Sono stato recentemente a Varsavia. Come mia abitudine vorrei segnalare alcune cose in ordine sparso che mi hanno colpito, stavolta senza fare una descrizione del luogo, per quello ci sono in giro tantissime guide.

  • La brioche al marzapane era veramente buona.
  • Hanno l’abitudine di mettere i semini sia sul pane che sulle brioches.
  • Ci sono tante catene di caffetterie inglesi, come Caffè Nero (o americane, come Starbucks). E’ quanto meno insolito il fatto che siano gli anglosassoni ad esportare il caffè nel mondo grazie alle loro catene e non gli italiani, che solitamente se la menano di essere i migliori
  • Vicino al Castello ho preso da una bancarella un dolcetto al cioccolato veramente buono. Lo so, sembra che io sia andato a Varsavia a mangiare dolci, ma era talmente buono che ne ho presi due, e ve lo dice uno che non è goloso di dolci.
  • Parlando di dolci: tutti gli altri dolci qui esposti nei bar e nelle pasticcerie sono, come dire… gonfi, esagerati! Hanno un aspetto abbastanza pesante. Ce ne sono tanti, e tutti molto "complicati".  Non fanno per me.
  • I negozi del centro sono (purtroppo) uguali a quelli di qualsiasi altra città europea. Da Intimissimi a H&M. Questa cosa è un po’ triste perché ti fa passare la voglia anche di guardare le vetrine.
  • Le persone non hanno una aspetto "diverso", nel senso che (a parte i vestiti, che come detto sopra, per "colpa" o per "merito" della globalizzazione sono uguali a quelli che vedi a Milano, a Valencia o a Spalato) non hanno caratteristiche fisiche molto di verse da quelle italiane, se non una percentuale di occhi chiari più alta.
  • Scordatevi anche lo stereotipo del "comunismo stile sovietico" con casermoni tutti uguali, auto vecchie e donne con il fazzoletto in testa e i doposci di pelo: Varsavia è modernissima e le auto che girano sono identiche, anche in questo caso, a quelle che girano a Voghera.
  • Certo, ovviamente io ho visto solo la capitale della Polonia, non so se il resto del paese è uguale o diverso.
  • Siamo capitati proprio il giorno del 10 aprile, quando celebravano la ricorrenza del disastro aereo del 2010, quando un velivolo è precipitato con a bordo il presidente, la moglie, alti funzionari delle forze armate, il presidente della Banca Nazionale, funzionari del governo e parlamentari. Insomma un disastro. C’è da dire che era una ricorrenza molto sentita, si vedevano bandiere rosse e bianche letteralmente dappertutto. Dal mattino fino a sera inoltrata un susseguirsi di comizi, commemorazioni, messe, ecc. Impressionante vedere tutta quella gente con la bandiera in mano. Da noi non succede neanche durante i mondiali di calcio
  • Varsavia aveva una comunità ebraica molto consistente, in virtù della politica di forte libertà religiosa che ha sempre contraddistinto la Polonia nel tempo. Durante l’occupazione nazista questa comunità è letteralmente sparita, sia a causa delle deportazioni, sia per la fuga di chi era rimasto. Rimane solo una sinagoga, scampata allo scempio perché veniva utilizzata come deposito di armi.
  • La lingua è ostica, così come tutte le lingue slave. Non si capisce proprio un’acca, neanche per sbaglio. Solo qualche parolina ogni tanto, ma c’è un motivo: essendo la Polonia di forti tradizioni cattoliche, comunicavano spesso con lo Stato della Chiesa e quindi in latino, da cui deriva l’italiano. Così qualcosina è rimasto. Però te la cavi benissimo con l’inglese perchè lo parlano praticamente tutti. Esattamente come in Italia (ahahahah)
  • Non ci sono tanti africani, o nordafricani. Anzi non ne ho visto neanche uno. Si vede che Varsavia non è una città appetibile per gli immigrati in UE.
  • Tantissimissimi palazzi del centro, secondo le guide, sono stati progettati da architetti italiani. Se non ricordo male, quando ero a Londra, un collega cameriere, ovviamente polacco, mi spiegava la seguente cosa: c’è stato un periodo, credo il rinascimento, in cui in Polonia andava di brutto l’arte italiana. E così chiamavano artisti del Belpaese: pittori, architetti, scultori. Mentre lì andavano di moda gli italiani, in Italia andava di moda avere i capelli lunghi e quindi chi proveniva dalla Penisola era chiamato "capellone". Cosa che è rimasta: ancora adesso in polacco la parola "italiano" si traduce in wloski (o una roba simile) che sta proprio per "capelloni". 
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