(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Portorose

Portorose è una località di mare della costa della Slovenia (una delle poche, visto che la costa slovena non è grandissima , saranno una quarantina di chilometri).
La costa è come quella a cui siamo abituati in Liguria, vale a dire con le colline / montagne a ridosso del mare. Dal nostro appartamento c’era una splendida vista del mare e del paese.
La particolarità interessante, per noi italiani italofoni che abbiamo sempre difficoltà ad esprimerci in altri idiomi è che qui vige perfettamente il bilinguismo e l’italiano è correntemente parlato da tutti. Ovviamente, essendo la Slovenia nell’area Euro, non c’è neanche il problema del denaro.
Per viaggiare in Slovenia ci vuole il bollino autostradale, la cosiddetta vignetta, che va usata anche sulle superstrade e quindi è pressoché obbligatoria. La settimanale costa 15 euro.
Portorose (in sloveno Portorož, ma come dico qui anche i cartelli sono sia in italiano che in sloveno) non ha spiagge nel senso comune del termine. Quindi niente sabbia, ma neanche niente sassi o scogli: solo terrazzoni di cemento sul mare. Ci sono quelli “liberi” dove mettere i salviettoni, ci sono quelli “a prato” con l’erba e quelli attrezzati (sono quelli degli alberghi, ma accessibili a chiunque) a pagamento con lettini ed ombrelloni. Il costo, per chi è abituati ai prezzissimi della Liguria, è irrilevante (due lettini e ombrellone costano un terzo che a Rapallo).
Il mare non è cristallino, nel senso che non è certo un posto dove vedere le barriere coralline, anzi. Però  nelle spiagge private perlomeno è pulito, visto che ci sono le barriere anti-rudo. Portorose è un posto molto mondano, pieno di locali giusti per la sera.

Sbrisolona sbrisulona sbrisolina sbrisulusa sbrisulada

Ragazzi, l’Italia è piena di bei posti, di città che hanno un passato che sprizza da ogni mattone, zampilla da ogni strada, sgorga da ogni angolo. E allora, con una altra abituale quarantina di minuti, dalla Trebisonda perchè non raggiungere anche Mantova?

Lo so che a molti non piace vedere una città in una giornata, sembra di perdersi il meglio, i dettagli, di non poterla conoscere come si deve. Hanno ragione, ma è altrettanto bello farlo, per avere un’infarinatura della sua storia, del suo ambiente, del suo stile, del suo essere. Per esempio: Mantova è come il suo dolce tipico, la sbrisolona. E’ una città arroccata, circondata dal Mincio, pare quasi un’isola. E in quei pochi chilometri quadrati sono racchiusa secoli di storia. E’ bello parcheggiare lungo i muraglioni e addentrarsi nel centro a piedi. Bello scoprire i suoi palazzi, i suoi scorci medieovali, le sue chiese, ma anche i suoi negozi, la sua gente. E’ bello respirarne i sospiri del tramonto, mentre i sole si abbassa sull’acqua creando una luce familiare, rassicurante. Non voglio spiegarvi Mantova come ho spiegato Verona, potete leggerlo su qualsiasi opuscolo o sito turistico. Voglio spiegarvi l’atmosfera. Voglio dirvi quanto è bello mangiare una pizza in Piazza delle Erbe (eh si, anche qui una piazza con lo stesso nome) mentre si fa sera. Oppure gironzolare senza meta nelle sue vie, ascoltando il vociare proveniente dai caffè e osservando la gente fare gli ultimi acquisti nei negozi prima della chiusura. Oppure sedersi su una panchina, mano nella mano col mio amore. Le ore del crepuscolo hanno qualcosa di magico, e la nostra amata ma bistrattata Italia ha sempre tanti bei luoghi che aspettano solo di essere visitati.


Due ombre in Piazza Sordello

Montecchi e Capuleti

Ripartendo dall’agriturismo Trebisonda, sempre in poco più di una trentina di minuti potete arrivare a Verona. Per chi non ci fosse mai stato ve la descrivo brevemente. E’ la più grande per numero di abitanti tra le città del Nord Italia "di provincia", ovvero quelle che non sono capoluogo di regione. E’ famosa in tutto il mondo e infatti è frequentatissima dai turisti, sia per le sue bellezze artistiche, sia per i suoi eventi, sia per il furbo marketing derivato dalla storia di Giulietta e Romeo. Il suo fiume è l’Adige e la sua storia passa dai Galli, ai Romani, i Goti, i Longobardi, Carlo Magno, Sacro Romano Impero. Fu addirittura sede papale nel dodicesimo secolo. Ma la sua grandezza arrivò con la signoria dei Della Scala, prima di finire sotto il dominio di Venezia (in piazza delle Erbe si può vedere il Leone di San Marco, simbolo della città lagunare, eretto per dimostrare sottomissione al doge veneziano). Seguì quindi il destino della Serenissima che dopo oltre un millennio di indipendenza, fu occupata durante la guerra franco-austriaca di fine 1700e finì nel regno Lombardo-Veneto fino all’annessione all’Italia nel 1866.

La prima cosa da vedere, appena arrivati, è sicuramente l’Arena, il celeberrimo anfiteatro romano. Se è tuttora in buono stato, nonostante tanti disastri naturali (alluvioni, terremoti) lo si deve anche a Teodorico: e poi parlano male dei barbari. Anche Dante passò di lì a vedere uno spettacolo e Palladio ne studiò l’architettura. Fu sempre usata per attività ludiche (e non): spettacoli, giostre, incontri, persino esecuzioni. Ci fu l’esposizione di un rinoceronte nel 1751, la caccia ai tori (una specie di corrida) e attualmente è teatro di rappresentazioni di opere liriche. Personalmente la ricordo come sede storica della finale del Festivalbar, perdonatemi la bassezza, ma per me lo spettacolo di Vittorio Salvetti era un’istituzione.

Le vie centrali di Verona traboccano di negozietti e boutiques di grandi firme. La centralissima via Mazzini vi porterà fino alla già citata Piazza delle Erbe, dove una volta vi era il foro romano e sede di storici e begli edifici. Da li potete iniziare la vostra visita seguendo uno degli innumerevoli itinerari che vi portano a scoprire le bellezze della città: i suoi angoli, le sue chiese, le sue case medioevali, i suoi scorci sull’Adige.

Oltre a questi classici luoghi riscontrabili più o meno in molte città italiane, ci sono i luoghi diventanti famosi tramite un’attenta politica di promozione turistica del culto di Giulietta e Romeo. I due innamorati, personaggi inventati, sono i protagonisti di una storia che Shakespeare ha raccolto, rinnovato e resa leggendaria. Circa un centinaio di anni fa i veronesi hanno incominciato a propagandare la "Casa di Giulietta" (pare fosse realmente la casa della famiglia dei Cappelletti, storpiata dal sommo drammaturgo in "Capulet" e re-italianizzata in Capuleti), la "Tomba di Giulietta" (non esistendo Giulietta non esiste neanche la sua tomba, ma la storia è talmente avvincente che vale la regola "non è vero ma ci credo") e la "Casa di Romeo" (casa dei Montecchi, famiglia veronese molto importante)


Acquasantiera della chiesa di Sanr’Anastasia

(continua domani)

Ho perso la trebisonda

Oggi vi parlerò bene dell’agriturismo Trebisonda, situato appena fuori del paese di Monzambano, in provincia di Mantova.
Il posto è veramente carino, questo è il sito: www.trebisonda.com E’ un posto tranquillissimo, immerso nella natura, silenzioso. Un vero agriturismo: gli utlimi metri da percorrere sono addirittura non asfaltati, niente TV in camera e un allevamento con circa 15 cavalli. Sono scelte, possono piacere o non piacere, ma chi arriva li deve sapere che sta fuggendo dalla frenesia cittadina. Gli appartamenti sono belli, perlomeno quello che ho avuto modo di vedere ("La casa della vigna vecchia"), ristrutturati bene e discretamente arredati. I gestori sono gentilissimi, molto disponibili e ti fanno sentire veramente a tuo agio. La posizione geografica è ottima: in mezz’ora o poco più puo raggiungere il Lago di Garda, oppure Verona, oppure Mantova. E nei dintorni ci sono splendide località da visitare.

Per esempio Borghetto sul Mincio, uno dei Borghi più belli d’Italia. E’ veramente caratteristico, un paesino di mulini proprio SUL fiume e non ACCANTO al fiume. Ci sono segli scorci da favola e graziosi posticini da visitare. Molto romantico. Appena accanto troverete anche Valeggio, dove potete vedere l’antico Castello Scaligero. Se siete in zona è obbligatorio andare a Borghetto!

Oppure Castellaro Lagusello, altro borgopiùbelloditalia. E’ una frazione di Monzambano, sede di un antico maniero, di cui la gran parte rimane tuttora intatta. Si possono vedere le torri e le cinta murarie. Quanti bei posti da vedere in Italia! E se volete fermarvi al Dorsè Bar potete assaggiare la loro specialità locale: il Fugasì, sorta di pane contadino non lievitato, una specie di piadina cicciuta, dove il condimento va sopra anzichè dentro come nei classici panini.

A circa mezz’ora o poco più (dipende dal traffico – molto facile che ci sia – e dal parcheggio – molto facile che non ci sia) potete anche raggiungere Sirmione, la perla del Lago di Garda. Il paese è situato sulla punta di un istmo, vale a dire una penisola stretta stretta che divide il sud del lago in due. Il problema del traffico è proprio nel fatto che c’è una strada sola e i turisti sono sempre tanti. Arrivati a Sirmione sarete "accolti" dal castello scaligero, che è fatto proprio "a castello": è il punto di accesso al paese, circondato dalle acque su tutti e quattro i lati, alte mura con merletti e torri. La visita prosegue nelle vie e piazze, dove potete trovare negozi molto belli e tanti bar. Sirmione è anche centro termale, quindi il turismo deriva anche dagli amanti del benessere. Una location da visitare inevitabilmente, indubbiamente, obbligatoriamente…e anche qualunquemente sono le Grotte di Catullo. Costui, per chi non lo ricordasse, era un poeta romano che visse proprio nella Città Eterna, ma ogni tanto non disdegnava di tornare nella sua bella villetta sul Lago di Garda (all’epoca chiamato Benaco). Le cosiddette grotte sono in realtà resti di una villa romana, attribuita al poeta, senza peraltro prove certe. La denominazione "grotte" è dovuta al fatto che nei secoli la villa è stata interamente ricoperta di terra e vegetazione e i primi a cui riapparve la scambiarono per una serie di caverne. Quindi non è un grotta e non è di Catullo, ma tant’è… Ha ragione Elisa: vedendo l’immensità, la grandiosità, la magnificenza, la straordinarietà di queste rovine ti rendi conto di come è stato possibile che i Romani abbiano conquistato il mondo: dopo di loro l’Europa è sprofondata in mille anni di barbarie da cui siamo faticosamente usciti dimostrando capacità e mietendo successi in tanti campi: dalla scienza all’arte, dall’esplorazione alla tecnica, dall’inventiva alla capacità di fare…ma non ancora nella maestosità dell’Impero Romano.

(prosegue domani)

Take a picture

È incredibile pensare quante storie, quanta gente che torna a casa, quanti papà che stanno giocando coi loro bambini, quante vite che scorrono nelle case illuminate che si vedono dall’aereo. Stiamo tornado a casa.

Ma cominciamo con ordine. Stamattina ancora una bella e sana colazione a Le Dune. Giudizio complessivo del Bed & Breakfast sicuramente positivo: carino, pulito, gente simpatica e cordiale, vicino alle spiagge e al centro città. L’appartamento non era grandissimo, ma tanto eravamo sempre fuori. Un saluto al gatto Nerone e al cane di cui non sappiamo il nome (e alle tartarughe assassine, agli uccellini tropicali e tutte le bestie varie che ci sono lì) e ci facciamo un giro in spiaggia. Ovviamente non in spiaggia-spiaggia, ma sugli scogli. Per la precisione quelli dove siamo stati l’altroieri, visto che la caletta ci era piaciuta molto: ombra, sole, possibilità di tuffi e panorama gradevolissimo. C’è stato anche un giretto di perlustrazione che io e il Lurenzun abbiamo fatto nelle vicinanze. Poi il rito dei tuffi (anche di testa) (io no!) (cioè a dire il vero ci ho anche provato, ma con scarso successo). È incredibile come questo sole ti asciughi dopo pochi minuti che esci dall’acqua. Giudizio finale sul mare della Puglia, o meglio sul mare del Salento, o meglio sul mare di Otranto e dintorni: mare bello, pulito (a parte qualche rara eccezione), colorato, caldo e molto salato; spiagge pressoché inesistenti, trattasi quasi sempre di scogliere, il più delle volte per niente lisce (anzi decisamente frastagliate tanto da assumere aspetto vulcanico) e quasi sempre difficilmente raggiungibili. Le sporadiche spiagge sabbiose sono piccole, strapienissime di gente e devo dire non proprio pulitissime. Quindi direi: bello è bello, ma niente di eccezionale.

La signora del B&B gentilmente ci fa usare la doccia per sciacquarci via il sale, ci cambiamo e cerchiamo un posticino per mangiare velocemente qualcosa. Ora parlerò male de “Il Ghiottone”, locale che nelle insegne e scritte diceva: bar, ristorante, pizzeria, gelati, panini, bibite. Ci sediamo e ci apparecchiano il tavolo portandoci le liste ristorante. Quando diciamo che vogliamo panini ci fanno cambiare tavolo (quello senza tovaglia) e ci dicono di entrare a ordinare i panini. Scopriamo così che sono panini industriali “di plastica”, imbustati nel cellophane, molto peggio di quelli che si possono trovare nei distributori automatici. Alla faccia della ghiottoneria.

Facendo i conti abbiamo circa un’oretta scarsa per visitare Alberobello, patria dei trulli. Dopo un paio d’ore raggiungiamo questa località, che noi tutti pensavamo fosse sul mare o perlomeno in pianura, invece è in collina. Alberobello è patrimonio dell’umanità (ollallà addirittura). I trulli sono in un apposito quartiere, probabilmente il vecchio nucleo cittadino, una volta abitato e adesso sede di negozio di ricordi per sciocchi turisti come noi. Purtroppo la visita deve essere breve per forza, ma perlomeno abbiamo soddisfatto Mastro Lorenzo che immaginava che i trulli fossero disseminati per tutta la puglia e non segregati in un’unica zona. Mesti mesti e lesti lesti raggiungiamo l’aeroporto Karol Wojtyla di Bari, lasciamo la nostra fida Fiat Bravo che ci ha accompagnati in questi 5 giorni ciucciandoci 90 euro di carburante e ci facciamo una pizza da Spizzico (senza infamia e senza lode). A proposito di pizza, personalmente a Otranto  vi consiglio la pizzeria Cala dei Normanni e la pizza Estate. Volevamo sperimentare anche la pizzeria La Bella Idrusa, di cui ci avevano parlato bene, ma c’era sempre una fila pazzesca a qualunque ora e non accetta prenotazioni dopo le 19 !!

Ora siamo sull’aereo, e sotto di noi greggi e greggi di pecore a forma di nubi. O saranno cirrocumuli? O stratonembi? E tante tante tante luci di tante città con tante case e tante storie da raccontare…

L'ultima spiaggia

Oggi abbiamo deciso per il sud di Otranto. Partiamo in auto, andiamo, andiamo, andiamo e arriviamo.. a Otranto! Ok, allora prendiamo la litoranea per Orte. Ad un certo punto la strada finisce e andiamo giù a piedi.

Da qui si vedono i monti dell’Albania e siamo anche parecchio vicini alla Grecia, visto che l’altroieri la TIM mi ha mandato un SMS con scritto "Benvenuto in Grecia". Alla radio si prendono stazioni di entrambi gli stati.

Dopo tanto camminare ci accorgiamo di essere finiti in un pessimo posto tutto scogli, assolutamente non piatti, con quel paesaggio tipicamente lunare e purtroppo anche parecchio sporco. Mestamente ce ne ritorniamo all’auto sotto il solleone. E poi ci chiediamo come mai alla sera siamo sempre stanchi!

Riprendiamo la litoranea e raggiungiamo S. Cesarea, compriamo della frutta per pranzo e ci adagiamo sugli scogli, cercando qualche punto piatto. Un bel bagno ristoratore mi fa apprezzare ancor più le mi scarpette da mare, visto che per entrare e uscire dall’acqua bisogna passare su scogli appuntiti. Ci mettiamo all’ombra a pranzare e poi ci dividiamo in dormienti (Gallipoli e Tomasopoli) e leggenti (io e Santi Licheri). Il bagno del pomeriggio è a basa di tuffi, dove stupiamo tutti col nostro stile a… non so come definirlo… blocco di cemento è abbastanza verosimile…

Siccome il pomeriggio è ancora lungo, dopo esserci rinfrescarti decidiamo di fare tutta la costa fino a Leuca, fermandoci ogni tanto per vedere il panorama. E’ confermato: spiagge zero o al massimo zero virgola uno. Anche il panorama interno non è bellissimo: campagne abbastanza brulle, al limite qualche uliveto, e casettine tutte uguali piuttosto bruttine a nostro gusto.

Lungo la strada abbiamo anche visitato la Grotta Zinzulusa, chiamata così perché sembra piena di cenci a brandelli, stracci, chiamati zinzuli nel dialetto locale. E’ visitabile nel primo tratto, con le classiche stalattiti e stalagmiti. Ci vivono ancora i pipistrelli, che escono solo di notte…

Arrivati al santuario di Santa Maria (di Leuca) ci siamo soffermati per una visita. Pensate che Santa Maria di Leuca non fa neanche comune. E così abbiamo raggiunto la punta più a sud del Salento. Ora non ci rimane che tornare su.

Alla sera ci facciamo l’ultima pizza e progettiamo il dafarsi per domani, giorno di rientro. Raggiungiamo a piedi uno dei pochi posti dove non siamo ancora stati, il porto di Otranto. Giusto per macinare ancora qualche chilometro e schiantarci nel letto belli cotti. A domani.

Salento is not Puglia

Stamattina abbiamo fatto colazione in compagnia del gatto Nerone, poi ci siamo inerpicati lungo la costa per raggiungere località meno frequentate. Abbiamo trovato delle calette veramente carine sul lato nord della città. Ce n’era una sabbiosa e poco dopo un’insenatura dove l’acqua era abbastanza profonda, di colore veramente da cartolina. Ci siamo fermati li. Il paesaggio è oggettivamente bello, l’acqua molto pulita e sempre calda. Figuratevi che in paese c’è gente che fa il bagno anche alle 9 di sera!
Ci siamo concessi anche dei tuffi dalla scogliera: bastava arrampicarsi per qualche metro e c’è una pedana naturale con sotto una pozza di acqua profonda abbastanza da permettere un discreto salto. La mattina è scorsa così velocemente in modo divertente. Il tenente Michele e il soldato Lorenzo hanno riportato lievi ferite da arrampicata sugli scogli, ma il tutto è guaribile in un paio di giorni. Al ritorno abbiamo pensato di percorrere un sentiero alternativo, sicuramente più "facile" ma anche più lungo, ci siamo quasi dispersi per la campagna di Otranto, per poi raqggiungere un barino dove abbiamo sperimentato insalatone e friselle.

Qui sono molto campanilisti e specificano il fatto che Salento is not Puglia. E poi si lamentano se Bossi dice che Padania is not Italia.

Al pomeriggio raggiungiamo Lecce. Ci accorgiamo subito che i negozi aprono molto tardi, verso le 17,30. Probabilmente perché fa un caldo dell’accidente: perlomeno ad Otranto basta andare in riva al mare per sentire un po’ d’aria, qui si boccheggia. Lecce ha la fama di essere città barocca, da alcuni definita la "Firenze del sud". Beh barocca lo è, in quanto a Firenze lasciamo stare, non facciamo paragoni per favore.

Abbiamo visitato il Castello, eretto da Carlo V, per poi dirigerci verso la centralissima Piazza Sant’Oronzo dove c’è l’anfiteatro romano e proseguire verso piazza duomo, la chiesa di Santa Croce, ecc. Il centro di Lecce si gira facilmente, i monumenti da vedere sono tanti, quasi tutti costruiti con la classica pietra leccese e molti in stile barocco. Deve avere avuto sicuramente un passato fasto. Carina, oserei concedere anche un bella, ma non certo imperdibile.

Notiamo che in giro ci sono tanti fricchettoni: venditori ambulanti, ritrattisti, ma anche personaggi di passaggio: tutti colorati e coloriti. Ho notato anche tanti negozietti gestiti da stranieri: africani e indiani. Per cena abbiamo seguito il consiglio di Fabio e abbiamo provato un ristorantino tipicissimo niente male dove abbiamo preso le ricciaredde cu li pumitori scattariciati e un classico vino Negroamaro. Il cameriere non pare aver molta simpatia per il quasi omonimo gruppo pop.

Dopocena la città è sicuramente più viva, anche se alle undici di sera c’è ancora un caldo terribile. Gironzoliamo un po’ senza meta e poi ritorniamo verso la costa. Tutti a nanna.

Cicalecicalecicale

Stamattina alle 8.30 a svegliarci ci ha pensato il mio cell. Era un tecnico della Telecom che, nel giro di poco tempo (si fa per dire) ha risolto un mio problema. Ma su questo farò un apposito post sul blog quando torno a casa.
La colazione è stata veramente ottima e abbondante e la padrona di casa ci ha dato qualche dritta sulle spiagge. Abbiamo scelto Baia dei Turchi.
E’ interessante notare che il quartiere nel quale alloggiamo non ha vie interne, è un blocco unico e per tornare al punto di partenza, visto che la nostra strada è a senso unico, occorre fare il giro dell’isolato intero.
Un’altra cosa che stiamo notando e che qui in periferia costruiscono dappertutto delle simpatiche casettine, che sono però tutte una identica all’altra e, a nostro gusto, abbastanza bruttine.

La baia è un posto proprio bello, il mare pulito, il fondale sabbioso e la giornata è splendida. Io sono abbastanza sofferente alla sabbia in spiaggia, odio sentirmela addosso. E’ così bello quando sei in acqua, ma poi esci e ti sporchi di sabbia: sulle mani, nelle scarpe, sugli occhiali da sole, in faccia. Poi se metti la crema è la fine. Va beh..

Abbiamo fatto un po’ di vita da spiaggia, poi un super mega bagno giocando a palla. Sono queste le cose che ti fregano: non lo senti, ma il sole ti sta arrostendo ben bene. Stasera vedremo. Una volta cotti a puntino abbiamo deciso di tornare verso la civiltà per nutrirci. Prima una bibita da un simpatico e rustico venditore semiabusivo e poi un barino lungo la strada, dove abbiamo scoperto che le "pucce" sono dei megapanini immensi.

Dopo pranzo abbiamo cercato e trovato la spiaggia di Alimini, ma eravamo cotti dal sole preso al mattino e appesantiti dal cibo, così ci siamo messi all’ombra. Lo so, sono un maledetto rompiballe, ma decisamente non era il mio posto preferito: sabbia, aghi di pino, formiche addosso e per finire un rumore infernale prodotto da non so quante cicale, di cui il boschetto (e tutti quelli della zona) sono strapieni. I miei amici hanno sonnecchiato un po’, io mi sono dato alla lettura, a brevi esplorazioni e all’ascolto della radio. Ritornati in stanza abbiamo considerato il colorito preso: pensavamo peggio sinceramente, non siamo proprio fosforescenti…

Stavolta abbiamo raggiunto il centro a piedi, visto che sono solo 10 minuti di passeggiata. C’è veramente un sacco di gente in giro. Scegliamo un altro ristorante. Gli altri menu a base di pesce. Io, ovviamente, carne. Dopodiché decidiamo di andare a vedere il Castello Aragonese. Veramente imponente. L’Italia è proprio un posto pieno di storia. Raggiungiamo pian pianino la nostra dimora. A domani.

Vieni a ballare in Puglia

Quest’anno ce la siamo presa comoda. Dopo che l’anno scorso abbiamo rischiato di perdere l’aereo, stamattina partenza alle 8. Arriviamo a Cardano al Campo, parcheggiamo e ci facciamo portare a Malpensa dove facciamo una cara ma buona colazione. L’aereo parte in orario (1140) e arriva in anticipo, dopo un viaggio tranquillo. La nostra Bravo noleggiata da Maggiore ci porta sulla superstrada in direzione Otranto. Siccome la fame si faceva sentire, nel primo pomeriggio decidiamo di approfittare della prima uscita per trovare un posticino. Da veri maestri arriviamo a Cala Fetente. Il nome è tutto il programma ma rimediamo quattro rosette con cotto formaggio e pomodoro. Ripartiamo nel gran caldo (grande invenzione l’aria condizionata) e arriviamo a destinazione. Al Bed & Breakfast “Le Dune” ci accoglie la signora che ci mostra la camera. Beh decisamente meno spaziosa di quella di Valencia, ma quella era da sciuri, qui ci dobbiamo accontentare di un letto matrimoniale e una specie di letto a castello. Dopo una sistemata decidiamo di finire il pomeriggio nella spiaggia vicina. In realtà qui di spiagge vere e proprie ce ne sono poche e quelle poche con sabbia riportata. Per il resto sono strani scogli di apparenza lunare o vulcanica, appuntiti e scomodi. Però l’acqua è veramente spettacolare, caldissima e piacevole. Ringrazio me stesso di aver portato le scarpe da mare, che mi permettono di mettere giù i piedi in acqua  e gli occhialini, così posso vedere dove vado… C’è da dire che qui, come avevo già notato in Sicilia, non sono molto attenti a tenere puliti i luoghi, se ne fregano abbastanza. Un peccato, perché i luoghi sono belli, basterebbe un po’ di attenzione e un po’ di senso civico in più. Al nord non sono certo educatissimi, siamo pur sempre italiani, ma qui è peggio.

Alla sera usciamo per una perlustra della città. Dopo poche centinaia di metri in auto scopriamo di essere già praticamente in centro e quindi parcheggiamo. La vista della baia di Otranto dall’alto è meravigliosa. È incastonata in una piccola insenatura. Non so il perché, ma questo posto mi ricorda due località siciliane. Per il golfo mi sovviene, appunto, Castellammare del Golfo, mentre per la conformità delle viuzze mi ricorda Cefalù. Lo so che magari non c’entra niente, ma le sensazioni di dejà vu sono fatte così. Resta il fatto che il panorama è incantevole. Scendiamo e passeggiamo alla ricerca di una pizzeria. C’è un sacco di gente in giro, ci sono tutti i negozi aperti. Prima si passa sul lungomare, poi si sale sulla terrazza, da dove si torna a vedere tutte le luci del golfo. All’interno invece le viuzze e le stradine pullulano di negozietti di ricordini e di gente. Di pizzerie purtroppo no, quindi ritorniamo alla prima che avevamo visto. I miei soci si buttano sull’impepata di cozze che io evito accuratamente (non perché non fosse buona, non lo metto in dubbio, ma perché non sono un tipo da pesciolame vario). La mia pizza “Estate” è veramente buona. Dopocena un giretto a comprar ricordini, ma siamo cotti per la giornata faticosa e ce ritorniamo at home. Buonanotte.

Adiós

Oggi è il giorno del rientro. Quindi ci vuole subito una buona colazione. Andiamo nel bar di ieri, è bellino, roba buona, è lungo la strada e c’è la connessione wi-fi per chi è dotato di iPhone. Lasciamo le valigie nella reception della ditta che gestisce il nostro appartamento e scegliamo la meta di stamattina: il bioparc.

È un enorme e modernissimo zoo. Scordatevi gli animali in gabbie di due metri per due. Qui sono liberi di muoversi in territori adeguatamente ampi. Il visitatore compie un percorso che lo fa attraversare virtualmente l’Africa, passando a fianco a questi territori popolati dagli animali. Gli animali più innocui si possono tranquillamente vedere ad occhio nudo, quelli più pericolosi sono separati da uno spesso vetro (anche se c’è sempre un metodo per vederli, da lontano, senza vetro). Gli ambienti ricordano la loro terra naturale e al posto dei recinti ci sono alte rocce, che in realtà sono fatte di cemento colorato. Ci sono giraffe, leoni, leopardi, gorilla, coccodrilli, pesci, lemuri, zebre, rinoceronti, ippopotami, iene.. a volte sembra di stare dentro al cartone Madagascar, mancano solo i pinguini !



Guardate che bel micione questo leopardo

Certo che qui a Valencia ne hanno avute di idee, e hanno saputo realizzarle: e il fiume, e la Coppa America, e la Formula 1, e l’acquario, e la città della scienza, e il bioparco. Da noi sarebbe dura realizzare un posto così. Perlomeno al nord, intendo, visto che il clima non permetterebbe una vita agevole a tutti questi animali. Si potrebbe farlo in una qualche città del sud, sempre che.. va beh non fatemi parlare di politica. Io da piccolino ero stato allo zoo di Milano, chissà se esiste ancora? Non credo.

Mangiamo un panino al barino, dove il simpatico barista ci regala anche olive e patatine. Meditiamo sul dafarsi per il pomeriggio, c’è chi propone una visitina all’Oceanografico, ma sinceramente non ho più voglia di vedere animali per oggi, probabilmente ci andrò la prossima volta. Perché chiaramente ho intenzione di tornarci a Valencia, prima o poi. Sono quei posti che hanno un fascino particolare. Nella vita tornerò sicuramente a Parigi, la città romantica per eccellenza, a Londra con le sue frenesie e le sue meraviglie nascoste in ogni piega (per chi le sa trovare), magari a Budapest e sicuramente a Valencia.

I soci mi danno retta e ci incamminiamo verso il Museo delle Scienze. Un grandissimo str..ano autista di autobus ci lascia a piedi e quindi attendiamo quello dopo. Col bus ci vediamo per l’ultima volta la città. Ho notato che qui se ne fregano bellamente della vittoria della Spagna ai mondiali di Calcio. Mi sa che non sono contentissimi da queste parti. Non c’è in giro una bandiera che sia una. Ci sono invece, tantissime, le bandiere della Comunità Valenciana.

Al museo almeno c’è fresco, ma l’esposizione è un po’ una cazzata. Niente di particolarmente interessante. Allora prendiamo la gita come parco giochi per adulti e passiamo il tempo a fare foto strane. È un posto dove portarci i bambini. Infatti ci sono i personaggi Marvel, le astronavi di Star Trek e cose simili. E poi ci sono tanti esperimenti da fare per scoprire le leggi della fisica. Niente di scientificamente rilevante, un grosso passatempo, a nostro non qualificato parere.

Decidiamo di tornare verso le valigie percorrendo il Parco del Turia, ma oggi fa veramente caldo e dopo qualche centinaio di metri stiamo per schiattare e optiamo ancora per il bus. Ultime foto, ultimo saluto alla città, ultima telefonata verso la costa ligure e poi sul Ryanair che ci porta, nuovamente in ritardo, in Italia. D’ora in avanti non abbiamo più diritto di lamentarci dei ritardi aerei,  che ci hanno permesso di fare questa gita, e così sopportiamo in silenzio.

E passiamo ai voti:
Valencia: 8 (I motivi li avete letti in queste quattro puntate)
Compagnia: 8 (Ben assortita, o mal assortita se preferite. Ognuno con la sua personalità, come fossimo personaggi di un film ben riuscito)
Maestro Miguel Cornelio Orionès: voto 8 per il numero di sms/telefonate (di cui almeno la metà alla nonna, secondo lui), voto 4 per il numero di sms ricevuti durante la notte con la suoneria accesa, voto 2 per il senso di orientamento in una città dove peraltro c’era già stato. Voto 1 per non averci mai portato a vedere la città della scienza di notte nonostante le nostre continue richieste.
Maestro Miguel Galinero Arrostido: voto 7 per il cambiamento di colore al sole, voto 8 per aver tenuto la cassa comune in quanto militare con più alto grado.
Maestro Lorenzo de Toma detto El Tomate: voto 6 per la borsa gialla da spiaggia, voto 9 per la maglietta ma voto 2 per non aversi voluto far crescere i baffetti, voto 7 per la perseveranza a fare foto, voto 2 per non aver voluto assaggiare la bistecca di toro cruda.
Maestro Brunos Fabi: voto 7 per l’abilità a risolvere i sudoku, voto 9 per essere diventato ufficialmente Maestro proprio in quest’occasione.
Maestro Martin Tordero Palermo: voto 8 per aver portato una borsa di 10kg piena di cazzate, ma di aver dimenticato il cavo di rete e l’adattatore elettrico, voto 5 per l’ordine in stanza (d’altronde, senza comodino…), voto 4 per aver sempre qualcosa da ridire sul cibo.
Lola: 9 (non solo per il cibo)
Movida valenciana: 5 (molto al di sotto delle aspettative)
Trasporti: 5 (aerei in ritardo, autisti di autobus che sono veramente delle cacche)
Premio speciale della giuria a Maestro Tomato e milioni di punti maestro a Orion el Matador de noantri (promozione TIM: ogni sms spedito 1 punto maestro, ogni sms ricevuto 100 punti maestro, ogni telefonata dall’estero 1000 punti maestri, nefer 2010 è praticamente tua!)
 

La Lola

A Valencia si parla ovviamente il castigliano, vale a dire lo spagnolo, ma anche il valenciano, che altro non è che una forma di catalano, come a Barcellona. Sono molto campanilisti da queste parti, in tutta la cosiddetta Comunità Valenciana vige una specie di bilinguismo e alcune scritte sono in entrambe le lingue. In Italia succede che se lo fanno in Alto Adige o in Val d’Aosta è chiamato bilinguismo ed è una cosa bella, se invece lo fanno a Bergamo lo chiamano razzismo, ignoranza e viene criticato da tutti. Ma così va il mondo.

Un’altra particolarità di Valencia sono i balconi. Hanno una struttura di ferro, ma il “fondo” è costituito da piastrelle. Generalmente non ci si fa caso, ma alcuni hanno delle notevoli piastrelle disegnate che si fanno notare (beh per forza, se sono "notevoli"…) (mi prendo in giro da solo).

Oggi visitiamo il mercato coperto. Mi piace proprio come idea: ci sono tanti banchi di generi alimentari, dal pesce alla frutta, e alcuni di generi non alimentari. Dà una sensazione di pulizia, essendo al chiuso. Inoltre hanno la possibilità di tenere aperto con qualsiasi condizione climatica. Facciamo un giro, qualche foto di rito, prendiamo qualche ricordino e poi ci dirigiamo ancora verso la spiaggia. Stavolta prendiamo i lettini per crogiolarci comodamente al sole, a parte El Tomason che preferisce l’ombra, anzi la sombra. Oggi ci arrostiamo ben bene, il sole picchia parecchio e ogni tanto ci tuffiamo in cerca di refrigerio, anche se l’acqua pare brodo. Io non ho niente da leggere e mi annoio, allora vado in cerca di un’edicola. Mi rendo ancora più conto che qui non hanno molto il senso degli affari per quanto riguarda le attività della spiaggia. Oltre al fatto che i barini sono proprio pochi e non tanto forniti, non ci sono negozietti vicino al litorale. Ieri LLLorenzo ha dovuto scarpinare parecchio per trovare una crema protettiva (che poi è una delle poche cose che hanno i barini sulla spiaggia), oggi tocca me alla ricerca insensata di un Corriere della Sera. Dopo aver scoperto che si dice “diario”, mi hanno indirizzato sempre più verso l’interno, per poi trovare una specie di cartoleria che aveva solo quotidiani spagnoli e cruciverba. Per la sola soddisfazione di non aver fatto tanta strada per niente acquisto un sudoku (identico a quello di Don Fabio Bruneiro). Per pranzo scegliamo una vicina cervezeria in stile messicano, dove prendo una bella insalatona.


Il mercato

A metà pomeriggio smettiamo di drogarci di raggi UVA e raggiungiamo la Plaza de Toros per assistere alla corrida. È una di quelle cose, se sei in Spagna, e specialmente in una città come Valencia, a cui vale la pena assistere. Lo spettacolo in sé è una gran pirlata, nel senso che è uno sport (o similare) veramente assurdo: alcuni uomini torturano un povero e stupido animale, finché arriva il matador e lo finisce. Lo spettacolo sta tutto nella teatralità. Per la carità, si potrebbe obiettare che gli stessi spagnoli hanno appena vinto la coppa del mondo in uno sport dove 22 uomini in mutande corrono dietro a una palla, ma almeno lì c’è poco di cruento e non si sa mai come va a finire, qui il risultato è scontato. Gli altri spettatori, turisti a parte, erano di ben altro avviso e si emozionavano parecchio; probabilmente siamo noi inesperti che non capivamo appieno i gesti. Resta il fatto che io un bambino non ce lo porterei di certo, può fare una brutta impressione vedere quei molossi punzecchiati sulla nuca che perdono litri di sangue… Funziona essenzialmente così: entra il toro, una mezza dozzina di matador di basso livello lo sfiancano facendolo correre qua e la, poi altri matador più alti in grado iniziano a piantagli in corpo delle picche infine arriva il fenomeno e lo finisce. Non subito, ci mette un buon venti minuti di saltelli. Gente che ha fegato, indubbiamente, ma il confronto è chiaramente impari. E poi, onestamente, a veder seccare un animale non mi importa così tanto. Però è folkloristico.

Il primo matador era a cavallo ed era parecchio bravo, soprattutto erano bravi i cavalli che usava. Il terzo era un tizio giovane, con cappa e spada, con molto fegato e molto benvoluto dal pubblico. La teatralità non mancava, c’era pure la banda che suonava le musichette. Come ho detto, se non siete di stomaco debole ne vale la pena, anche se lo reputo uno spettacolo insulso e abbastanza inutile. Lorenzito invece era totalmente contrario a questa violenza gratuita e ha abbandonato l’arena lamentandosi parecchio, seguito dopo un po’ da Miguelon che si era un po’ stufato, mentre io, Miguelin e il Legale siamo rimasti fin dopo le 9 di sera. Al ritorno ne ho approfittato per scegliere un bel regalino por la mi novia.

Dopo una rinfrescante doccia decidiamo il luogo della cena. La scelta va su un ristorante molto fashion: La Lola, sempre dalle parti della cattedrale, che ci era stato consigliato da amici di amici di amici di amici che abitano da queste parti. L’ambiente è particolare, strano ma non stravagante, elegante ma non snob. Abbiamo paura che le porzioni siano da nouvelle cuisine, ma siamo smentiti: il cibo è buono e abbondante. Il conto non è basso, ma ne vale la pena. Consigliato. Ci chiediamo chi sia la Lola che da il nome al locale, e abbiamo dei sospetti: non necessariamente deve essere una donna

Dopo cena ci buttiamo ancora per il calli del centro a fare un po’ di foto sceme. All’una tentiamo di andare a bere qualcosa sedendoci ai tavolini di un bar, ma stava chiudendo. Tenete presente che qui l’una è appena dopo cena. Non possono farci finire di cenare a mezzanotte e poi chiudere i locali all’una! Ci dicono che possiamo stare all’interno, ma poi non fanno entrare Micorio perché non è elegante..pensate che io avevo su le infradito !! L’Avvocato e il Geometra ci abbandonano, noi tre cerchiamo un altro locale e riusciamo almeno a bere qualcosa. Poi abbandono anch’io. Dopo mezz’ora arriva il Tomatino e infine Miguel de Valencia. È l’ultima notte. Buonanotte.

5 minuti

Siccome siamo tutti stanchi e siamo in vacanza ci alziamo relativamente tardi. Evviva: oggi i negozi dei dintorni sono aperti e il luogo sembra più vivo. Il nostro appartamento è nel bel mezzo del cosiddetto Barrio del Carmen, che dovrebbe essere il centro della movida di Valencia, ma finora era un po’ desolante. Facciamo colazione e scopriamo che qui vige ancora la barbara usanza di fumare nei locali. Al mattino non ti dico com’è piacevole addentare una tostada con marmelada mentre ti sfumazzano addosso.

Dopo una breve visita ai Jardines del Real prendiamo la metropolitana di superficie (in Italia la chiamiamo “tram”) in direzione mare: oggi spiaggia!

La spiaggia, come dicevo, è molto estesa in lunghezza, ma lo è anche in larghezza. Bella, non aspettatevi però niente di eccezionale. A parte pochi posti non è attrezzata con sdraio, lettini e ombrelloni, quindi piazziamo giù i nostri salviettoni sulla sabbia sabbiosa sabbiolosa. Il mare ricorda Rimini: dopo cento metri l’acqua arriva ancora alla vita. Non ci sono chiatte dove prendere il sole al largo o fare tuffi, nessuno che affitta pedalò o cose simili. Insomma un po’ mortina. In compenso non ci sono neanche venditori ambulanti a rompere le palle, a parte qualche raro personaggio che vende cocco (quelli ci sono in tutto il mondo, credo). Io e Maestro Avogado abbiamo portato gli occhialini ma c’è poco da vedere: i fondali sono sabbiosi e poco limpidi, però l’acqua è calda e pulita e si sta bene. C’è una bella arietta, magari ci frega e stasera saremo tutti scottati. Orio Il Serio dorme, Fabio fa il sudoku, io leggo (e scrivo questi appunti) e Lorenzo e il Galinero passeggiano sul bagnasciuga. Dopo le 2 affrontiamo il pranzo in una specie di Mc Donald’s. Da buoni italiani insistiamo, in un altro locale, a prendere il caffè, ma Migueliton Oriòn vuole seguire le tradizioni locali e si prende un bicchierone di horchata, credendo, per assonanza, che sia orzata, salvo poi scoprire che è una bevanda a base di latte di uno strano tubero. E poi si lamenta se lo prendiamo in giro.Stiamo in spiaggia fino alle 6, per poi tornare verso il centro.

Il mezzo a Valencia c’è l’alveo di un fiume, il Turia, che è stato artificialmente deviato dopo lo straripamento del 1957 che costò la vita a molte persone. Nel letto asciutto è stato quindi realizzato un enorme parco che corre lungo tutta la città dove ci sono giardini, piste ciclabili, campi da tennis, calcio, rugby, minigolf e chi più ne ha più ne metta. Una trovata a dir poco geniale, non credo ci siano una cosa simile in altre parti del mondo. Lungo tutto l’ex fiume ci sono ancora i ponti che lo attraversavano. Alcuni molto caratteristici, anche se li abbiamo visti solo di passaggio dal finestrino del bus.

Visitiamo la zona della Città delle Arti e delle Scienze, un complesso architettonico anch’esso costruito nel letto prosciugato composto da strutture modernissime e spettacolari. Molto molto molto molto carina. Pare che qualcuno, come sempre succede, abbia criticato la costruzione di queste opere, come è naturale che sia. Pensate alla storia della Torre Eiffel o cose simili. Però non le concepisco troppo queste contestazioni: un conto è distruggere qualcosa di antico per costruire delle porcherie, un altro è approfittare di uno spazio che prima non c’era per costruzioni avveniristiche. La cittadella è composta dal Palazzo delle Arti (che ha la forma che mi ricorda un pesciolone, utilizzato per concerti di musica classica, opere, danza, teatro e via dicendo), l’Emisferico (usato per proiezioni 3D), l’Umbracle (usato come parcheggio), il Museo delle Scienze (cosa sia lo dice il nome) e l’Oceanografico (un acquario, stile quello di Genova), l’Agorà (pare che non gli abbiano ancora trovato una destinazione). Tra queste costruzioni ci sono delle fontane che completano la coreografia. Insieme alle nuove strutture del porto secondo me danno un certo carattere alla città, che ha tradizioni antichissime (fu fondata dai Romani) e, pur mantenendo intatte la sua storia, viene spinta verso il futuro. Ecco l’impressione che mi da Valencia.

Sarebbe bello vivere in una città di mare così: spiagge facilmente raggiungibili, centro storico caratteristico e vivibile, porto molto turistico, divertimenti e relax… insomma c’è un po’ di tutto, calibrato attentamente.

Alla sera ci spariamo ancora parecchia strada a piedi, giusto per gradire. Ceniamo in un ristorante vicino alla cattedrale, sempre con cucina tradizionale spagnola. Per digerire passeggiamo ancora fino alla stazione e alla Plaza de Toros. Quando ci buttiamo nel letto siamo veramente ma veramente a pezzi.

Valencia

Stanotte ho dormito poco, sonno agitato. Alle 7 sono già pronto e guardo la TV. Arriva Lorenzo e raggiungiamo gli altri.

Per raggiungere l’aeroporto di Bergamo scegliamo di passare a Piacenza e Brescia per non trovare il traffico di Milano del lunedì mattina. Abbiamo fatto male i nostri calcoli, visto che verso Piacenza c’è molto traffico. Tranquilli, è tutta gente che va in vacanza. Invece no, sul tratto per Brescia è quasi peggio: molto traffico e tutti in corsia di sorpasso. Iniziamo a preoccuparci. Il magister alla guida si innervosisce. Dopo Brescia peggio ancora, ci sono code. Sono le 9 passate e il gate chiude alle dieci meno un quarto. Dobbiamo  ancora raggiungere l’aeroporto, parcheggiare, fare il controllo bagagli. Alle 9 e 35 siamo fermi in autostrada. Aereo peso, accidenti (siccome siamo persone educate esclamiamo tutti: accidenti!). Ma non ci perdiamo d’animo, tentiamo il tutto per tutto. Grazie ad un’intuizione di Mastro Geometra usciamo a Seriate, troviamo per colpo di culo un posto vuoto all’inizio del parcheggio e ci buttiamo di corsa verso gli imbarchi. X fortuna c’è poca fila e i tizi sono in leggero ritardo.
Ce la facciamo, mitici! C’è stato un momento in cui non ci avremmo creduto.

L’aereo parte con 45 minuti di ritardo. Pensa che beffa se avessimo trovato il gate chiuso per poi vedere l’aereo fermo sula pista.

Arrivati a Valencia prendiamo la metro direttamente in aeroporto (che comodità) e raggiungiamo il centro per un pranzetto in un posticino carino, dove ordiniamo pietanze ignote, ispirati solo dal nome. Maestro Michele alla fine del pranzo ordina ancora un piccolo spuntino e gli arriva un piattone con uova e prosciutto crudo. Ottimo, visto che dice di essere intollerante alle uova (e ai latticini). Il nostro appartamento è carino, su due piani, 3 stanze, 2 bagni e una living room con cucina. Mastro Toma viene rinchiuso in una stanza, così saremo immuni dal rumore di motosega. Don Orione decide di sistemarsi sul divano, gli altri nelle stanze di sopra.

Dopo un sonnellino ristoratore usciamo per un primo giro. La nostra guida spirituale, il Maestro Orione, ci conduce presso le il Convento del Carmen, le Torri di Serranos e presso la Basilica e la Cattedrale (dove è custodito un calice che si dice essere il mitologico Santo Graal). Da lì saliamo sul campanile, dove dopo più di 200 ripidissimi scalini arriviamo sulla sommità dove sta la campana del Miguelet  da dove si ha una supervista della città.

Valencia sembra vecchiotta, ma pare pulita. Ha un passato arabo e lo si nota in alcuni tratti, ma in giro di arabi se ne vedono pochi. Da questo punto di vista mi ricorda Palermo. Dopo una granita abbiamo visto la Stazione, in stile Liberty, molto caratteristica. A fianco c’è l’Arena, dove fanno le corride.

A questo punto un salto alla FNAC per comprare un cavo di rete, perché da noi c’è il collegamento a internet, ma solo via cavo. Ovviamente poi scopriamo che c’era un cavetto nel cassetto sotto la TV. Un altro problema è che tutte le prese elettriche hanno due buchi, mentre io ho tutte spine con tre “robi”. Domani comprerò un adattatore, sono venuto a Valencia per comprare cose elettriche…

Qui gli orari sono molto spostati rispetto a noi, caratteristica comune a tutta la Spagna. Si pranza tardi, si cena tardi.

Sulle saracinesche dei negozi spesso ci sono dei disegni (stile street art, o graffiti che dir si voglia) che spesso ricordano il negozio a cui appartengono. Evidentemente sono fatti apposta, molto caratteristici.

Alla sera abbiamo raggiunto la zona del porto, dove ci sono tutti gli “hangar” dei team che hanno partecipato alla 32ma (e alla 33ma) Coppa America: Alinghi, Oracle, Prada, Shosholoza, ecc. e dove è stato realizzato il nuovo circuito di Formula Uno. Un edificio molto caratteristico è il Veles e Vent, dai cui balconi si dovrebbe ammirare tutta la zona. Da lì, verso nord parte la spiaggia sabbiosa che si estende per parecchi km: prima Las Arenas e poi la più nota Malvarrosa. Dopo 5 minuti di cammino (si fa per dire) raggiungiamo una zona costellata da una miriadi di ristorantini. Ne abbiamo scelto uno e abbiamo cenato con paella valenciana, sorseggiando sangria. La paella, piatto tipicamente spagnolo, è nato proprio qui e, contrariamente a quanto si crede, la ricetta tradizionale prevede riso, zafferano, olio, carne di pollo e coniglio e verdure. Niente pesce quindi. Infatti il cameriere, vedendo che siamo stranieri, ce lo spiega in modo da non trovarci delusi. A me che il pesce non piace va benissimo! Altra info: sembra banale, ma il nome deriva dalle padelle che vengono usate. Incredibile: anche qui il Maestro Orione appena entrato ha salutato due tipe italiane che conosce. Idolo.

Quando abbiamo finito era mezzanotte passata da un pezzo e quindi siamo tornati in taxi. Finora  abbiamo visto sommariamente il centro storico e il porto e devo dire che il feeling con questa città è piacevole: accomuna tradizione e innovazione (che frase da depliant turistico che mi è uscita.) Buonanotte, a domani.
 

Lisbona tre

Ritorniamo al barino sotto casa e scopriamo che il cappuccino, senza cannella, è gradevole. I croissant invece qui in Portogallo hanno dimensioni enormi, infatti te li portano tagliati in due altrimenti non ce la faresti ad azzannarli.

Gironzolando per la città si notano molti africani, di più rispetto alla media dei paesi europei dove sono stato (con alcune eccezioni). Magari perché fino a non molti decenni fa il Portogallo aveva ancora colonie in Africa (come la Francia) e quindi ci sono facilitati gli spostamenti. Un altro popolo con numerose presenze è quello dei cinesi. Ci sono tantissimissimi negozi al pubblico gestiti dai figli della Terra di Mezzo che vendono un po’ di tutto, ma soprattutto abbigliamento. Siamo finiti anche in una specie di centro commerciale a più piani straripante di questi negozi, che probabilmente vendevano anche all’ingrosso vista la notevole mole di merce accatastata.

Ci siamo diretti alla Cattedrale di Lisbona. Non mi ha impressionato. La struttura è imponente ma molto austera. Anche l’interno segue lo stesso stile e quindi è tutto di pietra senza (o quasi) statue, affreschi, abbellimenti. Solo alte colonne di fredda pietra. Imponente, ma un po’ troppo cruda.

Un’altra caratteristica di Lisbona è costituita dai tram. Sono piccolini (di solito una sola carrozza) perché molto spesso vanno in salita in vie strette. Guardando le rotaie ci si accorge che talvolta non c’è proprio spazio per i pedoni e altre volte i tram sono costretti ad “allargare” la curva, altrimenti non ci passerebbero.

Ci siamo dati allo shopping da turista con cartoline e ricordini, per poi tornare al ristorante italiano: agnolotti, maccheroni (cioè le penne) e gnocchi, annaffiati da ottimo vino portoghese. Eh si ce la spassiamo.

Cosa ci manca di importante da visitare? Pensiamo di raggiungere la Piazza del Marchese di Pombal, uno dei tre personaggi mitici di Lisbona (gli altri due sono Sant’Antonio da Padova, nato qui, e Vasco da Gama). Percorriamo quindi il grande viale alberato, Avenida da Liberdade, anch’esso pavimentato con migliaia i migliaia di questi ciottoli bianchi e neri. Lungo la strada ci imbattiamo nella funicolare “Elevador da Glória”, ma era chiusa per restauri, quindi poco più avanti sperimentiamo l’Elevador do Lavra, che ci porta in alto per (soli) 188 metri. Ma si la gita in funicolare è, ovviamente, una gita, non è di grande utilità. Però è molto caratteristico e in più è uno dei monumenti nazionali del Portogallo.

Ci imbattiamo in un simpatico parco dove fare una sosta, prima di tornare sull’Avenida. Si fa tardi e siamo stanchetti, quindi per raggiungere la piazza utilizziamo la metropolitana (e così abbiamo visto tutti i mezzi di trasporto). La piazza è bella, ma il tempo è scarso, giusto una breve visita nel parco e si ritorna.

In taxi verso l’aeroporto noto ancora tanti palazzi ricoperti di ceramiche (gli azulejos).

Giudizio: una gita a Lisbona? Ma si, vale la pena. Non è una delle città più belle d’Europa, ma è caratteristica.

Lisbona due

Dopo almeno 10 ore di sonno si riparte. Subito una sosta per un cappuccino, ma anche qui una brutta sorpresa: invece del cacao ci hanno messo la cannella. Ma dico io: "ma che testa c’hanno?"

Cinzia si sente sola, nel senso che nota che non ci sono bionde in giro. Si vede che qui non va di moda.

Andiamo in Piazza Figueira, dove troviamo un bus che ci porterà su fino al Castello di San Giorgio. E’ un bus piccolino, e subito capiamo il perchè: le stradine sono piccolissime e molto ripide. Anzi, mi chiedo come fa ad andare così veloce con 30 persone circa a bordo. Nel castello non entriamo, perchè in fondo sono solo ruderi circodati da mura. Quindi ci mettiamo ad esplorare i dintorni. In quartiere non è male. Ci sono delle viuzze strette e particolari. La privacy è una chimera x questa gente in quanto c’è molto passaggio e tutti sbirciano nelle case (e poi loro appendono il bucato di fuori e lasciano le finestre aperte). Un’altra particolarità è che hanno delle mezze persiane. Cioè, sono persiane, ma coprono solo mezza finestra. Boh.

Nelle chiese c’è una balaustra che divide la zona centrale, dove ci sono i banchi, dal camminamento perimetrale vicino alle statue. Sono quasi sempre di legno, molto particolari.

Nei ristoranti non c’è molta scelta tra le portate: o pesce o carne. La cosa che non mi piace è che tutti hanno ii vetrina queste cose (cioè il pesce e la carne). Nelle loro intenzioni serve a dimostrare che sono veramente fresche, ma a me fanno una brutta impressione, lì in vetrina. Ne scegliamo uno discreto e pranziamo. Bene.

Dopo, con la pancia piena, vorremmo buttarci su uno di quei bus che ti fanno fare il giro della città, ma visti i costi, decidiamo di andare a vedere la Torre di Belem. Il problema è che fatichiamo a trovare un bus che vada in quella zona. Alla fine lo troviamo, ma saltiamo la fermata giusta e peggioriamo la situazione pensando che di lì a poco ci fosse il capolinea e che tornasse indietro. Invece andava sempre più in periferia. Beh possiamo dire che abbiamo visto dov’è l’Ikea di Lisbona. Alla fine il conducente ha avuto pietà di noi e ci ha consigliato di scendere e prendere quello che tornava indietro. Dopo questa simpatica gitarella e dopo un bel po’ di strada a piedi (vedendo da fuori un monumeto tutelato dall’Unesco, il Monastero dos Jerónimos) arriviamo alla torre. E’ proprio un bel posto e poi la luce del crepuscolo lo rende ancora più speciale. Torniamo finalmente in centro e ci rechiamo in una pizzeria pseudoitaliana che avevamo già adocchiato ieri. Dopo cena anche oggi siamo stravolti e torniamo in camera.

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