Ready for freedom

Ho letto “Come un romanzo” di Daniel Pennac.
Partiamo dal titolo: non si tratta di un romanzo.
È un’esperienza, un invito alla lettura, talvolta una delucidazione, una narrazione, una storia e un’illustrazione di com’è e come dovrebbe essere l’approccio alla lettura.

Però alla fine mi ha stancato. Se all’inizio ero curioso, attirato, ispirato dalla lettura di questo libercolo, dopo aver superato la metà “scorrea la vista a scernere prode remote invan” e ho cercato di capire se voleva approdare da qualche parte oppure se eravamo in balia dei flutti, naufraghi in questa digressione su quello che dovrebbe sempre essere un piacere, ovvero la lettura.
Pennac sa quello che dice, essendo stato per molti anni docente, e lo dice bene. Il libro è piacevole, offre diversi spunti di riflessione, è anche breve e si legge facilmente. Tuttavia, lo avrei preferito ancor più corto.
Caro Ivo, quest’anno sarebbero stati 70, ci sarebbe voluta una bella zuppa di Voghera di Vellini con scritto sopra “Buon Natale“. Quando mi presentavo a qualcuno come “sono il fratello di Ivo del Brallo” qualcuno mi chiedeva come mai avessimo due cognomi diversi
, perché ormai il tuo nome d’arte era quello, che ti eri scelto e “da Lodi a Mazara del Vallo tutti conoscono Ivo del Brallo”.
Anche nostro padre diceva: “Ci ho messo tutta la vita a diventare Siro, e adesso la gente mi chiama Ivo“.
Sempre grazie per tutti i consigli che mi hai dato, un brindisi con un buon bicchiere di spumante Oltrepó, alla tua!
“LA MERAVIGLIA DEL TUTTO”: già il titolo racchiude la grandezza di questo ultimo libro di Piero Angela, nato da una preziosa conversazione con Massimo Polidoro. Dopo aver ascoltato il bel racconto di Massimo durante la presentazione a Voghera, riguardo al suo legame con Piero e alla nascita di questo progetto, la lettura ha assunto un significato ancora più profondo.
Questo non è solo un libro, ma un viaggio affascinante attraverso il sapere, raccontato con la semplicità e la chiarezza che hanno reso Piero Angela un maestro. Un testo che dovrebbe entrare nelle nostre scuole, per la sua capacità di affrontare argomenti complessi in modo accessibile e con un’energia incredibilmente positiva. È il lascito di un uomo che ha trasformato la sua passione per la conoscenza in una missione di vita.

Grazie di cuore a Massimo Polidoro, orgoglio della nostra Voghera, per aver curato e dato alle stampe questo gioiello. “LA MERAVIGLIA DEL TUTTO” è un libro che arricchisce, che stimola la mente e che lascia un segno. Assolutamente da leggere.
Una giornata on the road negli USA: da Las Vegas a Page
Partiamo presto anche stavolta, visto che ci aspettano almeno quattro ore di viaggio in direzione Page, Arizona. Procediamo verso nord, superando l’uscita per la Valley of Fire, e continuiamo per diverse ore lungo strade che sembrano infinite. A metà tragitto ci fermiamo a pranzo in una delle tante catene di fast food – se non ricordo male, era Jack in the Box – dove ci concediamo due burritos e un hamburger. Ne approfitto anche per fare benzina: qui costa la metà rispetto all’ultimo pieno, circa 3 dollari e mezzo al gallone.

Attraversiamo un tratto di Utah e, appena oltre il confine, raggiungiamo finalmente Page. La Highway 89 che abbiamo percorso si snoda per la maggior parte su un altopiano. Anche se sembra una pianura senza fine, l’altimetro dice che siamo costantemente sopra i 1500 metri. All’arrivo, guadagniamo un’ora grazie al cambio di fuso orario: tempo perfetto per rilassarci un po’ nel nostro B&B e poi avviarci con calma verso la partenza del tour all’Antelope Canyon.

Il canyon si trova all’interno della riserva Navajo, quindi è obbligatorio farsi accompagnare dai nativi con i loro mezzi. C’era bisogno del seggiolino per il bimbo, altrimenti avremmo perso la prenotazione (pagata un botto!), quindi sono corso in stanza – per fortuna era vicina – a recuperarlo.

Antelope Canyon è qualcosa di davvero particolare: una specie di tunnel scolpito nella roccia rossa, con giochi di luce spettacolari. Se siete nei paraggi, è assolutamente da vedere. La guida ci mostra i punti più fotogenici, ci suggerisce dove metterci per scattare e ci racconta un po’ la storia del canyon e del popolo Navajo.

Dopo il tour, torniamo a Page, prendiamo l’auto e andiamo all’Horseshoe Bend, la famosa ansa del fiume Colorado che si ammira dall’alto di uno strapiombo. Il sentiero è breve ma sotto il sole si fa sentire. Il panorama però vale tutto: peccato solo per la folla, scattare una foto senza nessuno nell’inquadratura è praticamente impossibile. Ah, e non ci sono protezioni, quindi meglio non sporgersi troppo…

Col buio che avanza, andiamo a caccia di cibo. Prima tappa: Pizza Hut. Diciamo che l’igiene, almeno secondo gli standard italiani, è… un concetto relativo. E la pizza? Una fetta di gomma, pagata cara. Allora passiamo al KFC, giusto per mettere qualcosa sotto i denti prima di andare a dormire. Anche lì il gelo dentro è da piumino, così prendiamo delle alette di pollo (pure loro in stile gomma) e le mangiamo fuori, sperando almeno nel conforto di una temperatura umana.

La stanza del motel? Lasciamo stare che è meglio. Ma perchè si ostinano davvero a mettere ‘ste moquettes che difficilmente reggono gli standard di igiene? Mah…

Poco fa un cliente mi ha regalato questo quadrifoglio.
C’è ancora gentilezza a questo mondo, basta saperla trovare, basta saper dove ascoltare e cosa guardare.
E soprattutto è proprio come la fortuna: se la cerchi, la trovi. Se la sai costruire, la trovi. E per la gentilezza è la stessa cosa.
There is a house in New Orleans
They call the Rising Sun
And it’s been the ruin of many a poor boy
Dear God, I know I was one
My mother was a tailor
She sewed my new blue jeans
And my father was a gamblin’ man
Way down in New Orleans
And the only thing a gambler needs
Is a suitcase and a trunk
And the only time he’s satisfied
Is when he’s a drunk
Oh, mother, tell your children
Not to do what I have done
To spend your lives in sin and misery
In the house of the rising sun
I got one foot on the platform
And another on the train
And I’m going back to New Orleans
To wear that ball and chain
There is a house in New Orleans
They call the Rising Sun
And it’s been the ruin of many a poor boy
Dear God, I know I was one
Dear God, I know I was the one

Ricordo una storia che mi raccontava sempre mia mamma Rita. Lei da piccola viveva in un paese povero, in una famiglia povera. Aveva cinque fratelli e in otto a tavola non ci si stava, ma solo i suoi genitori e i due fratelli più grandi. Lei e i tre più piccoli sedevano sulle scale con la zuppa di minestra in mano.
Non si vergognava a dire che erano così poveri che anche il cibo era un problema e magari il pezzetto di pollo usato per il brodo lo mangiava il papà, che faceva il muratore, mentre gli altri toccava solo il gusto e il profumo.
Mi raccontava che alla domenica lei usciva di casa prestissimo, a volte prima dell’alba, come tutti i giorni per andare a pascolare le bestie insieme alla sua fida capretta, è incrociava una signora, sua lontana parente, che ogni settimana le regalava una mela.
A lei quella mela sembrava (ed era!) un regalo bellissimo. La custodiva gelosamente e se la mangiava con avidità nei pascoli sotto al Lesima, non lasciando quasi neanche il torsolo. Mi diceva che per tutta la settimana attendeva la domenica per incontrare quella donna che le avrebbe dato la mela.
Quando ero più adulto e il nostro gatto di casa chiedeva cibo anche se aveva già mangiato lei gliene dava lo stesso ancora dicendo: “io ho patito la fame, e so cosa vuol dire, è una cosa brutta, e se il gatto ha fame io Io gliene do, visto che ora posso.”

Ho appena terminato la lettura de “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov e, come spesso accade con le opere teatrali, mi sono ritrovato a riflettere sul loro vero “habitat naturale”: il palcoscenico.
Devo ammettere che, sebbene io preferisca l’esperienza della rappresentazione dal vivo, mi sono comunque immerso nella lettura cercando di visualizzare le scene e i personaggi. L’aiuto delle fotografie della storica messa in scena del 1974 di Giorgio Strehler è stato un valore aggiunto, ma l’emozione della diretta è, a mio avviso, insostituibile. Le opere teatrali nascono per essere interpretate, vissute e condivise in un momento unico e irripetibile.
Ma veniamo alla storia. “Il giardino dei ciliegi” ci trasporta nella Russia dei primi del ‘900, raccontando il declino di un’aristocrazia ormai in disgregazione. È una narrazione malinconica, priva di clamorosi colpi di scena, ma densa di un’intensità emotiva che pervade ogni pagina.

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