmente sola. Gli esseri umani sono creature bizzarre e certe volte amano le cose più impensate, persino la sofferenza o la morte hanno i loro estimatori, ma la malattia, quella non piace a nessuno. Nessuno la ama. E’ per questo che è costretta a tenersi stretta le persone riducendole in catene.
Alla fine mi da ragione, dice che è così: la gente ha paura della morte, ma è lei che odia veramente. Per secoli le persone hanno preferito morire sui campi di battaglia piuttosto che tra le sue braccia, nei loro letti. E’ stata disprezzata e combattuta sin da quando il genere umano ha visto la luce. Sola contro il mondo intero.
Mi lascia libero.

L’infermiera corre ad avvertire il dottor Vonnegut: il paziente numero 13… no, non è morto… si è svegliato! Nonostante le sue condizioni critiche i segni vitali sono tutti in ripresa e senza alcun intervento farmacologico.

Casa, dolce casa, credevo che non l’avrei mai più rivista. Tutto mi sembra nuovo e allo stesso tempo familiare, diverso e uguale, estraneo e intimo. Mi sveglio la mattina presto e continuo ad aspettarmi di veder spuntare un’infermiera con una siringa in mano. Solo quando mi rendo conto che non arriverà mi decido ad alzarmi. Mi muovo con cautela, come avessi paura che qualcosa in me si possa di nuovo rompere, che qualche cucitura possa riaprirsi. Poi, lentamente, la mia vita riprende il suo corso normale. Anche se, probabilmente, tanto normale non sarà mai.

Il dottor Harker ha alzato un gran polverone con i media, e oggi per tutto il paese si discute di accanimento terapeutico, testamento biologico e suicidio assistito. Personalmente, sono convinto che chiunque sia in possesso delle sue facoltà mentali debba anche essere padrone del proprio destino, specie se quel destino è fatto di atroci sofferenze. D’altra parte, nel caso in cui io non fossi in grado di esprimere la mia opinione o non avessi lasciato alcuna disposizione, non vorrei mai che qualcuno decidesse della mia vita al posto mio. In fondo, chi sono io per mettere in dubbio i miracoli?

(Trallo, un po’ liberamente, da Mater Morbi, in Dylan Dog n280, Gennaio 2010, Copyright Sergio Bonelli Editore, sceneggiatura Roberto Recchioni, disegni di Massimo Carnevale)

Mater Morbi comics trailer from Massimo Carnevale on Vimeo.

Mater Morbi (1)

C’è stato un tempo in cui avevo un nome… c’è stato un tempo in cui avevo un lavoro… c’è stato un tempo in cui ero un uomo… qualsiasi cosa questo significhi. Poi le cose sono cambiateLa malattia mi ha cambiato.
Sono stato  male e sono stato ricoverato in ospedale. Non sto bene, forse non starò bene mai più. Risonanza magnetica… è così che la chiamano. I dottori mi hanno spiegato che questa macchina bombarda il corpo di onde radio e permette una scrupolosa indagine diagnostica. Come sono arrivato qui dentro? Quand’è che la mia vita ha cominciato a finire? Credo che il primo segnale sia stato una leggera influenza. Mi sono prescritto da solo un paio di aspirine e sono andato avanti con la mia vita. Poi è arrivato il tremore alle mani e la debolezza nelle gambe. Ho pensato di aver esagerato con i medicinali e li ho sospesi. A quel punto ho cominciato ad avere problemi alla vista e le vertigini. Mi sentivo malissimo e sarei dovuto andare subito da un dottore, ma le malattie mi spaventano a morte e, come ogni buon ipocondriaco che si rispetti, i dottori mi spaventano ancora di più. Quando vado da un medico ho sempre paura che scopra che sono affetto da qualche male incurabile e mortale. E’ per questo che non ci vado mai, preferisco non sapere.

Sono al Royal Free Hospital, la mia nuova casa. Il professor Faber, un luminare nel campo della medicina diagnostica dice che hanno escluso tutte le patologie mortali conosciute. Dovrebbe essere una buona notizia, ma il fatto che la cosa che mi sta uccidendo non abbia nemmeno un nome non mi è di gran consolazione. Mi hanno messo il lista per un’altra serie di esami, per andare maggiormente a fondo del problema,  “chirurgia endoscopica”… insomma si trattava di infilarmi dei tubi dentro al corpo. Sembrano tutte cose dolorose, ma sarebbero state fatte in anestesia locale o generale, come se questo dovesse rassicurarmi: l’unica cosa che mi terrorizza di più di un intervento chirurgico è l’anestesia, è come fare un salto nel vuoto, lontano dalla luce, fin dentro il buio.

Mi risveglio in una stanza fredda e vuota, c’è una vecchia infermiera strana, che mi dice, mentre fuma una sigaretta, di non conoscere nessun dottor Faber. Io mi alzo, sono debolissimo, mi alzo il camice e vedo una lunghissima ferita chiusa alla bell’e meglio, come fossi un maialino ripieno. Svengo.

Mi riprendo, ho la vista annebbiata e vedo un dottore. Non è Faber, dice di chiamarsi Vonnegut e mi chiama “signor Carver”. Io non mi chiamo Carver! Non sono confuso come dicono loro, voglio andarmene da qui, voglio parlare col mio dottore. Arrivano gli inservienti , mi costringono a letto, mi danno un sedativo, dicono che sono sotto shock. Tento di spiegargli chi sono, ma il sedativo fa effetto e perdo nuovamente i sensi.

Ho un incubo tremendo: sono a casa, finalmente, ma l’amico che è con me si trasforma in un mostro e mi dice che Lei mi vuole. Lei chi? “Mater Morbi”. Poi appare un ragazzino, Vincent, sono di nuovo in ospedale. Mi spiega che è normale il fatto che i dottori non mi riconoscano, l’identità è la prima cosa che Lei ti strappa via, poi ti toglie la dignità e alla fine si prende la tua stessa vita. Mi guardo allo specchio, sembro un letto sfatto, ma questo è solamente l’inizio: Lei mi consumerà poco a poco, fino a quando non si sarà stancata di me.

L’ospedale è il luogo dove ci si sente più soli al mondo. Non conta quanta gente possa venire a farti compagnia e a darti il suo sostegno: la distanza che passa tra sani e malati è uno spazio infinito che neanche l’amore può colmare. La malattia mette chi ne viene colpito fuori del consorzio umano. E per quanto amici e parenti possano volerti bene, nella parte più atavica del loro cervello ci sarà sempre un uomo delle caverne ansioso di allontanarsi dall’animale infetto che sei diventato. Del resto, agli occhi di chi sta male, quelli in salute saranno sempre manchevoli, perché incapaci di comprendere il loro bisogno, perché ignari della loro sofferenza e perché colpevoli di potersene andare sulle proprie gambe.
Il malato è un vampiro assetato di vita e poco importa quante lacrime vengono versate per lui… non saranno mai abbastanza da placare la sua sete. La malattia non celebra alcuna comunione. I letti di una stanza d’ospedale sono come le camere di scoppio di un revolver, con i pazienti a fare da proiettili e la guarigione come unico obiettivo…quello che conta è colpire il bersaglio personalmente, perché non c’è alcuna ricompensa nel successo degli altri.
Nessuno è triste nell’abbandonare un ospedale, e quel lieve senso di rammarico per i compagni di sventura lasciati indietro si scioglierà come neve al sole appena tornati in libertà. Qualcuno ha detto che nessun uomo è un’isola, ma sono ragionevolmente certo che a dirlo è stata una persona in buona salute.

(continua domani…)

Ginga Tetsudo 999

Quando ero proprio piccolino si vedeva solo la rai, il "primo" e il "secondo" e l’occasione di vedere qualche cartone animato era aspettare la domenica dopo pranzo oppure qualche inaspettato sciopero dei giornalisti o cose simili. Erano sempre e solo cartoons americani, della Warner o della Disney.

Verso la fine degli anni ’70 la rivoluzione giapponese con la trasmissione dei primi manga animati. Per dire come stavamo messi, il primo e uno dei più famosi, Goldrake, noto anche come Atlas Ufo Robot, veniva trasmesso sul secondo (l’odierna  RaiDue) alla sera preceduto da un intervento in studio. Insomma era un evento. Io Goldrake me lo ricordo poco, ero proprio piccolo. Il mio preferito è sicuramente Mazinga Z, trasmesso negli anni successivi, sebbene in realtà come storia venisse prima (Le serie sono, in successione, "Mazinga Z", "Il Grande Mazinga" e "Goldrake", ma la Rai li ha comprati e trasmessi in sequenza diversa. Anzi a dire la verità il Grande Mazinga era su Canale 5. Infatti io, qui lo dico pentendomene amaramente e rendendomi ridicolo di fronte ai miei coetanei, non l’ho mai visto !!!).

Successivamente la cività ha raggiunto anche il Passo del Brallo e quindi vedevo un sacco di altri canali, come EuroTV, Odeon, Italia7, Canale5, Rete4 (Italia1 solo molto più tardi, infatti io Holly e Benji l’ho potuto vedere solo anni dopo, maledizione). Su quei canali ho visto cartoni che sono stati delle pietre miliari degli anime giapponesi: Lupin III, L’Uomo Tigre, Capitan Harlock, Galaxy Express 999.

Quest’ultimo è un cartone animato che mi è piaciuto molto, forse per quel velo malinconico che lo pervade. Lo so, i comics dovrebbero essere d’evasione, ma che male c’è se un cartone ha un’anima e cerca di dirti qualcosa? Parla di un ragazzino, Masai, che in un lontano futuro vuole raggiungere un pianeta ai confini dell’universo dove può ricevere organi meccanici per il proprio corpo, in modo da poter allungare la propria esistenza. E’ il suo grande sogno, di una vita fatta finora di stenti e povertà. Per andare in quel pianeta c’è un’astronave molto particolare: viaggia nello spazio ma è in tutto e per tutto uguale a un vecchio treno con locomotiva a vapore. Masai ha come compagna di viaggio Maisha, una donna misteriosa. Durante il loro viaggio sono protagonisti di numerose avventure e disavventure, e tappa dopo tappa Masai si rende conto che la felicità non sta nell’avere o meno un corpo meccanico, ma in altri valori della vita.

Il tutto accompagnato dalla meravigliosa sigla degli Oliver Onions. Prima che arrivasse Cristina d’Avena che belle che erano le sigle dei cartoni !

Abbondanti nevicate

In questi giorni di neve ne è venuta già parecchia dappertutto, ma a Brallo siamo avanti: guardate quanta neve c’era già domenica scorsa, quando a valle c’era ancora il sole:


Avanti sempre

Voglio sottoporvi un altro editoriale di Virgilio Degiovanni,  come questo che avevo pubblicato un anno fa.

Quando le cose si fanno pesanti, io ho una mia filosofia di vita: attaccare e mai difendersi. O, peggio ancora, ripegare. E’ quella che ha contraddistinto tutte le mie attività, e non sono mai venuto a meno a ciò. Anche oggi, a 20 anni dai miei esordi nel mondo dell’impresa, la penso allo stesso modo. Non mi interessa nulla dei titoloni dei giornali che, da oltre due anni, strillano questa crisi destinata a continuare. Non mi perdo dietro lamentele, piagnistei, o cose che vorrei ma non ho nè posso avere. Vado avanti. Non mi spavento per le previsioni dei ben informati. D nuovo, vado avanti. Perché, alla fine, se ci pensiamo bene, l’unico vero rimedio è proprio questo: non fermarsi, proseguire, insistere fino all’ultima goccia di sudore. Oggi come oggi, abbiamo un Paese malconcio. Ma ci sono altri che stanno ben peggio di noi. Cosa dovrebbero dire in Grecia, in Portogallo o in quella Spagna che tanta enfasi dava al suo inarrestabile sviluppo? Nulla da ridere, per carità. Ma un po’ di ottimismo sì. Infatti, ne sono più che mai convinto, è in tempo di crisi che possono nascere la grandi aziende. Quelle davvero grandi, quelle inarrestabili, inarrivabili. Un’azienda come la Walt Disney è nata in un periodo terribile, quello ai margini della Grande Depressione statunitense, ricordiamocelo tutti. E anche colossi come la Hewlett Packard hanno fatto altrettanto. Perché? Perché hanno sosato un credo profondo: quello che porta in primo piano le persone e non i dati, in qualunque mercato. E se le persone ci sono, il futuro c’è. Ed è roseo, al di là di qualsiasi dato e numero. […]

Livello videogioco

Insignificanti pedine
o assoluti protagonisti
di quel fantastico videogioco.

Mirabolanti rockstar
o scadenti controfigure
su quel palco illuminato.

Decadenti poeti
o illusi menestrelli
illuminati dalla luna.

Eravamo pura energia
elettricità libera
fiamme ardenti.

Viaggiatori nell’iperspazio
in quel caleidoscopico mondo.

—————————————–

Eravamo io e Christian, persi nello spaziotempo.
E non ce ne fregava niente.
Non c’importava se non ci capivano, noi ci capivamo.
Non c’importava degli insulti, delle risate, ci scivolavano addosso.
Se non credevano in noi… noi credevamo in noi.
Non ce ne fregava niente se noi eravamo gli ultimi,
i reietti, gli sfigati, i balordi, quelli che non seguivano la massa.
E’ un grave peccato non esser convenzionali?
Probabilmente è un peccato per l’uomo qualunque.
Ma noi non eravamo qualunque.
E di quelli qualunque non ce n’è mai fregato nulla.
E siamo sempre andati avanti, con chi era con noi,
oppure soli, senza problemi.

Gocce di neve e polvere di cioccolato

 

Ti dedicherei una canzone,
ti dedicherei una poesia
o anche mille.
Ti dedicherei un libro, una foto,
un quadro dipinto da me.
Ti dedicherei una via, una bella giornata,
una favola.
Ti dedicherei una stella
anche se non brillerebbe mai come te.
Ti dedicherei tutti i fiori di un prato,
anche tutte le foglie di un albero
Ti dedicherei tutti mattoni di questa casa
e ogni singolo granello di sabbia di una spiaggia.
Potrei dedicarti tutte le gocce della pioggia,
tutti i secondi contenuti in un secolo
e tutti i puntini sopra le i,
ma non mi avvicinerei neanche
ad esprimere
tutto il mio amore x te.

 

Aglio

Anche oggi sono polemico (strano eh?). Oggi con chi ce l’ho? Ma con quelli che mangiano l’aglio. Anche lunedi scorso mi è capitata in negozio una signora che aveva un alito da stendere un elefante. Mamma mia, insopportabile, non le si poteva star vicino.

Cari agliofili, lo so che la scienza e le tradizioni popolari attribuiscono a questo bulbo fantastiche proprietà terapeutiche, ma se state bene voi fate star male gli altri. Forse non ve ne rendete conto, ma si sente a distanza di metri appena aprite bocca. Quindi perdonatemi se in negozio magari sto un po’ distante…


R.Magritte, Tentativo Impossibile, 1928

 

Prenditi quello che sei e non rimpiangerti mai se non ti piaci, vedrai… non cambierai…non cambierai… mai!
Prenditi quello che vuoi e non nasconderti mai guarda le spalle che hai forse ce la farai
Guarda che cielo che hai guarda che sole che hai guardati e guarda cos’hai e…….. guarda dove vai! 

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