(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Month: November 2016

25 anni dopo

Più o meno nel 1991..o anche dopo, o magari anche prima…si andava in giro a far disastri, al Trebbia in bici, in Cròsa a far grigliate, in giro in scooter, al Colletta, da Cavanna, al Kursaal, nella sabbia di Normanno o sulle rotoballe della Bula, i bottiglioni della Linda, il parco giochi, e così via…

Ringrazio mio padre e mia madre

Mi è capitato di vedere la trasmissione RAI "Giovani e Ricchi"

http://www.raiplay.it/video/2016/09/Giovani-e-Ricchi-628060d6-6764-485c-b108-adc1f2873559.html

E’ una specie di "documentario" sulla vita di alcuni giovani rampolli di alcune famiglie benestanti italiane. Benestanti è dire poco, diciamo schifosamente ricchi. Questa non è sicuramente una loro colpa, però è oggettivo che sono decisamente e oggettivamente viziati, anzi viziatissimi.

Tutti dicevano la classica frase: io sono un ragazzo (o una ragazza) normalissimo con una vita normalissima, che colpa ne ho io se sono parte di una famiglia ricca. Alcuni lo dicevano totalmente a sproposito, visto che facevano vite "da sogno" e assolutamente snob. Altri avevano anche amici "normali", ma con degli eccessi decisamente "particolari", come il tizio che si è fatto rivestire la Maserati di velluto nero, sostenendo che fosse una cosa normalissima. 

Tutti chiaramente con macchinoni regalati dal papi di turno perché "mio figlio si è laureato e la macchina se l’è meritata". Può darsi. Secondo me troppi vizi fanno male.

Io non sono né giovane né ricco, ma mi sento privilegiato rispetto a tanti altri, ho una casa di proprietà dove vivo e un lavoro indipendente, ed entrambe queste opportunità mi sono state date dai miei genitori, quindi "regalate", non me le sono guadagnate da zero. Detto questo…

Ringrazio i miei genitori, per non avermi mai pagato una vacanza, per avermi fatto tribulare per avere un’auto mia, che infatti ho avuto solo grazie a mio nonno Michele.
Ringrazio mio padre per avermi fatto pesare ogni singola volta che avrei speso dei soldi chiedendomi mille volte se davvero avessi bisogno di quello per cui li stavo spendendo…e talvolta me lo ripeteva talmente tante di quelle volte che desistevo, basta non sentirlo più.
Ringrazio mia madre per aver ceduto poche volte ai miei capricci di bambino per farmi acquistare qualche giocattolo, visto che avevo già quelli dei mie fratelli maggiori e comunque potevo giocare all’aperto, vivendo a Brallo.
Ringrazio mio padre che nonostante le mie richieste, non mi ha comprato la bicicletta finché non le ha comprate da vendere in negozio e quindi una era destinata a me…peccato che poi quando le ha finite ha venduto anche la mia. E questo si è ripetuto per almeno 4 o 5 volte nel corso degli anni, finché al primo anno di università ho messo da parte i soldi per comprarmene una (che infatti posseggo tuttora, visto che ho capito quanta fatica bisogna fare per guadagnarli i soldini, vendendo magliette ai miei compagni di corso).
Ringrazio mia madre e mio padre, per non avermi comprato vestiti firmati, benché avessimo un negozio di abbigliamento. E soprattutto per avermi fatto capire il perché. Questa cosa non mi ha mai pesato, in quanto in famiglia mi avevano insegnato che non importa che firme hai addosso: l’onestà, i valori, ma anche la personalità non sono rappresentati dai vestiti che si indossano. Da ragazzino era un classico che gli amici, soprattutto quelli che arrivavano "dalla città", mi dicevano: ma tu che hai un negozio, perchè non indossi le Nike, i Levis, le Lacoste? E io rispondevo che  quelli li avevano tutti, mentre io con gli stessi soldi ne avevo perlomeno il doppio. Quanti stronzi ho poi incontrato nella mia vita, che erano firmati da capo ai piedi.
Ringrazio mio padre per avermi fatto penare a comprare la TV a colori, per aver fatto in modo che ogni volta che avevo bisogno di spendere dei soldi dovessi motivargli, in modo molto insistente, la mia necessità, invece di darmi soldi così "tanto per".
Ringrazio mia madre perchè mi ha sempre insegnato che i soldi non contano niente. E me lo spiegava lei, che da ragazzina viveva in una famiglia dove i soldi non c’erano, ma c’era la dignità. Dove non c’era neanche posto per tutti a tavola e i figli più piccoli mangiavano seduti sulla scala. Dove a volte non c’era neppure da mangiare, e uno dei regali che si ricordava meglio era una mela che gli aveva donato una signora di ritorno dai campi. Lei e mio padre hanno sempre lavorato sodo, risparmiato al massimo, perchè gli erano rimasti indelebili in memoria quegli anni in cui "non c’era niente", ma spiegandomi nel contempo che l’importante era volersi bene, perchè i soldi, seppure da rispettare in quanto guadagnati con fatica,  vanno e vengono e non devono essere motivo di invidie, di litigi e quant’altro.
Ringrazio mio padre e mia madre di tutto questo e altro ancora. In modo che, vedendo quei ragazzi, quello che provo non è minimamente invidia, forse un po’ di tristezza, perchè nonostante le parole di circostanza, non si sforzano neanche di capire il valore del denaro. Si "arrendono" al fatto di essere ricchi pensando che, quindi, tutto gli sia permesso. Un peccato.

n.e.s.s.u.n.o.

Io sono sempre quello che deve capire, quello che deve esserci, quello che deve aiutare gli altri, che deve avere pazienza. Quello che chiami e arriva, quello che scrivi e risponde, quello che quando stai male ti sta vicino, quello che quando sei giù ti tira su, quando sei triste ti rincuora. Quello che comprende, quello che sopporta, quello che fa lo stesso. Quello che quando non serve più…

Ma a me? Chi mi capisce? Chi mi sopporta? Chi mi sta vicino, mi tira su, chi c’è quando ho bisogno? A parte la mia famiglia credo, fondamentalmente, nessuno.

Brallo – Avagnone (più o meno)

Inizio questo mio giro a Luglio con una leggerissima salita, quella che mi porta in centro al Passo del Brallo (via della Fontana) e poi da lì sulla strada che porta a Someglio (via delle Piane).

La discesa verso il paesello è una bella passeggiata: fino alle piane (da cui il nome della via) si sta sulla strada asfaltata, poi si tagliano i tornanti passando nei sentieri nel bosco e in breve tempo si raggiunge Someglio.

Una volta arrivato in paese, l’amico Osvaldo, purtroppo recentemente scomparso, mi indica con la sua consueta gentilezza la strada che prosegue verso il torrente Avagnone. E’ bella larga e non presenta nessuna difficoltà.

Si scende si scende si scende, si attraversa il torrente e poi….surprise! La strada che porta a Lama è allagata e io ho le scarpe basse.

Che faccio? Nessun problema, decido di seguire il greto dell’Avagnone. Non è agevolessimo, in quanto l’acqua è un po’ di qua e un po’ di là, ma questo fuori programma mi permette di vedere dei posti davvero speciali, delle anse, degli scorci, dei particolari stupendi.

Arrivo quindi all’intersezione con la strada Ponti – Lama, che prendo per tagliare subito nei campi e approdare dalle parti di Rovaiolo. Da qui risalgo a Lama passando dalle vigne di Alfredo. Incontro due signori che mi danno due consigli, il primo è quello di riempire la borraccia dalla fontana fuori dal paese, dove l’acqua era realmente freschissima e molto buona. Il secondo è sulla strada per arrivare a Collistano

Io invece faccio di testa mia (ma va? ma dai, strano… ) e raggiungo Pratolungo. Dopo qualche decina di metri sull’asfalto prendo un’altra sterrata che gira che ti rigira mi porta nei pressi del mulino di Colleri.

Qui faccio nuovamente di testa mia e attraverso il bosco per cercare di raggiungere la "Panoramica". Ve lo devo dire? Anche stavolta rovi, fossi, erba alta e io non solo ho le scarpe basse ma anche i pantaloni corti, e cose simili. Mi sono "bsiato" tutto. Però raggiungo la "Panoramica" nei pressi di un bosco veramente fitto fitto fitto ma fitto. Da li proseguo e arrivo fino al Pian del Lago e poi giù a Brallo.

Totale: 7 ore e mezzo di cammino, praticamente ininterrotto, a parte le foto. 21km, circa mille metri di dislivello (tra scendere, salire, ecc.)

Ho sempre odiato i Playmobil

 

L’allenatore

Un libro di John Grisham. Simo in una cittadina americana, una di quelle tutte uguali a chissà quante altre. Qui diventano matti per il football. Hanno avuto una squadra giovanile che ha mietuto molti successi in passato, che è l’unica attrattiva del luogo. Quando ci sono le partite almeno metà della città va allo stadio. Il mitico allenatore, colui che ha guidato la squadra per quarant’anni, sta per morire. Osannato dal pubblico, odiato dai giocatori per i suoi metodi al limite dello schiavismo. Neely torna dopo quindici anni, richiamato dalla notizia. Ritroverà vecchi amici, vecchi amori, vecchie abitudini. Ritroverà la sua vecchia città, la vecchia vita di provincia. Uno spaccato dell’America, quella lontana anni luce da New York e Los Angeles.

Un libro veloce, a tratti "sgradevole", che parla di rancori, amicizia, usanze, di amore per lo sport nonostante tutto.

 

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