(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Tag: pregola Page 2 of 3

La tomba dei Malaspina

Come raccontato in precedenti articoli, a Pregola hanno vissuto per secoli i Marchesi Malaspina. Abbiamo detto che gli ultimi due discendenti dei Malaspina di Pregola, Rodolfo e Antonio, morirono nel secolo scorso senza eredi. Ma dove sono sepolti?

La loro tomba è nel cimitero di Pregola, situato fuori paese, sulla strada che porta al Passo del Brallo. All’interno del cimitero vi è una cappelletta, ormai purtroppo in cattivo stato, che conserva le tombe dei due marchesi.

Ecco alcune foto:

Google Street View a Ponti!

Qualche giorno fa dicevo come le immagini di Google Street View fossero finalmente disponibili anche a Voghera. Beh, sono disponibili anche a Brallo. Mi sono "fatto un giro" e ho notato che sono andati proprio dappertutto, mi sono visto posti che dal vivo non ho mai visto !!!! E Sono immagini scattate dell’autunno 2011, e i colori dell’autunno sono molto belli.

Ecco alcuni "scatti"


La strada che porta al Pian del Lago: che meraviglia !


La chiesetta di Cima Colletta


La strada che porta dal Colletta a Cencerate


La fontana di Ponti


Pregola vista dalla strada che porta al Penica


Selva !

Pregolabrallo

L’inverno a Pregola

L’anno, si sa, ha quattro stagioni. La primavera è per tutti, l’arrivo benefico del risveglio della natura. L’estate è accostata alle vacanze, al turista che gode dell’aria salubre, al ritorno al proprio paesello di quegli abitanti emigrati altrove. C’è trambusto: preparare feste, cuocere polente e salamini, imbandire tavolate di succulenti risotti, nonché dolci di varie specie. L’autunno è magnifico per i suoi colori, che a descriverli non basterebbe la tavolozza di un pittore. Gli orti offrono ogni ben di dio, dalle patate ai pomodori. L’autunno è propriamente accostato alla raccolta dei funghi, delle castagne, al tramestio dei cacciatori e dei trattori carichi di legna. Ed ecco poi l’inverno: lo si vuole freddo, triste, disadorno, lungo da passare. A Pregola non è così: coi suoi 1000 metri di altitudine l’inverno è una bellezza. Dapprima le piogge scroscianti, benefiche, che irrigano la terra; poi un bel manto di neve bianca, soffice, pulita, che copre tutto come una calda coperta; infine un silenzio assoluto che ti dà il modo di pensare, di ricordare, di progettare, di essere contento, di godere di quel mondo incantato che il paesaggio ti offre. Gli alberi spogli stanno lì fermi, sembrano sentinelle. I pini pendono i rami carichi e aspettano l’alito del vento per potersi scrollare di dosso la neve gelata. Il monte la fa da padrone: domina su tutta la vallata e ti difende dai venti. Lassù sulla punta sta la Madonna: il suo sguardo è per tutti, ma soprattutto volge a Pregola il suo gradimento. Gli uccelli che non hanno di che cibarsi, se non di una bacca di ginepro, volano a bassa quota cinguettando tutto il giorno: il loro pigolio anima la quiete della vallata. La neve e il freddo non sono più un grande guaio: con caldi doposci moon boot acquistati dalla Cinzia, con le scarpe da trekking da Fabio, la giacca a vento da Siro e il quad con quattro ruote motrici da Ivo ci si può permettere (come il dottor Villani) più di un bel giro sui prati innevati o su qualsiasi tipo di strada, sia essa impervia o ghiacciata. Che ne dite? È poi così brutto l’inverno a Pregola? Il rintocco delle campane è sì un po’ più fioco, ma non da meno squillante quando a Natale chiama a sé gli abitanti delle frazioni vicine per le messe religiose. E le case del paese? Abbarbicate attorno a quel pendio del monte, sembra si diano la mano, si tengano a braccetto, si sussurrino le paroline. Insomma un paesino da fiaba che trova il modo di sentirsi vivo anche in mezzo a quel gran silenzio. E la gente? Poca, in verità, ma buona. Cordiale, umile, socievole, generosa, sa badare ai fatti suoi e camminare con le sue tradizioni. La vita c’è: un camino fuma, una porta si apre e la vita è bella. È bello viverla quassù, dove si sente più che mai dover ringraziare Dio che ce l’ha data. E poi il Park Hotel? Raramente lo si trova su in montagna: le sue luci sfavillanti a tutte le ore richiamano gente da tutte le parti per un buon riposo e benessere. E che dire del nostro Gerry? Le sue sculture religiose su legno vivo testimoniano la sua bravura e l’impegno di tutti noi a non trascurare il loro significato: “Il mondo è bello, ma Dio ce l’ha solamente prestato”. Venite a Pregola d’inverno, un badile da offrirvi per spalare ve lo abbiamo preparato. Sapevate che fa la ruggine se inoperoso?

Rita


Foto by giames

 

Altre info…

…continua da ieri la storia della chiesa di Pregola.

Il campanile. Il campanile attualea torre  fu costruito nel 1934 per sostituire il vecchio campanile "a vela".

Il cimitero. Il primo cimitero era vicino alla chiesa, sul cocuzzolo del monte. Alla fine del 1600 gvenne costruito un nuovo cimitero vicino alla chiesa, ma nel XIX secolo ne fu costruito un altro, quello tuttora in funzione, lontano dal centro abitato.

Sempre tratto dallo stesso libro un piccolo paragrafo dedicato alla chiesa di Brallo:

Chiesa succursale di Brallo. Brallo, diventato capoluogo di comune nella prima metà del XX secolo si trovava sprovvisto di un seppur minimo luogo di culto. Forse influì il fatto che lo stesso paese era ed è diviso fra due parrocchie: la parte ad est dipende dalla parrocchia di Colleri, quella ad ovest è sotto la giurisdizione di quella di Pregola.
Il richiamo turistico che ebbe il territorio dopo la costruzione della strada intervalliva, il benessere che si stava sviluppando dopo la guerra e l’aumento delle auto private che favorì gli spostamenti famigliari, suggerì al parroco don Luciano Faravelli di far costruire la chiesa a Brallo.
Fu costituito un comitato promotore che affiancò il parroco nell’espletare le pratiche burocratiche e per la ricerca dei fondi necessari, composto da Carlo Bottiroli, Angelo Cavanna, Lino Gualdana, Pietro Ravetta e Siro Tordi. Per la progettazione fu scelto l’architetto Enrico Decorato di Milano, il quale presentò una proposta per una chiesa moderna in stile alpino. I lavori iniziarono le 1961, la chiesa fu ultimata nel 1965 e nel 1969 fu benedetto e consacrato l’altare.
 

(notadiFabio: per altre info su questa chiesa clicca qui)

Chiesa di Sant'Agata di Pregola

Fiorenzo Debattisti ha raccolto in un bel volumetto, intitolato "Nascita di Pregola e dell’antica chiesa di Sant’Agata" le sue ricerche sulla vecchia chiesa di Pregola. Queste ricerche hanno portato alla luce alcune interessanti storie della nostra parrocchia. Eccone alcune.

La chiesa è stata costruita dai monaci del monastero di S. Colombano di Bobbio, fondato dal santo irlandese nel 614. Già nel 622 il monastero ricevette una cospicua donazione di terreni da parte dei regnanti Longobardi, tra cui il territorio di Pregola. Per trovare citata la chiesa di S.Agata bisogna aspettare  l’anno 862. La chiesetta era sul cucuzzolo della montagna e il paese dovrebbe essere sorto intorno ad essa.I resti di quell’antica struttura sono tuttora visibili sotto alcuni metri dalla vetta in posizione sud-evst. A pochi metri vi si può trovare il fonte battesimale. L’unica mappa che riporta la chiesa risale al 1766, rinvenuta nell’Archivio di Stato di Torino.

Quando i marchesi Malaspina si insediarono a Pregola, costruirono anch’essi il loro castello sulla stessa montagna già occupata dalla chiesa e dal cimitero. Io sono andato tante volte da ragazzino su quella montagnetta, mentre mia mamma sistemava l’orto poco distante dalla Fiat 500 rossa parcheggiata nel prato, e ho sempre creduto che i resti fossero quelli del castello. In realtà, molto probabilmente (visto che non sono rimasti i ruderi), l’antico castello fu costruito dove adesso c’è la parte alta del paese. Un altro fatto non documentato ma verosimile è quello che vede la chiesetta incendiata durante l’assedio e la distruzione del castello da parte di Gian Maria Malaspina (anche se in questo post si dice che era il 1571 e il Malaspina in questione si chiamava Giovanni, invece in questo post è confermato il tutto…). Infatti nel 1576 la Diocesi di Tortona ordina di costruire una nuova chiesa. Ordine che venne disatteso per lunghissimo tempo a causa delle poche risorse economiche del paese.

Nel frattempo era sorto un oratorio, dedicato a S.Rocco, voluto probabilmente dai Malaspina, a poca distanza dalla casaforte fatta costruire copi ruderi del vecchio castello, in posizione più pianeggiante ai piedi della montagna. Verso la fine del XVII secolo questo oratorio fu modificato, ampliato, fino a divenire la nuova chiesa di S.Agata. Pare che i parrochiani non fossero entusiasti di questa soluzione, forse per non oltraggiare la tradizione della vecchia chiesetta, forse per ritrosia verso i marchesi che pretesero dei privilegi in cambio del vecchio oratorio.

La chiesa fu più volte aggiustata e mantenuta, ci furono lavori al tetto e alla sacrestia e, nel 1968, fu demolito l’altare esistente per sostituirlo con uno nuovo rivolto all’assemblea secondo lo spirito della riforma liturgica.

(fine prima parte, domani la seconda)

Ramo dei marchesi Malaspina di Pregola

Tratto (a volte liberamente tratto) da “I Malaspina di Val Staffora”, di Guido Guagnini, 1967

(seconda parte)

Esistono due rami. Un primo ramo va fatto risalire a Carlo Malaspina che sposò nel 1697 Lucrezia, figlia del marchese Giuseppe Malaspina di Godiasco, dal quale ereditò alcune porzioni feudali nonché l’elegante, antico palazzo Malaspina di Godiasco, il cui portale reca scolpite in arenaria la leggenda delle origine malaspiniane. Dall’epoca del matrimonio abitò sempre in Godiasco, ove pure dimorarono i suoi discendenti. Carlo ebbe un solo figlio, in seconde nozze, Corrado. Questi morì in giovane età ed ebbe vari figli: Guglielmo, che trovò morte tragica perendo annegato nello Staffora in piena, Giovanni e Riccardo. Quest’ultimo ebbe come figli Giovan Maria e Guglielmo, celibi, e Vittorio che a sua volta ebbe un solo figlio, Corrado. Come vedete ci sono nomi ricorrenti nella genealogia dei Malaspina. I figli di Corrado morirono in giovanissima età ad eccezione della quartogenita, Maria Teresa, nata nel 1891, che si fece suora ed è tuttora vivente (in realtà, in base alle mie fonti, è morta negli anni ’80 del secolo da poco terminato. Il libro del Guagnini è del 1967).

L’altro ramo della famiglia fu originato dal marchese Giuseppe nel XVII secolo. Giuseppe fu padre di Baldassarre che ebbe a sua volta un figlio, Antonio, che abitava in Pregola nel signorile palazzo della sua famiglia e che era in ottime condizioni finanziarie e che, anche dopo la soppressione dei feudi, aveva conservato ampi possessi fondiari in valle Staffora e in valle Trebbia; possedeva inoltre il bel palazzo di Varzi, ora sede del Municipio.
Il marchese Antonio ebbe due figli: Teresa e Baldassarre, nato nel 1826, che sposò Teresa Muzio di Varzi e che fu padre di Antonio e Rodolfo. Antonio, celibe, morì in Varzi nel 1923. Rodolfo, avvocato, aveva sposato la sua servente ed amante perché fu minacciato dai parenti di lei non volendo regolarizzare la sua posizione, ma non ebbe figli e morì l’anno dopo improvvisamente. Fu l’ultimo maschio dei marchesi Malaspina di Pregola.

Il castello antico di Pregola sorgeva sulla rupe posta all’ingresso del paese e fu distrutto nel 1571. Con in materiali ricavati si costruì l’attuale palazzotto, impropriamente detto castello. Nella sala principale del palazzo cinquecentesco vi è un bel camino scolpito e sopra di esso si vede il grande stemma dei marchesi Malaspina di Pregola che risulta così inquartato: nel I e nel IV di rosso, alla aquila bicipite coronata d’oro sulle due teste; nel II e nel III d’azzurro, allo spino secco, sorgente da una montagna di nero, afferrato da destra dal Leone Bianco rampante in posizione eretta e coronato d’argento. (Purtroppo è andato distrutto)

Pregola assume per lo storico un’importanza eccezionale perché può essere presa come archetipo del costituirsi del paese signorile della valle Staffora. Anticamente il feudo si estendeva molto verso mezzogiorno e comprendeva torri e castelli che le numerose divisioni fra i membri della famiglia ridussero sempre più, finchè cessato di essere marchesato autonomo, nel 1879 fu aggregato di fatto al marchesato di Santa Margherita.

Pregola fu senza dubbio la tappa del primo affacciarsi dei Malaspina sulla valle Staffora, considerata come il solo itinerario rapido per raggiungere le fertili pianure del Po. Pregola fu scelta come sede propizia a guardia del valico, con funzioni di controllo e con diritto di pedaggio, fonte prima della ricchezza del signore.

Ancora Malaspina

Tratto (a volte liberamente tratto) da “I Malaspina di Val Staffora”, di Guido Guagnini, 1967

(prima parte)

In primis c’era la famiglia nobile dei cosiddetti “Obertenghi”, così chiamati dall’illustre capostipite Oberto. Da questa famiglia ne discenderanno altre altrettanto illustri, come quella dei Marchesi di Massa-Parodi, di Massa-Corsica, dei Pallavicino, dei Lupi, dei Cavalcabò, dei Marchesi d’Este e, ultimo ma non ultimo, dei Malaspina. Questi ultimi discendono da uno dei figli di Oberto, vale a dire Oberto Obizzo I. Lui e i suoi discendenti si localizzarono tra gli appennini tra Genova, Tortona e Piacenza, nelle valli del Trebbia e dello Staffora, per tornare più tardi in Lunigiana, estremo lembo della Liguria Orientale, per rivendicare i diritti dei loro avi. Probabilmente questi primi progenitori dei Malaspina fissarono il loro centro nella sicura rocca di Oramala, in alta valle Staffora. Pronipote di Oberto Obizzo fu Alberto, detto “Malaspina”.

Sull’origine di tale soprannome, poi diventato nome ufficiale della casata, sono stati scritti fiumi di inchiostro. C’è chi sostiene addirittura che non fu assegnato ad Alberto, ma che fosse già in uso ai suoi avi. Questi nomignoli non erano certo loro prerogativa, visti i soprannomi Pelavicino (primo nome dei Pallavicino), Ribaldo, Malapresa, Malnipote, Iniquità, dati ai signori di quei tempi, che spesso facevano della rapina il loro mezzo per ottenere denaro dai sudditi e dai viandanti.

Il figlio di Alberto fu Obizzo, grande figura si signore feudale. Fu difensore di Tortona nel 1155, per cui la città gli dedica oggi una piazza, e poi ottenne dall’imperatore Federico Barbarossa un diploma di investitura feudale e assegnazione di territori. Questo importante diploma è la prova che i Malaspina dominavano in Lunigiana (nelle odierne province di Massa Carrara e La Spezia), la valle Staffora da Godiasco a Brallo, al Penice, l’alta val Curone, la val Borbera e alcuni luoghi di pianura nell’Oltrepo Pavese.

Fu nel 1221 che la famiglia si divide in due rami. Corrado sceglie come sede Mulazzo e mantiene lo stemma di famiglia, consistente in uno spino secco. Obizzino sceglie come sede Filattiera e adotta come stemma uno spino fiorito. Sia una discendenza che l’altra ebbero destini molto confusi. A quei tempi non era più uso mantenere intatti i possedimenti che quindi spesso venivano divisi tra i discendenti. Questa è stato uno dei motivi che hanno diminuito la forza della famiglia Malaspina. Quando si tentò di porvi rimedio istituendo le primogeniture fu troppo tardi. E ragione di debolezza e dissolvimento furono anche gli antagonismi, le discordie e le fazioni che tennero spesso divise le famiglie fra di loro e talora anche i membri di una stessa famiglia.

(continua domani)

Casaforte di Pregola

Tratto da “Castelli, Rocche, Case-forti, Torri della provincia di Pavia”, volume n° 6 “Oltrepò seconda parte”, a cura di Mario Merlo, Edizioni Selecta 2009 (ma molto probabilmente è una ristampa di un libro parecchio datato, diciamo almeno una quarantina d’anni):

—————————————————

Il territorio di Pregola è nominato in un diploma dell’imperatore Ottone I del 29 luglio 972. Nel documento vengono descritti – secondo valide testimonianze – per sommi capi i possedimenti locali del Monastero di Bobbio, con implicita conferma dei medesimi al predetto cenobio. Sembra che Pregola sia stato donato al Monastero da Re Agilulfo, ed è quindi probabile che il castello ivi esistito e l’intero abitato siano stati fondati da quei monaci in epoca imprecisabile, ma certo assai antica.

Per lungo tempo essi ne furono feudatari, finché, il 28 settembre 1164, Federico non lo devolse, unitamente ad altri luoghi della Valle Staffora, ai Malaspina. Quell’atto fu poi confermato da Federico II, nel 1220, Carlo IV, nel 1355, e Carlo V, nel 1541. Risulta che nel 1207 ci furono vertenze giudiziarie tra gli abati di Bobbio ed i feudatari imperiali, in ordine a contestazioni relative a benefici terrieri perduti.

Tralasciando altri passaggi, si arriva a Corrado, figlio di Morello Malaspina, che divise nel 1221, con il nipote Opizzo, i feudi della Liguria, riservandosi per sé quello di Pregola. Egli è considerato il capostipite dei Marchesi del luogo. Il feudo si estendeva verso mezzogiorno e comprendeva molti torri e castelli, che poi passarono in altre mani. Forse per divergenze familiari, Pregola fu assediato nel 1570 da un Giovanni Malaspina e figli, in lotta con altri componenti il casato; ma ebbero la peggio, ed uno di essi fu fatto prigioniero, deportato a Milano ed ivi decapitato. Il Marchesato di Pregola fu annesso alla comunità di S. Margherita Staffora.

L’antica rocca era posta alla sommità del cono roccioso che sovrasta l’attuale paese, già Comune ed ora frazione di Brallo di Pregola. Di essa e del primitivo abitato – testimoniato nel  1725, in forbito latino, da un parroco locale citato dal Goggi – non rimanevano all’inizio del sec. XVIII altro che vestigia plantari e ruderi più o meno consistenti. Non bisogna dimenticare che la pieve locale, dedicata a S. Agata (risarcita interamente in epoca recente), viene fatta risalire al tempo dei Longobardi e, precisamente, al secolo VII.

L’originario fortilizio fu distrutto quasi interamente, a quanto sembra, nel 1571. Con i materiali ricavati dalla macerie fu in seguito eretto un nuovo massiccio casamento, che da allora fu sempre denominato castello, ma la fama del paese andò progressivamente oscurandosi, fino a scomparire dalla scena politico-sociale della Valle Staffora. (Nota di Fabio: a mio parere Pregola era nella scena politico-sociale della Val Trebbia, pur essendo il paese nella Valle Staffora, tant’è che i marchesi di Pregola facevano parte del ramo dello Spino Secco, che dominava in Val Trebbia) Dell’antica rocca sono andate perdute anche le ultime vestigia murarie a ridosso del colle su cui sorgeva.


Casaforte di Pregola

Il castello attuale ha più aspetto di residenza patrizia di campagna che di casa-forte nel senso tradizionale del termine. Esso risalirebbe alla fine del Cinquecento o ai primi del Seicento ed è di proprietà Leveratto-Mangini. (Nota di Fabio: da quasi 40 anni è di proprietà Tordi, mi sa che questo libro è vecchiotto.) Vi si accede da nord per portoncino con arco a tutto sesto e serramento borchiato a teste di chiodi, oppure da sud, all’altezza della chiesa parrocchiale. La facciata principale è a capanna e presenta cinque finestrelle intermediate longitudinalmente da una incrinatura della parete.

Esternamente si nota nell’angolo di nord-est un corpo aggettante rinforzato da un barbacane appena accennato. Sul fianco sinistro si notano in corrispondenza ad un locale rustico una finestra strombata a guisa di profonda feritoia e, più innanzi, un’apertura difesa da una robusta inferriata cinquecentesca. Il locale interno era adibito a prigione. Le pareti sono in pietra locale a vista, su orditura comune.

Entrando dal portoncino si è subito in un vasto atrio contrassegnato da tre archivolti, uno dei quali gravemente lesionato. Due diverse scale conducono al piano superiore, suddiviso in locali di diversa capienza, tutti in precario stato di manutenzione. Nella sala maggiore, con soffitto su travature lignee, si vede un ricco camino sormontato da un grande stemma dei Marchesi Malaspina di Pregola, inquartato di rosso e d’azzurro. Nel I e nel IV campo si vedono aquile bicipiti in rosso nel II e nel III uno spino secco afferrato da un leone bianco rampante, coronato d’argento, entrambi in azzurro. Lo stemma gentilizio è sovrastato dalla corona marchionale a tre punte ed è avvolto da una ricca decorazione a stucco comprendente figure allegoriche ed ampie volute e caulicoli. L’opera è ascrivibile al sec. XVII. Il sottostante camino è in pietra color lavagna e presenta una leggera modanatura nell’architrave con radi dentelli, nonché due fascette laterali ed una specie di serraglia centrale.

 

In un’ampia cucina a pianterreno, sita nel corpo ad ovest come il salone precedente, esiste un secondo camino rustico a cappa, che ha la particolarità di possedere due fornelli laterali, oltre al focolare propriamente detto. L’ala dell’edificio volta a levante terminava con una torricciola la cui parte sommitale sarebbe rovinata alcuni decenni or sono. Il castello è felicemente ambientato e conferisce una certa nobiltà al piccolo ma pittoresco paese, che è ora dominato verso levante dal prestigioso complesso del Centro federale tennistico del CONI, con la sequela dei suoi rossi campi da gioco.

Pregola riveste una certa importanza come archetipo di antico paese signorile del Pavese montano. Anticamente il suo feudo si estendeva molto verso mezzogiorno e l’abitato ebbe funzioni di guardia e controllo con diritto di pedaggio, ciò che rappresentò una delle principali fonti patrimoniali per i suoi feudatari.

 


I Marchesi Malaspina

Quel fantasma per amico

Decisi di non parlare con nessuno di quello che avevo visto, anche per non sembrare preda di allucinazioni estive.

La sera successiva, dopo l’orario di chiusura, preparai lo stesso appostamento, dopo aver lautamente cenato e dopo diversi caffè per combattere il sonno.

Verso le tre del mattino, quando ero convinto che non sarebbe accaduto nulla, ricominciarono i rumori provenienti dalla sala. Stavolta uscii subito allo scoperto brandendo il bastone. Il visitatore notturno era lo stesso della notte precedente. Quando mi vide arrivare lasciò cadere la bottiglia di vino che aveva tra le mani e si diresse urlando verso l’uscita sbarrata, che attraversò senza aprire. Rimasi talmente scosso che non potei muovermi, mi ci vollero diversi minuti per riacquistare il sangue freddo. Controllai bene la porta d’entrata che era chiusa a doppia mandata. Non vi erano più dubbi, quell’essere non era reale, vale a dire che non era fatto di materia, insomma non era umano. Mentre ero perso in questi pensieri udii rumori di passi, mi voltai di scatto e lo rividi: era lui, era lì, lui in persona, o in non-persona, e qualunque cosa fosse, era a non più di quattro o cinque metri da me.
«Perché non fuggi?».
Lo guardai impietrito. La sua voce era profonda.
«Ho troppa paura», risposi.
Una sonora e fragorosa risata riempì la sala del pub «Castello» in quella notte d’estate del 1999. L’essere altri non era che il fantasma di Giovanni Malaspina. Mi spiegò la sua storia e mi fece molte domande. Minuto dopo minuto la mia paura svanì e l’interrogatorio si trasformò in una chiacchierata, che durò fino all’alba. Mi raccontò di quando, nel 1570, entrò in conflitto con i marchesi di Pregola per divergenze familiari e assaltò il vecchio castello, gli diede fuoco e lo distrusse, uccidendo barbaramente alcuni degli occupanti. Purtroppo per lui nella fortezza vi era ospite un vecchio negromante del Nord Europa che gli scagliò una terribile maledizione: dopo la morte il suo fantasma sarebbe rimasto intrappolato tra le mura del castello fino alla fine del millennio. Dopo decenni di solitudine, non gli sembrava vero che il maniero fosse ancora abitato. Avrebbe voluto bere qualche sorso di alcol ma, essendo incorporeo, non poteva, perciò furente fracassava i calici a terra.
Nelle settimane che seguirono queste chiacchierate si svolsero con regolarità quasi giornaliera. Giovanni mi chiedeva del mondo attuale, io mi facevo raccontare le abitudini, le imprese, le guerre e la vita di corte di quei secoli lontani.
Quando in autunno chiusi il pub, decisi di andare a trovare il simpatico spiritello almeno una sera la settimana. Così per i mesi seguenti continuarono i nostri incontri davanti al caminetto a chiacchierare. Passarono i mesi ed arrivò l’inverno. Il 31 dicembre mi recai al castello, dove trovai Giovanni in quello che una volta era il salone principale. Ci salutammo calorosamente. Ero triste per la perdita di quella figura ormai familiare, ma ero felice per lui, che avrebbe finalmente trovato la pace. Attraversò per l’ennesima volta il muro che divide il salone della cucina e scomparve.

Circa un mese dopo ero nel bar per fare un po’ di pulizie quando, ad un tratto, mi ritrovai davanti quel personaggio buffamente abbigliato che ormai conoscevo bene.
«Giovanni! Ma… come…» esclamai.
«Ricordi la maledizione? Ebbene, il millennio finisce il 31 dicembre del duemila, quindi, amico mio, dovrai sopportarmi un altr’anno ancora».

Questo è quanto accadde a partire da quell’estate del 1999.

——————-

Come ho già scritto e detto più volte, ma lo ripeto perché molti ancora me lo chiedono: è solo un racconto, non ho avuto le allucinazioni. E per di più Giovanni Malaspina non è mai esistito, il castello fu distrutto da Gian Maria malaspina e nel 1575.

——————-

ps dell’utimo minuto: secondo un’altra fonte fu distrutto da tal Giovanni Malaspina nel 1571… quindi un fondo di verità in quello che ho scritto c’è !!!!

Racconto d'estate

Nel 1999 il quotidiano La Provincia Pavese istituì un piccolo concorso letterario dal titolo "Il racconto d’estate". Chiunque avesse voluto inviare un piccolo racconto che si svolgesse nella nostra provincia evrebbe visto il suo lavoro pubblicato sul giornale e avrebbe partecipato alla vittoria finale. Io, per curiosità, per la voglia di cimentarmi in qualcosa di nuovo e per fare un po’ di sana e onesta pubblicità ad un’iniziativa che stavo per intraprendere, mandai il seguente raccontino:

———————-

Nell’estate del 1999 decisi di aprire una birreria a Pregola, frazione del comune di Brallo. A dir la verità una frazione dal passato glorioso, tant’è che fino a non molti decenni prima era il capoluogo comunale, sede da secoli di un marchesato. Il luogo che avevo intenzione di trasformare in un piccolo bar stagionale aveva anch’esso una brillante storia: era parte della casaforte (chiamata castello dagli abitanti del paese), residenza dei marchesi Malaspina, feudatari di Pregola dal 1164 e ivi residenti fino all’inizio del XX secolo. Inaugurai il pub «Castello Malaspina», situato nell’ala ristrutturata della struttura medievale, verso metà luglio. Nei giorni successivi iniziarono ad arrivare avventori da tutto l’Oltrepò pavese: gente del luogo e turisti attratti dalla frescura e dal fascino del maniero. Non avevo mai fatto quel lavoro prima di allora e l’inatteso successo mi aveva disorientato un po’. Non sapevo ancora che ben più emozionanti eventi mi avrebbero coinvolto. Tutto ebbe inizio quando alcuni abitanti del paese vennero a lamentarsi per il rumore proveniente dal bar che li aveva disturbati durante la notte. Io mi scusai sfoderando tutti i sorrisi di cui ero capace, ma in seguito mi venne in mente che il giorno precedente era lunedì e quindi il pub era chiuso.  Con un misto d’ansia e preoccupazione mi recai di corsa al castello, dove trovai molte bottiglie spostate, alcune rovesciate, e numerosi cocci di bicchieri in terra. Con un rapido sopralluogo notai che non c’erano altri danni, e nessun furto: un intruso beone dunque. Non risultavano assolutamente segni di scasso: da dove poteva essere entrato?

La settimana successiva, di martedì, mi si presentò sotto gli occhi la stessa scena: bottiglie e bicchieri sui tavolini e per terra, porte e finestre integre. Feci sostituire al più presto la serratura dell’ingresso, pensando che qualcuno fosse riuscito a procurarsi un doppione delle chiavi. Non riuscivo a spiegarmi comunque un particolare: perché gli ignoti visitatori non si limitavano a portare via le bottiglie o a berle in silenzio, bensì le frantumavano rischiando di farsi scoprire per il frastuono? Il lunedì seguente all’ora di cena ero nel castello, appostato nella toilette nell’attesa dei vandali della notte, armato di un grosso bastone. Rimasi tutta sera nello stanzino di pochi metri quadrati, fermo immobile,finestre chiuse, nessun rumore, il caldo che cominciava ad essere insopportabile, con grosse gocce di sudore che mi scendevano sulla fronte. Dopo qualche ora la situazione era peggiorata perché stupidamente non avevo cenato e i morsi della fame iniziavano a farsi sentire, accompagnati  dal mal di schiena dovuto alla scomoda posizione. Infine la sonnolenza ebbe il sopravvento e mi addormentai.
Fui  svegliato da rumori che provenivano dalla sala, mi affacciai e….cosa vidi: un uomo che stava versandosi del rum. Appoggiò il bicchiere su di un tavolino, lo riempì e bevve. Continuò per altre due o tre volte. Io ero preso dall’osservazione dei suoi abiti: di stranissima foggia, pareva un costume teatrale. Nel frattempo l’insolito ospite continuava a servirsi finché, in uno scatto d’ira, scagliò con forza il bicchiere per terra. Non potei più trattenermi e uscii allo scoperto ma, quando mi vide, corse verso il muro laterale e… lo oltrepassò vicino al camino!
Potete immaginarvi lo sgomento misto a paura che provai in quegli attimi. Dopo essenni un po’ tranquillizzato, diedi un’occhiata intorno: ancora una volta lo scenario era composto da cocci di vetro e bottiglie aperte.Un particolare mi sembrò subito molto strano: la bottiglia di rum era quasi piena, e io avevo visto’quel personaggio bere più di quattro bicchieri.
Preso da un autentico terrore aprii la porta — che era rimasta chiusa a chiave — e me ne andai.
Quella notte non dormii.
Avevo sognato ad occhi aperti per colpa del pasto saltato, del sonno e del caldo?

(continua domani)

Gerry contro tutti

Torniamo a parlare di Gerardo Napoli, detto Gerry. Ne avevo parlato circa un’anno fa in questo articolo. Cosa è successo? Che continua la lotta tra chi vede le sue realizzazioni come orrori che deturpano il paesaggio e chi, come lui ovviamente, che ritiene che invece lo migliorino.

Ho sentito il comitato anti-Gerry che dice: "Ci stiamo mobilitando per riuscere a fermare questo scempio: non è possibile che lui si permetta di distruggere la montagna di Pregola con delle schifezze che osa anche chiamare sculture, come quello che dovrebbe essere un Cristo e invece pare un alieno. In ogni caso, anche se fossero opere d’arte (cosa che non sono assolutamente), non troviamo giusto che a farne le spese sia un paesaggio naturalistico. Ci stiamo attivando per interpellare le autorità competenti e far sì che blocchino questo personaggio. Cercheremo anche i proprietari del monte per avviarso di questa cosa"

Gerry invece risponde "Sono stato ultimamente a Pregola e ho visto mio malgrado che la scultura d’angolo sulla roccia nera qualche buon pensante ha pensato bene di rovinarla. Non riesco a capire l’ignoranza e l’invidia della gente non hanno capito che le mie sculture possono anche non piacere ma creano curiosità e portano comunque gente. Cosa ci vuoi fare bisogna avere pazienza perchè Gesto d’asino non sale in cielo"

Chi la spunterà? Chi avrà ragione? State sintonizzati !

Malaspina

Avevo scritto anche qui che vi avrei raccontato un po’ la storia dei Malaspina. Quello che scriverò è essenzialmente tratto dallo splendido libro "I Malaspina" di Giorgio Fiori.

Dunque, per prima cosa: da dove vengono i Malaspina? Diciamo subito che provengono da una delle più grandi famiglie feudali del medioevo, gli Obertenghi.  Questi nel corso della storia si divisero dando vita a numerose dinastie, tra cui gli Estensi, i Pallavicino e, appunto i Malaspina. Il primo ad avere questo soprannome fu un tal Alberto, circa nel XII secolo. Il perchè (e anche il percome) lo avessero chiamato così resta un mistero… forsè perchè non era proprio di animo buono e gentile, ecco ! A quel tempo la sua stirpe aveva in mano due territori ben distinti: quello in Lunigiana e quello più al nord nelle valli Trebbia, Aveto, Staffora e Bormida. Un personaggio molto importante fu Obizzo, figlio di Alberto, che passò allegramente più volte da guelfo a ghibellino, aiutando sia il Barbarossa che la Lega Lombarda. I figli e nipoti di questo, Corrado e Obizzino, ebbero invece numerosi problemi con Piacenza, sia a causa di guerriglie che soprattutto di problemi finanziari (dovevano gestire un territorio troppo grande e sterile). Per far fronte a questa situazione divisero i possedimenti: a Corrado (capostipite della linea dello Spino Secco) andò la maggior parte della Lunigiana, la val d’Aveto, Trebbia e Borbera, mentre ad Obizzino (linea dello Spino Fiorito) la rimanente parte della Lunigiana , la Valle Staffora e Curone.

Qui incominciò l’ulteriore suddivisione dei possessi, che minarono la potenza politica ed economica della famiglia. Al figlio di Corrado, Alberto (che fantasia nei nomi eh?) andò il feudo di Pregola nel 1266.Questo feudo era composto dal territorio alla sinistra del Trebbia, da Torriglia fin quasi a Bobbio. Pregola ne era la capitale e il limite occidentale. Un personaggio degno di nota è il marchese Corradino, che nei primi anni del 1300 riuscì ad occupare Bobbio e fu alleato dei Visconti di Milano. I suoi eredi, per manifesta paura di attacchi da parte dei genovesi, dei piacentini o dei milanesi, si accordarono proprio coi Visconti, a cui donarono ufficialmente tutti i loro possessi, col patto di esserne nominati feudatari.
Malgrado tutte le divisioni i Malaspina conservarono una certa influenza nella politica italiana e si mantennero alleati degli Sforza, i nuovi duchi di Milano.

I Malaspina di Pregola si suddivisero in diversi rami, tra cui quello di gran lunga più importante e che è durato fin quasi ai giorni nostri è il ramo, appunto, di Pregola. Ebbe come capostipite Azzo figlio di Corradino, che a sua volta ebbe un figlio sempre di nome Azzo. Siamo circa nel sedicesimo secolo. Nel 1541 Oliviero Malaspina, figlio di Azzo, ricevette la conferma dell’investitura imperiale per il suo feudo,  e successivamente venne assassinato da altri Malaspina. Suo figlio Gian Maria (finalmente un nome diverso!!!) tentò nel 1570 di occupare con la forza il castello di Pregola, di cui era condomino, ma che allora era tenuto da altri suoi parenti. Il colpo non gli riuscì e, per vendicarsi, devastò e incendiò per rappresaglia Zerba e Belnome, bruciando persone e rubando il bestiame. L’anno successivo gli vennero confiscati i beni e Gian Maria nel 1575 pose nuovamente l’assedio al castello di Pregola ma, non essendogli riuscito di averlo a patti, lo incendiò distruggendolo completamente.

A Pregola fu costruito un palazzo, probabilmente alla fine del ‘500, che venne sempre denominato "castello", in quanto residenza dei marchesi, ma che più propriamente era una casaforte. Rimase residenza per lungo tempo e appartenne al ramo della famiglia fino alla sua estinzione.

L’ultimo feudatario di Pregola fu Baldassarre, dato che nel 1797 l’invasione francese pose fine ai feudi imperiali che furono annessi prima alla Repubblica Ligure, poi alla Francia e infine, in seguito alla caduta di Napoleone, al Regno di Sardegna. La fine del feudalesimo non provocò veri danni finanziari ai signori di Pregola, che già nel ‘700 avevano accumulato anche un vasto patrimonio fondiario, sia in Valle Staffora che in Val Trebbia. Antonio, figlio di Baldassarre, fu l’ultimo a risiderere stabilmente a Pregola. Suo figlio e i suoi nipoti abitarono prevalentemente a Varzi. Indovinate come si chiamò suo figlio? Esatto: Baldassarre! Il quale ebbe a sua volta due figli: Antonio (ma va?) e Rodolfo.

Questo Baldassarre morì giovane e i figli furono cresciuti dalla madre, donna energica ed avveduta. Nel 1868 essa acquistò per loro conto il palazzo posto sulla piazza principale di Varzi e che divenne sede principale della famiglia; il palazzo di Pregola era invece utilizzato come villeggiatura estiva. I due giovani orfani Malaspina si diedero a quel tipo di vita ozioso piuttosto diffuso nella società provinciale del tempo, poichè la loro posizione sociale, tanto più invidiabile se paragonata all’indigenza generale della popolazione della montagna, rendeva loro assai più facili i successi di un certo tipo.
Il marchese Antonio, a furia di fare lo sbruffoncello, quasi quasi ci lasciò le penne. Verso il 1873 frequanteva una signorina appartenente ad una delle migliori famiglie di Varzi, Maria Giacobone che, lusingata dalla prospettiva di un grande matrimonio, lasciò cadere altre occasioni. Nel 1879 il Malaspina troncò il rapporto e si trasferì a Roma, dove già abitava il fratello Rodolfo che, laureatosi in legge, si dedicava alla carriera giudiziaria. Per giustificare questa rottura Antonio raccontò in giro delle ragioni assai lesive all’onorabilità della ragazza che ne risentì anche in salute. Il fratello Ambrogio giurò di vendicarla, qualora il Malaspina si fosse azzardato a ricomparire in paese.

Il Malaspina, forse ignorando il seguito della vicenda e le chiacchiere di paese, ritornò in Varzi e, il 29 aprile 1880, davanti al caffè Callegari, posto sulla piazza principale e luogo di ritrovo dei notabili locali, si avvicinò senza darsi pensiero al crocchio ove era anche il Giacobone, che sentendosi con ciò provocato, estrasse una pistola e gli sparò, ma lo colpì solo superficialmente. Subito fermato e disarmato, il Giacobone si costituì spontaneamente; al giudizio che seguì in Voghera, l’opinione pubblica era tutta dalla sua parte; egli venne addirittura assolto e la vicenda finì in tal modo. Sua sorella trovò ugualmente marito, mentre il Malaspina continuò con le sue attività galanti, imitato dal fratello che a Roma mandava avanti una lunga relazione con la sua governante.
L’ormai maturo Antonio si prese a servizio una giovane di Pregola, certa Rhos, che a sua volta nutrì notevoli speranze di essere sposata, ma non ottenne nulla. Mise al mondo un figlio, che il marchese Antonio si guardò bene dal riconoscere anche perchè era mezzo scemo e fisicamente disgraziato; e men che meno ne sposò la madre. Non si sposò mai e morì nel 1923 nel suo palazzo di Varzi.

Suo fratello Rodolfo, rimasto unico erede del patrimonio, passò a sua volta la vita tra le facili avventure, ma infine i congiunti della sua convivente lo obbligarono a regolarizzare con il matrimonio la sua posizione. Naturalmente, per l’età più che matura dei coniugi, non vi era più speranza di prole, ed anche il marchese Rodolfo, che spesso veniva a soggiornare a Varzi, vi morì improvvisamente nel 1924. Il palazzo di Varzi divenne sede del municipio, quello di Pregola fu acquistato da una famiglia di amici e congiunti e vi continuò ad abitare la Rhos e una sua sorella fino alla morte.

(ps posso aggiungere che ne primi anni del 2000 una parte del palazzo, detto castello, è stato animato da centinaia di persone che frequentavano un pub nato nell’ala meno nobile del palazzo e chiamato, appunto "Castello Malaspina")

Pregola

L’amico Davide "Dadà" ha creato un sito dedicato a Pregola, ridente località che fu capoluogo di comune (di Pregola, appunto, ora denominato comune di Brallo di Pregola). Anzi qui apro una breve parentesi. Molti sono erroneamente convinti che il mio paese si chiami Brallo di Pregola (e molti pronunciano Prègola, mentre si dice Pregòla). In realtà le cose sono andate così:  nella zona ci sono dei paesini che da che mondo è mondo sono sempre stati dei capoluoghi naturali, nel senso che c’era qualcosa di importante, come ad esempio la residenza dei signorotti del posto. Come ad esempio Corte Brugnatella, Santa Margherita e, appunto, Pregola. Quando hanno istituito i comuni, il capoluogo era Pregola. Tant’è che il mio papà ha scritto sulla carta d’identità "Nato a Pregola". Nel frattempo Pregola aveva perso di importanza a favore del Passo del Brallo, dove hanno fatto passare la strada che arrivava dalla valle Staffora per proseguire in val Trebbia (prima non c’era). Brallo si è trovato quindi ad essere un centro sempre più importante e quindi sono nati bar, ristoranti, la stazione della posta, il municipio, ecc. E molte giovani coppie dei paesi circostanti si sono trasferite, dopo la seconda guerra mondiale, in questo fiorente paese (come i miei genitori). E così si è deciso di trasformare il nome del comune da Pregola a Brallo. Per non perdere l’antica denominazione si è giunti al compromesso di chiamare il comune "di Brallo di Pregola". Ma il paese quindi non si chiama affatto "Brallo di Pregola", si chiama "Passo del Brallo".

Torniamo a Pregola. Nel sito in questione potete trovare foto, articoli e quant’altro. Peccato che io sul mio computer non riesca a vederlo, visto che si può utilizzare solo con quella ciofeca di Internet Explorer. Altra dimostrazione che quel maledetto browser non utilizza standard e quindi un sito ottimizzato per Explorer è inaccessibile da alcuni. Cavoli siamo nel 2008 e non si sono ancora adeguati! Dadà fai qualcosa.… ma che programma usi? Non dirmi Frontpage per favore!!!

Nel sito troverete, ta le altre cose, i "Pensieri Pregolesi". I primi pensieri sono di Lisa che, da buona giornalista, ha inagurato la sezione.

Un ultimo appunto: potete trovare il gruppo "Pregola" anche su Facebook.

La grande onda

Dedicata a Umbe, per quando torneremo a bere birra bianca e saltare i tavolini

A cavallo di quest’onda,
sballottato da sponda a sponda,
inseguendo un’altra volta
la grande onda che ritorna
.
Luce rossa squalo in vista,
nella mischia sono surfista.
Pista!!! fuori dai coglioni,
sulla tavola da leoni.
Tra campioni e campionatori
buonanotte ai suonatori,
iri-iri-ari-oh,
dentro l’acqua seguo il flow.

Mai quest’onda mai mi affonderà,
gli squali non mi avranno mai.
Mai quest’onda mai mi affonderà
Sha la la la la Sha la la la la la,
un’altra volta un’altra onda.
Sha la la la la Sha la la la la la,
quanto resisterai?

Quando il vento poi non tira
resteremo alla deriva,
tra le onde di questa vita,
nelle righe di questa rima.
Diversi destini,
partenze arrivi.
Dov’è che vai, cosa farai?
Ti reggerai o scivolerai!
Sai che qui non c’è più tempo
perchè il sole sta scendendo.
Sulla tavola estate inverno,
questa muta che fa da guanto.
Aspettando un’onda lunga,
passa la cera un’altra volta.
Poi col vento nelle mani,
qui il futuro è già domani.

Noi siamo i giovani, i giovani più giovani,
siamo l’esercito, l’esercito del surf

(era Piotta – La Grande Onda)

Page 2 of 3

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén