(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Tag: lesima

La via longa

LA VIA LONGA
Lunghezza itinerario: km 18
Dislivello in salita: m 1803 – dislivello in discesa m 1712
Difficoltà: EE
Segnaletica: FIE due triangoli blu – CAI (bianco-rosso)
Periodo consigliato: primavera, estate e autunno Cartografia consigliata: 1:10.000 – CTR Regione Lombardia 

Dalla cima del Monte Penice, dove si può visitare il Santuario di Santa Maria, si scende verso il Passo della Scaparina, attraversando per un breve tratto le verdi radure che si trovano su questa vetta; inoltrandosi poi in una abetaia, si imbocca il sentiero, discretamente impegnativo, caratterizzato inizialmente da un forte dislivello. Giunti al Passo della Scaparina si prosegue sulla SP 89 per circa 1,5 km per poi deviare a sinistra ed immettersi in uno stretto sentiero che attraversa una pineta in cui si possono osservare anche alcuni Cedri del Libano (Cedrus libani), conifere alloctone originarie dell’Anatolia, della Siria e del Libano. Si arriva sulla strada asfaltata che porta al paesino di Ceci, si attraversa e si prosegue imboccando il sentiero che si inoltra dentro la faggeta fino a raggiungere il Piano della Crocetta. Si scende nuovamente sull’asfalto e si raggiunge il paese di Brallo in cui si può approfittare per fare una sosta utilizzando i punti di ristoro offerti da questa ridente località. Sempre seguendo la strada asfaltata, si prosegue verso Bralello e appena prima di entrare nel paese si imbocca il breve sentiero (circa 500 m) sulla sinistra che sale deciso verso la frazione Bocco. Arrivati a Bocco si attraversa il paese, si raggiunge la grossa fontana, un tempo usata come abbeveratoio per il bestiame, e si risale imboccando il sentiero 109. Anche questo tratto di strada sterrata è abbastanza impegnativo perché caratterizzato da un discreto dislivello e da un fondo non proprio agevole. Si sale seguendo il sentiero che attraversa una fresca faggeta e si arriva fino al crinale circondato da prati e da cui si può godere di uno spettacolare panorama sulla valle Staffora e la valle Avagnone. A un certo momento comparirà un bivio, evitando di scendere verso sinistra (sentiero che porta ai Piani di Prodongo), si prosegue dritti e si continua a salire verso il Monte La Colla e il Monte Terme fino a incrociare la stradina che conduce al Monte Lesima, una volta attraversata, si segue la curva di livello alternata da radure e da boschi di faggio, fino a raggiungere il Colle di Pej, dove incontriamo nuovamente la strada asfaltata che in circa 10 minuti ci porta al passo del Giovà.

Da Rovaiolo Vecchio alla vetta del Monte Lesima

Livello di difficoltà (considerando turisti fai-da-te): 4,5 stelle
Panorama: 5 stelle
Tempo: oltre 5 ore
Dislivello: quasi mille metri (in ascesa, poi da Lesima a Brallo circa 700 in giù)
Livello di soddisfazione: parecchia

Si parte dal Passo del Brallo in auto e si imbocca la strada che porta verso sud in direzione fiume Trebbia. Dopo il paese di Rovaiolo si parcheggia sulla destra in prossimità del bivio verso Rovaiolo Vecchio (non ci sono indicazioni). Da questo punto si prosegue a piedi. La strada non è asfaltata, ma è larga e facilmente percorribile senza nessun tipo difficoltà. In un quarto d’ora di cammino, superato il ponticello sul torrente Avagnone si sale e si arriva al cosiddetto “paese fantasma”.

Da qui l’impresa si fa ardua: si imbocca il sentiero 125 che porta in su, sempre in su, inesorabilmente e ripidamente in su. Il tracciato è abbastanza stretto, ma praticamente tutto pulito e ben segnato, non ci si può sbagliare. Ci si muove quasi sempre nel bosco, a ridosso della cresta, dalla quale a volte si gode di stupendi panorami sulla val Trebbia.

C’è un singolare punto dove è stata istallata una corda per aiutare la salita. Saranno circa un paio di metri, ma non fatevi spaventare: io li ho superati senza corda e senza appoggiare le mani, quindi se ce l’ho fatta io che non sono certo uno stambecco

Dopo 4 ore, di cui una mezz’ora di pausa, si raggiunge la strada asfaltata che dai Piani del Lesima va a Zerba. Da qui, se vi spostate per qualche metro, potete ammirare lo spaventoso “Canalone dell’Inferno”, che è a fianco a quello appena percorso.

Occorre percorrere la strada in direzione Piani del Lesima per qualche centinaio di metri, dopodichè sulla sinistra si notano le indicazioni per la vetta del monte. Da questa parti c’è anche la fontana della Gambetta, ma non è per nulla segnalata bene e si fa fatica a trovarla. Io sapevo che c’era e c’ero già stato, quindi mi sono sbattuto e, girando, l’ho trovata.

La salita verso la vetta, fatta da me parecchie volte, in confronto a quella di sotto mi sembrava una barzelletta. In realtà, prima sale nel bosco e poi nei pascoli, abbastanza ripida e sassosa. Le ultime centinaia di metri prima della vetta sono parecchio rognose, in quanto le pietre fanno scivolare i piedi. Una volta arrivati in vetta… beh che ve lo dico a fare: una figata. Peccato per ‘sto cazzo di coso che hanno costruito a ridosso del cucuzzolo, ai tempi dei mondiali di Italia ’90.

A questo punto si scende lungo il crinale, in direzione opposta. Il sentiero ufficiale ad un certo punto costeggia la strada asfaltata da Cima Colletta al Passo del Giovà, e ne abbiamo approfittato per “tagliare”. Poi, invece di proseguire verso Cima Colletta, abbiamo preso il sentiero che taglia il versante per raggiungere direttamente Bocco. Il sentiero è stretto, poco pulito, e in pendenza (verso valle, quindi a destra). Onestamente mi è piaciuto molto di più quello che scende sempre a Bocco da Cima Colletta che ho fatto lo scorso anno. Attraversato Bocco, si percorre qualche decina di metri di asfalto e si scende verso il passo del Brallo (tagliando via quindi il paese di Bralello). Arrivati !

Gita al Monte Lesima

Possono esserci le Dolomiti, la Sardegna, le Antille Olandesi ecc, ma una gita così sui miei monti, non ha prezzo! Passo del Brallo – Bocco – Cima Colletta – Monte Lesima – Pró d’Cavanna – Prodongo – Corbesassi – Passo del Brallo

 

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare

I Ragazzi Del Lesima – 3

Quando fu molto in alto, sopra Prodongo, c’era un tratto del sentiero che era tutto all’ombra ed era ancora pieno di neve. Ad un certo punto il mulo, testardo come vuole la tradizione popolare, si arrestò nel suo incedere e non volle in alcun modo proseguire. Il ragazzo ci si mise d’impegno, prima con le parole, poi con le minacce urlate, poi ancora con le carezze e infine spingendolo malamente. Lo spronava e lo spintonava, mentre la neve gli entrava nelle scarpe. Anche se era giorno di festa non aveva potuto mettersi le scarpe nuove che suo padre gli aveva comprato recentemente perché, sapendo che tipo di strada avrebbe dovuto percorrere, gli avevano proibito di indossarle, calzando viceversa quelle vecchie. Queste erano ormai rotte e sfilacciate, oltre al fatto che gli andavano strette, procurandogli notevoli spelature quando le indossava per lunghi viaggi. Suo padre gliele aveva comprate al mercato di Varzi, usando come sempre il metodo del “bacchetto”: una piccola asta di legno che aveva pressappoco la lunghezza del piede. Potete ben immaginare che con quella pratica approssimativa le calzature acquistate erano quasi sempre di misura sbagliata. Nel caso fossero state troppo grandi bastava legarle un po’ più strette, ma quando erano troppo piccole erano causa sicura di sofferenze.

Dai e dai, spingi e spingi, alla fine il mulo si decise a ripartire.
“Che faticaccia, ed io ho solo un mulo: chissà come aveva fatto Annibale a passare da queste parti con un esercito di elefanti” pensò il ragazzo, riferendosi al grande condottiero cartaginese. Egli transitò proprio da quelle parti, prima di combattere la battaglia della Trebbia, e si dice che il nome del monte Lesima derivi proprio dal latino “Lesa manus”, per indicare una ferita alla mano subita dallo stratega africano. Il giovane di Ponti non aveva mai visto un elefante, neppure disegnato, ma gli era stato detto che si trattava di animali mastodontici.
“Sarebbe bello averne uno” pensò scherzosamente “oppure possedere un’automobile, come i signori di città, e girare in lungo e in largo, adesso che ci sono le strade!”

Il sole era già alto e il nostro commerciante voleva essere a Zerba molto prima dell’ora di pranzo, in modo da avere a disposizione l’intera giornata per piazzare la sua mercanzia.
“Speriamo di vendere, in modo da non sentirmi anche stavolta i rimproveri quando torno a casa, e che perlomeno ci sia da divertirsi”.
I suoi genitori, come spesso accadeva in quegli anni, erano molto severi, e suo padre non transigeva dal lavorare sodo e pensare il meno possibile ai divertimenti, ma lui aveva quasi vent’anni: pur dando il giusto peso al suo lavoro – che in ogni modo gli piaceva più di ogni altra cosa – era pur sempre un ragazzo e come tale aveva piacere nella compagnia e nel divertimento. L’estate precedente aveva escogitato un piccolo trucco: in un paio di occasioni era partito il sabato, con la scusa di vendere anche la sera prima della festa, quando sulla piazza dei paesi si cantava, si ballava, e si ascoltavano le storie dei vecchi che, anche se erano sempre le stesse, erano comunque interessanti, perché ogni volta uscivano dei particolari inediti.  Si era recato a Barostro e a Bralello col suo fagotto e il suo fido quadrupede infecondo, per poi darsi invece al buon vino e ai canti in compagnia.

Finalmente, disceso dall’altro versante del Lesima, arrivò in vista di Zerba. Il paese era grande, se si teneva conto dei tre gruppi di case da cui era composto: Soprana, Lisamara e Stana; ma cionondimeno non era certo un paese ricco. Al ragazzo piacevano più i paesi della valle Staffora e della val Trebbia: erano più facilmente raggiungibili e c’era più movimento, il commercio “girava” meglio. I paesini della val Boreca, come quello che era la sua meta, non avevano molto passaggio, e gli abitanti erano perlopiù gente modesta. In ogni caso lui non disdegnava certo di fare affari con chicchessia, specialmente in giornate di festa come queste. Arrivò alla chiesa che la messa era già incominciata da un bel pezzo, si sentiva riecheggiare il latino del sacerdote. Legò il mulo e si infilò dentro il portone, più per vedere se c’era tanta gente e come erano ben vestiti che per un sincero pio sentimento. Una volta terminata la funzione religiosa iniziò, come abitudine, a salutare un po’ tutti, presentando la sua merce, chiedendo i bisogni della gente. Ormai era esperto, e sapeva che su queste cose comandavano quasi sempre le donne, quindi era a loro che prestava maggiormente la sua attenzione. Continuando a proporre i suoi prodotti, seguì il flusso della folla che si dirigeva verso la piazza, dove di lì a poco sarebbero iniziati canti, balli e pappatorie. Per la carità, non immaginatevi pranzi luculliani e viziose libagioni: in confronto ad oggi erano situazioni modeste, ma permeate da uno spirito di appartenenza, di gioiosità e di allegria indescrivibili, che facevano per un giorno dimenticare quanto dura potesse essere la vita.

I Ragazzi Del Lesima – 2

La sua prima tappa, Corbesassi, non era affatto distante. Era un paese proprio sopra al suo, dove svettava il campanile più alto di tutta la vallata. Era come se Ponti fosse quasi una succursale di Corbesassi. Il ragazzo, molto spesso, quando gli si chiedeva da dove venisse rispondeva: “Sono di Corbesassi” e solo dopo specificava “di Ponti, per la precisione”. Le scuole erano a Corbesassi, così come le poche botteghe, il sarto e l’osteria. A dire la verità anche al suo paesello c’era l’osteria, proprio a casa del ragazzo. Niente di paragonabile ai locali di oggi: a quei tempi l’osteria era una casa privata, dove chi voleva entrava a passare qualche mezz’ora bevendo vino, raccontando storie e magari giocare alle carte. Il padre del ragazzo aveva sempre avuto l’animo del commerciante: pur vivendo in un paese molto povero si era continuamente inventato dei modi per guadagnare un poco di denaro, in un’economia dove, al contrario, la normalità era vivere solo di quello che dava la terra e il bestiame. “Ponti è l’ultimo paese che ha creato il Signore, finisce anche la strada”, dicevano quelli che schernivano il ragazzo e i suoi compaesani. E pensare che fino a pochi anni prima non c’era neppure, quella strada. L’avevano costruita proprio di recente, seguendo un tracciato che riducesse al minimo le perdite di terra coltivabile, infischiandosene quindi di ottenere un percorso agevole. Tutti gli uomini del paese, coordinati proprio da suo padre, che si vantava di esser stato “capofrazione”, avevano dato una mano per scavare, portar via la terra, sistemare. In poco tempo anche Ponti era finalmente collegata al resto dell’Italia: si poteva raggiungere Corbesassi e da lì proseguire, sempre con una strada di recentissima costruzione, il Passo del Brallo, la frazione del comune di Pregola che maggiormente stava beneficiando del progresso dato dalle nuove vie di comunicazione.

Il ragazzo camminava in salita e pensava a quanto fosse beffardo il destino che gli aveva dato un animale da soma, ma gli aveva negato la possibilità di cavalcarlo e farsi portare, visto che era già carico di merce.
“Che me ne faccio di un mulo se poi mi tocca andare a piedi?” diceva tra sé e sé, “hanno ragione quelli che mi prendono in giro? Ma un giorno dimostrerò che anche uno di Ponti, l’ultimo dei paesi, riuscirà a combinare qualcosa di grande! Non so ancora cosa, ma prima o poi…”
E così, immerso nei suoi pensieri, arrivò a destinazione.

Puntò deciso verso una casa al centro del paese. Quel giorno non avrebbe fatto il solito giro, aveva un po’ di premura e sarebbe andato subito al sodo. C’era una famiglia che aveva richiesto una stoffa per far realizzare un abito al figlio, che si sarebbe sposato a breve.
“Buondì, ecco il tessuto che mi avete chiesto” disse quando una donna piccolina, ma nerboruta, gli venne ad aprire l’uscio.
Era la madre del futuro sposo, che fece accomodare il giovane nella spartana stanza che fungeva da tinello ed esaminò con cura la tela, mentre dall’altra stanza sopraggiunsero due uomini: il marito della donna e il figlio, che avrebbe indossato l’abito. La signora non era molto convinta, o forse voleva solo trattare sul prezzo, e si disse intenzionata a lasciar perdere, ma l’abilità commerciale del ragazzo, coi suoi modi sempre gentili, ma doverosamente un po’ insistenti, la convinsero dell’acquisto. Lasciato all’angelo del focolare di casa il compito della trattativa, toccava ora a chi portava i pantaloni perfezionare l’acquisto. Sto parlando del marito, ovviamente, che era il padrone di casa. Dell’opinione del figlio, a quell’epoca, interessava a pochi e, in ogni caso, sarebbe stata ininfluente. L’uomo propose, com’era prassi abituale, di acquistare a credito, ma il venditore di Ponti gli fece notare che il suo conto stava diventando un po’ troppo consistente e avrebbe preferito un pagamento immediato, considerando anche che, la loro, era stata un’espressa richiesta. Il padre dello sposo tergiversò, iniziò a parlare di tutte le spese a cui stava andando incontro a causa di quel matrimonio, si lamentò del fatto che con l’avvento della Repubblica fosse aumentato tutto, e alla fine propose di pagare una parte del debito pregresso, mettendo in conto quello che aveva appena comperato. Il ragazzo accettò pensando: “piuttosto che niente, è meglio piuttosto”, come gli avevano insegnato gli anziani del suo paese. Velocemente passò in una casa vicina, dove abitava la signora Maria, detta da tutti Mariuccia, per chiedere se, come promesso, gli poteva saldare un vecchio conto, aperto dal marito morto qualche mese prima. La povera vedova disse che non aveva molto, che stava passando un brutto periodo e che attualmente gli poteva dare solo un cavagno di uova. Con la promessa che al più presto le avrebbe restituito il paniere, il giovane sistemò le uova sul mulo, nella speranza di non romperle durante il tragitto che ancora lo attendeva.
Senza perdersi in altre faccende, voltò il quadrupede in direzione di Zerba, un paese che stava al di là del monte Lesima, dove quel giorno ci sarebbe stata una piccola festa, e quindi l’occasione buona per cercar di vendere qualcosa. La giornata non era iniziata male, aveva già recuperato in parte dei vecchi crediti, circostanza che non sempre facilmente si presentava. Col sorriso sulle labbra si incamminò.

Monte Lesima

Monte Lesima 1724 m.s.l.m.

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