(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Articoli su “Puntino”

Grazie ai giornali on line “Voghera Sei Tu” e “Oltrepò Lombardo” per gli articoli sul libro “Puntino”
Ecco il link:
Voghera Sei Tu
Oltrepò Lombardo
Ecco quello che scrivono:
VST: Sarà una sorta di diario quotidiano di bordo dedicato alla gioia della paternità, in un momento particolare di paura e di speranza. E’ con queste sensazioni che Fabio Tordi, titolare degli storici negozi di abbigliamento sportivo “Piazza Affari”, ha scritto un libro che presto sarà pubblicato e con parte del ricavato aiuterà l’associazione Bambini con la Ccam di Marilù Nassano.

OL: Il commerciante brallese Fabio Tordi pubblicherà a breve un diario dedicato alla gioia della paternità. Parte del ricavato del libro pubblicato da Primula Editore, sarà donato all’associazione Bambini con la CCAM di Marilù Nassano nata per aiutare le famiglie che hanno scoperto di aspettare un bambino con una malformazione polmonare congenita.

Agosto 1944 sul monte Alfeo

lo zio Dario Rebolini, 1924-2020

Ho già parlato di mio zio, Dario Rebolini e del libro che raccoglie le sue memorie di gioventù: I tre colonnelli. Mi rifaccio a quel post per rinnovare le mie opinioni sulla guerra, e sulla guerra civile in particolare. Ho messo anche un video dove racconta le sue avventure da partigiano: Il partigiano Dario. Ora voglio invece pubblicare qui un passaggio di un altro libro che ha scritto, “Bisagno e i suoi partigiani”. Anche in questo caso mi ha colpito il clima che c’era allora, quando la linea tra la morte e la vita era davvero sottile, e quello che prima era un nemico mortale poteva poi essere un amico fraterno e viceversa. Ribadisco: gran brutta cosa la guerra.

Tutti i paesi, piccoli o grandi, erano occupati dagli alpini. Ogni tanto s’incontrava qualche pattuglia e bisognava scorgerli per primi e attaccarli di sorpresa, se no sarebbero stati guai grossi, come purtroppo è toccato a qualche gruppo, con bilanci tragici. Un giorno ci siamo trovati sulla cima del monte Alfeo, dovevamo tenere sotto osservazione Zerba, che era occupata dagli alpini dal giorno prima. Noi aspettavamo che se n’andassero per tentare di rimediare qualcosa per lo stomaco. Pochi metri più giù, dalla parte opposta, verso Gorreto, ci passava un sentiero, che proseguiva sotto costa. C’eravamo appena appisolati sotto un grande faggio, nell’attesa che gli alpini se n’andassero da Zerba.

Nel dormiveglia mi era sembrato di sentir parlare; eravamo sottovento, forse noi sentivamo loro, ma loro non sentivano noi; cercai di svegliare gli altri nel massimo silenzio, preparammo le armi leggere che avevamo ancora e, in ginocchio, gattonando piano piano, ci siamo affacciati sul sentiero per vedere che succedeva. A quindici metri da noi, su quel benedetto sentiero, vi era una squadra di alpini seduti, mezzi spogliati per il caldo, mezzi stravaccati sul prato e qualcuno anche senza scarpe, senza giacca, né armi. Saranno stati una dozzina.

Dato il tremendo caldo e la tranquillità di quel posto (lì non avrebbe dovuto esserci nessun pericolo) avevano abbandonato tutto per terra e stavano lì, a riposare e prendere il fresco della montagna. Noi ci siamo subito ritirati per decidere il da farsi e per studiare il modo migliore di attaccare.

Fra noi non vi era nessun comandante, diciamo che l’unico un po’ più responsabile avrei dovuto essere io, in quanto dopo tanta fame stavo per portarli a Zerba dai miei, o da qualche vicino, dove avremmo sicuramente trovato chi ci avrebbe fatto una bella polenta, o magari un bel piatto di lasagne al sugo (fantasie a quei tempi).

Eravamo lì, su quel monte, proprio per vedere se ci fossero movimenti di truppe o se si poteva tentare di avvicinarsi alla casa senza pericolo, dato che era l’ultima del paese ed era facile prevenire il pericolo.

Avevamo due bombe a mano ciascuno. Io avevo ancora il mio mitra che avevo portato da Sacile e che non mollavo mai, gli altri avevano lo sten e qualche fucile. Il primo impeto era stato di attaccarli con le bombe a mano e raffiche di mitra e sten, li avremmo trucidati con facilità, ma sarebbe stata una tremenda carneficina. Fortunatamente fra noi vi era anche un ex alpino, che aveva disertato appena erano iniziate le prime battaglie. E questi, o per spirito di corpo, o per simpatia verso i suoi ex, ci ha un poco raffreddati dicendoci che gli alpini non erano fascisti, che erano da combattere per la divisa che portavano, e comunque in un altro contesto, ma erano quasi tutti contadini del veneto e quindi brava gente, non si poteva trucidarli così. Con il senno di poi c’erano da fare due considerazioni. La prima: se ci fossimo stati noi, loro come avrebbero agito? Seconda: erano momenti cruciali, se vuoi salvarti la vita devi prima sparare e poi pensarci. Abbiamo fatto alla rovescia ed è andata bene per tutti. Dopo una decina di minuti, mentre noi stavamo sul chi vive con le armi puntate, piano piano si sono rivestiti e in fila indiana li abbiamo accompagnati con lo sguardo fino all’orizzonte, verso la strada che porta a Varni. Quando poi, più tardi, il loro battaglione si è arreso al completo al nostro comando, e sono diventati tutti partigiani al nostro fianco, sono andato a Gorreto, nel castello dove erano alloggiati, per cercarli. Ho chiesto della pattuglia che quel giorno si trovava a passare di lì, e li ho trovati.

Al primo racconto non si sono emozionati più di tanto, ma quando sono ritornato con l’ex alpino, l’uomo che li aveva salvati, e gli abbiamo spiegato bene tutto quello che avevamo fatto su quel sentiero, allora hanno capito e abbiamo fatto una bella mangiata da Nando, con una bella bevuta insieme.

Il meteo in tasca

Vi avevo già parlato di un libretto scritto da Gabriele Campagnoli e Marcello Poggi, "Il clima dell'Oltrepò Pavese", questo post

Ora vi parlerò di un altro libretto, sempre scritto dai due metereologi oltrepadani: "Il meteo in tasca".
Ogni giorno leggiamo, ascoltiamo, vediamo previsioni metereologiche, ma siamo sicuri di capire quello che ci dicono? Conosciamo la terminologia? Sappiamo cosa si intende per "bassa pressione" e cosa significhi? Come si forma il tempo, o la nebbia, o i temporali? Oppure pensiamo che invece che una scienza sia una sorta di magia? In questo libro scopriremo anche cosa sono i modelli matematici per prevedere il tempo, le carte, le mappe, ecc. 
E poi i casi pratici, gli esempi, i metodi per capire quando il tempo è in miglioramento o in peggioramento. Trovate anche i vari tipi di nuvola, i metodi per fare nowcasting e gli strumenti per le varie misurazioni.

Avrete quindi un'infarinatura sul mondo del meteo. Non sarete dei professionisti, ma è una buona base per iniziare a capirci un po' di più in questo mondo, poco "magico", molto scientifico ma nondimento molto romantico.

Una vita contromano

E' recentemente uscito questo libro di Flavio Oreglio: "L'avventura artistica (1985 – 2015) Una vita contromano, autobiografia non autorizzata".

Il 23 giugno di quest'anno ho avuto l'onore di dialogare con l'autore durante la presentazione al "Circolo dei Poeti Catartici", ospitato al Castello Malaspina di Pregola. Nel precedente libro "Le origini" Flavio ci raccontava di come ha avuto l'idea, l'ispirazione di fare questo lavoro (il cabarettista) e di come ha mosso i primi passi. In questa opera invece fissa come data di inizio della sua professione il 1985 raccontando i primi trent'anni di carriera. Una carriera brillante che lo ha visto ospite dei principali luoghi del cabaret di Milano, prima, e di tutta Italia, in seguito. Spesso viene ricordato per le sue apparzioni alla trasmissione televisiva Zelig, dove presentava il suo "momento catartico", sketch che ha dato origine ad una serie di libri vendutissimi. Ma Oreglio non è solo questo, è un professionista che è partito dalla gavetta, che ha lavorato con tanti grandi personaggi (spesso ancora prima che venissero definiti tali) e coi quali ha stabilito ed ha tuttora forti legami di amicizia. Perchè lavorando seriamente, non svendendosi mai e cercando sempre di reinventarsi mantenendo allo stesso tempo il suo lavoro nei binari del cabaret, ha dato i suoi frutti.

Quella sera, oltre a raccontare numerosi aneddoti, a parlarci del suo lavoro, dei suoi incontri e delle sue idee, ci ha spiegato cos'è il cabaret e la sua differenza da quella che viene definita la comicità. Io non sono un esperto del settore e quindi non me ne voglia se la descrizione che sto per dare è sbagliata o incompleta, ma per me il cabaret è teatro, è musica, è divertimento, è professionalità, è canzone, è tradizione, è goliardia, è amicizia, è studio, ed è (anche) comicità. Comicità che non è fine a sè stessa, ma fa parte del tutto. Si può far ridere facendo cabaret, e spesso è così, ma si può fare cabaret anche senza far necessariamente ridere. E' una forma di teatro a sè stante.

Quelli che pensano che basta "avere gli agganci", andare in TV ed è tutto subito e facile, leggano questo libro e ne traggano insegnamento.

Quello che segue è tratto da "La Provincia Pavese" del 23 giugno 2018:

Brallo, Oreglio presenta l’autobiografia
Sabato 23 giugno alle 22 al "Circolo dei poeti catartici" di Pregola, nell'ex Palazzo Malaspina, è in programma la presentazione del libro “Una vita contromano – L'avventura artistica (1985-2015)”, il secondo volume dell’autobiografia "non autorizzata" di Flavio Oreglio. Il volume, pubblicato da Primula Editore in occasione del “Trentennale on stage” dello stesso Oreglio, e racconta le varie fasi del suo lavoro di cabarettista: la sua carriera, cominciata negli anni Ottanta nei fumosi pub dei Navigli, è poi approdata nei teatri, in televisione e in libreria, rendendolo famoso anche al grande pubblico.

Tale percorso, né semplice né breve, viene descritto attraverso una narrazione ricca di aneddoti e riflessioni, in cui si raccontano gli esperimenti riusciti e quelli falliti, gli incontri e le esperienze che hanno inciso nelle vicende umane e professionali del comico milanese.

Il volume è corredato di un cd-antologia contenente alcune tracce originali tratte dai lavori discografici realizzati in trent’anni di carriera. Nell'occasione della presentazione di Pregola (luogo a cui Oreglio è molto legato per via dei ricordi d’infanzia) sarà Fabio Tordi a dialogare con lo stesso Oreglio.

Voghera io la vedo così

Roberto Bensi, alias Rocco Balocco, ha il "vizio" di girare (quasi sempre a Voghera, ma anche a Tortona, o altrove) osservando ciò che lo circonda. Secondo me passeggia con calma, e invece di vedere, guarda. Anzi invece di guardare, osserva. E scopre sempre delle visuali insolite, spesso interessanti. E scatta una fotografia. Le sue fotografie possono non essere artistiche, professionali, perfette… ma spesso suscitano delle emozioni, e non è forse questo quello che conta per chi le osserva? Riesce a racchiudere un'emozione dentro ad ogni foto: uno scorcio, una prospettiva "diversa", uno sguardo d'insieme. Fosse anche solo perchè quel posto l'abbiamo visto migliaia di volte, ma non ci siamo mai soffermati. Ha iniziato, quasi per gioco, a condividere i suoi scatti su Facebook (e continua tuttora), ricevendo moltissimi commenti e consensi. E molti gli dicevano "perchè non raccogli le tue foto in un libretto?".
Detto fatto: la scorsa primavera è uscito "Voghera io la vedo così", di Rocco Balocco, commentato da Flavio Berghella e il gioco di chi l'ha acquistato è stato subito quello di riconoscere tutte le vie, gli spazi, le case rappresentate nelle foto. Un bel documento, di com'è Voghera nella seconda metà degli anni '10.


La copertina e la dedica che simpaticamente l'autore ha voluto lasciarmi

 

Addosso – Le parole dell’omofobia

Il mio amico Antonio Mocciola, giornalista, scrittore, divulgatore, autore teatrale, anchor man, insomma uno che fa di tutto, ha prodotto un paio di anni fa questo interessante libro. Perchè "prodotto" e non "scritto"? Perchè è un libro essenzialmente fotografico, anche se in realtà è proprio il contenuto di parole ad essere al centro. Mi devo spiegare meglio? Ok, andiamo con ordine.

Antonio ha raccolto in questo libro 111 frasi riconducibili all'omofobia. Sono tutte frasi scritte o pronunciate in pubblico da personaggi famosi e per questo motivo sono più amplificate. Alcune strambe, altre trancianti, certune orgogliosamente ignoranti, talaltre pesantemente vergognose. Tutte queste frasi sono state scritte su altrettanti corpi nudi, fotografati in bianco e nero.

Un libro scioccante, un'opera di denuncia. Sincero, crudo, diretto, che ti arriva subito allo stomaco e, si spera, al cervello.

 

 

 

Paesi e gente di quassù – terza parte

Questo è un libro del 1979, a cura del Centro Culturale "Nuova Presenza" di Varzi in collaborazione con la Comunità Montana dell'Oltrepo Pavese.
parla essenzialmente del territorio della Comunità, gli allora 19 comuni. La storia, la geografia, la demografia, l'agricoltura, ecc. Tutto quanto riguarda questo territorio. 

Ne ho già parlato citandolo in questo articolo e in questo articolo. Da  pagina 174 parla di Valformosa, Colleri, Corbesassi e altro…

VALFORMOSA 
E' stata questa frazione parrocchia autonoma fino al sec. XVII. La chiesa, ampiamente rimaneggiata, mantiene tuttavia il carattere dell'antica costruzione, e custodisce qualche suppellettile sacra di discreto valore.
 

COLLERI
Per quanto riguarda le notizie religiose sembra che anticamente la sede dell'antica parrocchia fosse a Somegli dove esiste ancora un campanile romanico e una tela manomessa che rappresenta i ss. Gervasio e Protasio.
Nel 1500 però Colleri era già parrocchia e aveva un edificio sacro a Collistano attualmente ridotto a un rudere. La nuova chiesa è del 1951 e la costruzione non si scosta dai moduli tradizionali. Di notevole una tela forse di scuola lombarda: Fuga in Egitto.
Riportiamo dal « Nuovo Pavese Montano »
A spasso per Colleri
« Colleri è la più popolata frazione del Comune di Brallo, sita a 900 metri sul mare, ed è quella che meno di tutte le altre ha risentito dello spopolamento, fenomeno ormai comune quassù: vi sono paesi che hanno visto il numero dei loro abitanti ridotto a poche decine quando solo quindici o vent'anni fa si contavano a decine le famiglie o i "fuochi" come si diceva allora.
Gli abitanti di Colleri che sono ancora oggi più di 300, ormai hanno abbandonato le loro vecchie abitazioni per trasferirsi in case nuove, più funzionali, più comode, più vicine alla strada provinciale che collega la Valle Staffora alla Val Trebbia. Le case antiche in pietra a vista, tetti neri, soffitte in legno, caminetti sgimbesci, vecchie cassepanche in legno locale, i balconi in ferro battuto, le scalette esterne "semoventi" sono state quasi totalmente abbandonate, o rovinate da chi le ha ricostruite con poco gusto appiccicando dell'intonaco e modificando le piccole finestrelle; e si aggiunge così all'usura del tempo (che in mezzo a questi muri ha una sua durata e una misura diversa dal ritmo del resto del mondo!) l'opera umana che è molto più terribile in essa.
A salvaguardia del vecchio borgo e a ricordare un tempo che fu, sono rimaste alcune simpatiche vecchiette che non hanno ceduto alle attrazioni del nuovo e del comodo ed hanno voluto ad ogni costo rimanere a vivere sole in quelle basse stanzette popolate da innumerevoli ricordi e dalla presenza arcana e impalpabile di tante persone care che ti parlano ancora in mille modi.
Te le vedi spuntare sulla porta di casa tutte vestite di nero che dapprima ti guardano incuriosite come a domandarti perché hai osato interrompere così bruscamente il loro colloquio con non so chi, o la loro preghiera serale che ha già consumato tanti "rosari". Poi ti invitano ad entrare e allora ti immergi in un mondo nuovo ma antico quanto quei muri, quelle travi, quelle assi dalle quali ti sembra dovresti precipitare da un momento all'altro.
Il discorso corre via velocemente passando in rassegna usanze, vecchi legami di famiglie, fatti accaduti chissà quanti anni fa, la vita sociale e religiosa del borgo "quando la gente ci credeva davvero"; quando mi alzo per uscire vedo dalla piccola e bassa finestrella che ormai è sera fatta e la luna piena sta colpendo coi suoi raggi i tetti di "ciappe" che sembrano faticare a portare un peso così grave.
Ho voluto parlare delle poche abitanti del Centro storico perché è inconcepibile parlare di arte, di arte popolare e non conoscere chi quell'arte l'ha fatta, il contesto sociale dove essa è nata, questa gente che con il proprio sudore e forse senza sapere leggere e scrivere ci ha dato un esempio di come si costruisce nel rispetto della natura e dell'ambiente in modo mille volte più razionale di quello che avviene oggi nonostante i piani regolatori e di fabbricazione.
Ti orienteresti difficilmente nei vicoli sassosi che si intrecciano tra queste case che ti paiono tutte uguali ma dove non ne troveresti una simile all'altra; e ad ogni svolta ti trovi dinnanzi ad un gioiello di quell'arte del costruire che oggi, purtroppo, non trova più tanti cultori. In qualche punto "cruciale" puoi scoprire il forno che serviva un gruppo di famiglie, intorno al quale tante donne si sono ritrovate con sulle spalle il tavolo appesantito dalle pagnotte pronte per essere cotte; e mentre si aspetta il proprio turno cosa c'è di più redditizio che scambiare quattro chiacchiere e commentare i fatti salienti di vita paesana, i quali tante volte, ingigantiti, modificati, aggiustati, hanno cessato di essere cronaca, per diventare storia, tradizione del paese?
Un altro punto di ritrovo era il mulino, questo più per gli uomini che per le donne; e al mulino i discorsi, mentre si aspettava il proprio turno, si fanno più seri: gli "interessi" delle diverse famiglie vengono ben ponderati, l'andamento dell'annata del grano o delle patate, il vitello morto al vicino (pace all'anima sua!!) mentre la grossa ruota muove indifferente le macine e il mugnaio bada alla farina ma non perde d'orecchio una parola del discorso, per avere materia da intrattenere i prossimi avventori.
Ce ne sono ancora due a Colleri, di questi mulini: ma chi si prenderà cura di essi? O rovinando su se stessi cancelleranno e schiacceranno il ricordo di chi li ha costruiti e ha dato loro vita? ».

CORBESASSI
Era già parrocchia nel 1523; perse in seguito la sua autonomia che riebbe nel 1952.
La chiesa parrocchiale è stata edificata nel 1690 circa; la parte più antica è costituita dalla bassa navata centrale, mentre l'abside risale al 1800. La decorazione interna è del pittore Sebastiano Toselli, allievo del Gambini, compiuta nel 1939.
Di notevole una tela purtroppo sciupata: San Francesco e due Angeli. Pregevole anche il coro e i mobili della sacrestia (sec. XVIII-XIX).

Economia
L'agricoltura rappresenta la risorsa economica tradizionale. Si coltivano soprattutto foraggi, frumento e patate. Gli estesi pascoli favoriscono l'allevamento del bestiame, che, numeroso una volta, ora risente della crisi generale del settore.
Il territorio non coltivato è coperto da vaste estensioni di boschi, grazie anche all'opera di rimboschimento a conifere da parte del corpo forestale degli anni passati.
La voce più importante nell'economia del comune è certamente rappresentata dal turismo sia come soggiorno estivo sia come movimento di fine settimana anche nel periodo invernale (quando è possibile sciare). La capacità ricettiva è soddisfacente per i numerosi posti letto negli alberghi e per le camere affittate dai privati.
Un grande e moderno complesso sportivo tennistico, gestito dal CONI, che ospita nella stagione estiva parecchi turni di 100 giovani per volta con possibilità di alloggio per i genitori nell'albergo « Olimpia », ha contribuito moltissimo alla conoscenza e al richiamo di villeggianti in questa località turistica suscitando anche in due abitanti del luogo un interesse commerciale per questo sport e per quello sciistico tanto da creare due attività di vendita di abbigliamento e attrezzature sportive con buoni affari. Pure grande attrattiva è esercitata sugli amanti degli sport invernali dalla sciovia del Colletta.
Le acque fredde del Trebbia, che non distano molto dal territorio del Comune del Brallo, ricche di fauna ittica (soprattutto trote), richiamano i pescatori dilettanti.

Posso farle una domanda?

Il mio amico Costanzo Valmori ha raccolto in questo volumetto, dal sottotitolo "Analisi sociologica e antropologica delle tipologie di clienti e delle loro assurde domande con piccola guida annessa su come affrontarli al meglio" una serie di situazioni tipiche in cui si ritrovano gli esercenti, i negozianti, insomma quelli che di solito stanno dall'altra parte del bancone. 

Io che ci lavoro, da quella parte, mi sono ritrovato in tante di queste situazioni, raccontate sempre con un tono leggero, spesso divertente o addirittura esilarante.

C'è il cliente impaurito, il male informato, il parsimonioso, il VIP, il bugiardo cronico, il passivo, il curioso, il chiacchierone, l'indisponente, l'esperto, e infine il cliente modello.

Di ogni categoria c'è la descrizione e il metodo su come affrontarli per salvaguardarsi il lavoro, la salute e il fegato

E poi c'è il maniaco delle offerte, il pignolo, il masterchef, l'abitudinario, lo zanza, l'eccentrico, l'ansioso

Paesi e gente di quassù – seconda parte

Questo è un libro del 1979, a cura del Centro Culturale "Nuova Presenza" di Varzi in collaborazione con la Comunità Montana dell'Oltrepo Pavese.
parla essenzialmente del territorio della Comunità, gli allora 19 comuni. La storia, la geografia, la demografia, l'agricoltura, ecc. Tutto quanto riguarda questo territorio. 

Ne ho già parlato citandolo in questo articolo. Da  pagina 172 troviamo le pagine dedicate a Brallo di Pregola.

Superati i neri macigni sotto Pregola, ti senti investito dal balsamo dei pini, che ti corteggiano fino al valico del Brallo dove sorgono i grandi alberghi e le attrezzature più moderne. Nascoste nella pineta civettano villette nate per il riposo dell'uomo in esemplare rispetto per la natura. Polmone verde dell'Oltrepo, mèta di gite domenicali, Brallo ha contagiato di fervore turistico i paesi vassalli: Colleri, Corbesassi, Pregola, fino alla sperduta Val Formosa. Sua Maestà il Lesima ha spalancato finalmente al turismo di massa le sue intatte bellezze: i pianori fioriti di genziana e di mirtilli, autentici e gratuiti tappeti da reggia, le fontane cristalline e gelide della Morona e di Prodongo.

Profilo storico
Anche la denominazione di questo Comune è recente, ma la storia dei centri abitati che ne fanno parte è antichissima. All'epoca longobarda risale Pregola, come testimonia la sua chiesa parrocchiale dedicata a S. Agata, una delle sante più venerate dai longobardi dopo la loro conversione al cattolicesimo. Pregola inoltre, col nome di Petra Groa compare in un diploma del 972 di Ottone I con cui il sovrano conferma al Monastero di S. Colombano di Bobbio i suoi possedimenti. Ma poiché tale documento è semplicemente una conferma dei possedimenti già acquisiti, e si richiama a diplomi di precedenti imperatori se ne deve dedurre che Pregola apparteneva al Monastero già da tempi assai precedenti, e forse addirittura fu data al cenobio bobbiese in occasione della donazione di tutto il territorio del Penice da parte di Agilulfo.
Federico Barbarossa diede Pregola, come altri centri della Valle Staffora alla famiglia dei Malaspina, tuttavia ancora nel sec. XIII si ha notizia della giurisdizione dell'Abate di S. Colombano sugli uomini di Pregola. La signoria feudale dei Malaspina durò ciò nonostante incontrastata fino al 1789, anno in cui il feudo di Pregola fu incorporato nel Marchesato di S. Margherita. L'abitato antico, che aveva la tipica forma del « castrum », con castello e chiesa, sorgeva su di uno sperone roccioso sovrastante l'attuale, e si ignora quando e come fu distrutto. Si sa comunque che nel 1725 esso non esisteva già più, anzi, nel 1671 il Vescovo di Tortona Mons. Settala ordinò che si restaurasse l'Oratorio di S. Rocco, posto fuori dell'antico « castrum » e che in esso vi si trasportasse la parrocchia.
Anche Colleri appartenne ai Malaspina, come pure Corbesassi. Il primo centro era già parrocchia autonoma nel 1613, mentre Corbesassi è di recente costituzione. Oggi l'abitato più importante del Comune è Brallo, il cui sviluppo turistico è dovuto alla sua ridente posizione e alle sue efficienti strutture.

Notizie religiose e artistiche
Le notizie religiose di Pregola risalgono a prima del Mille, e qualcuno dice che il luogo fosse dotato di chiesa fin dal tempo dei Longobardi.
Si sa che la chiesa odierna è sorta nel 1600 sulle rovine del vecchio Oratorio dedicato a San Rocco. Dove sorgeva l'altra chiesa anticamente dedicata a Sant'Agata ricordata in antichi documenti?
(NotaDiFabio: leggi qui: www.fabiotordi.it/blog/?p=1091 e anche qui: www.fabiotordi.it/blog/?p=1130)
Lo sviluppo del Brallo, diventato sede del Comune ha fatto sorgere nel centro turistico la grande chiesa in cemento armato secondo moduli moderni di costruzione, che ben si inserisce nel paesaggio ricco di pini.
(NotaDiFabio: leggi qui: www.fabiotordi.it/blog/?p=995)

Un treno per l’Oltrepò

Avevo parlato della Ferrovia Voghera – Varzi in questo articolo: "La Ferrovia Voghera – Varzi"

Recentemente ho trovato questo libretto

Il 19 maggio 1924 viene costituita a Milano la "Società Anonima per la Ferrovia da Voghera a Varzi". Il progetto esecutivo fu curato dall'ing. Ernesto Besenzanica e i lavori iniziarono nel febbraio 1926 e già a Natale del 1932 venne inaugurata, per poi essere aperta al pubblico due giorni dopo. 

La ferrovia Voghera – Varzi, nata per servire localmente gli abitanti della Valle Staffora, si svolgeva per gran parte in territorio collinare, escluso un breve tratto piano iniziale. Il capolinea di Voghera, con propria stazione, s'inseriva nell'alberata piazza che ospitava il fabbricato F.S., a sinistra di questo: in posizione quindi, assai centrale. 
Sul piazzale, due binari di testa separati da un marciapiede di modeste proporzioni. Attraversato il torrente Staffora sul ponte a cinque luci da 12 metri di ampiezza, poco discosto da quello delle F.S., e superata la statale 10 per Piacenza su apposito cavalcavia, si descriveva un vasto arco nella pianura, raggiungendo al quinto chilomnetro la fermata di Cadè, poi la stazione di Codevilla e successivamente quella di Retorbido, e poi di lì verso Varzi, sempre stando sul lato destro dello Staffora.

Cinquanta minuti dopo aver lasciato Voghera si incontrava infine il capolinea di Varzi.

32 km di linea, elettrificati in corrente continua da 3000 volt, con 871 pali in ferro. La linea era garantita contro cortocircuiti, sovraccarichi ed eventi accidentali da interruttori extrarapidi, scaricatori di tensione e sezionatori di linea. 

La sicurezza dell'esercizio veniva garantita dal rispetto degli orari e ovviamente, dal consenso telefonico

La velocità massima ammessa era di 70 km/h nel tratto Voghera – Godiasco e di 60 km/h nel tratto Godiasco – Varzi. Le principali opere lungo il percorso erano il ponte sullo Staffora, il cavalcavia sulla Statale 10, il ponte sul Rile, quello sull'Ardivestra e quello sul Nizza. Non esistevano gallerie, mentre i fabbricati di stazione erano 10 e due le rimesse. 99 passaggi a livello di cui 15 con barriere.

Negli anni '60 viene presentato un piano di ammodernamento. Si sarebbero dovute sostituire o riparare le rotaie, sistemare e ingrandire la stazione di Voghera, vari lavori di consolidamento della massicciata, acquistare delle locomotrici nuove, sistemare i passaggi a livello, sistemare la rete telefonica, ecc. Il costo era importante, ma il bacino di utenza era allora rilevante.
Solo che, probabilmente per motivi politici, che in quel periodo prediligevano il trasporto su gomma, nel 1965 venne decretata la soppressione e l'anno successivo fu effettuata l'ultima corsa.

Moneghan Island

 Ho letto questo libro, dell'amico Valerio Gasio.
Innanzitutto vanno i miei complimenti a Valerio, perchè, da scrittore non profesisonista, ha tirato fuori proprio un bel racconto. Lui ha già stampato diversi libri, come questo: Ci vediamo a Voghera, ma si trattava di raccolte di foto o di brevi aneddoti e curiosità, questo invece è un vero e proprio romanzo.
La lettura è piacevole, scorre veloce, è avvincente e adeguatamente dosato nelle rivelazioni, nella suspance e nei colpi di scena. Il genere è quello horror e infatti sono chiari i riferimenti al maestro del genere, citato anche nel libro sottoforma di un personaggio della storia, cioè quello Stephen King che è nato e vive proprio nel Maine, luogo in cui è ambientato "Moneghan Island", e dove King ha ambientato diversi suoi successi.

C'è da dire che, come il Maestro, anche l'allievo Valerio si è molto ben documentato: l'isola di Moneghan esiste realmente, così come gli altri luoghi da lui citati, le strade, i villaggi, ecc. E infatti ti porta subito nell'atmosfera statunitense con citazioni che vanno dai The RascalsJack Kerouac alla Clarice de "Il Silenzio degli Innocenti", e io ci vedo anche un riferimento al losco hotel di Norman Bates, il killer di "Psycho" (stesso cognome di due dei protagonisti, tra l'altro). Poi, vabbè, mi cita anche Edward Hopper, grandissimo!

I luoghi dove ambientare un horror ci sono tutti e così come i personaggi, compresa una strana gatta. Davvero ben realizzato, considerando che è la sua opera prima è proprio un bel lavoro. Perfettibile, ovviamente, soprattutto nello stile a volte troppo descrittivo e meno d'azione, ma rimane comunque una bomba!

Purtroppo per me, a circa metà racconto ho avuto un'intuizione su come sarebbe andato a finire, ma mi sono gustato lo stesso la lettura, non certo priva di colpi di scena. Consigliatissimo.

 

La Storia di Voghera

Un libro di Daniele Salerno e Fabrizio Bernini.
Scorre gli avvenimenti successi nella città iriense, a partire dalle tribù liguri in poi.
Sapevate che l’imperatore Ottone II passò di qui?
E che Bovo di Noyers, prima di diventare santo, fu un guerriero?
E che invece il corpo di San Rocco fu fatto rubare dal doge di Venezia?
E il pittore Paolo Borroni dove è sepolto?
Sapevate che sulla Luna (addirittura) c’è un cratere che prende il nome da Giovanni Plana e ci fu un’occupazione russa nel 1799?
Il primo servizio di pulizia delle strade (dallo sterco dei cavalli) fu istituito quando ancora non c’era un sindaco, ma un "mairie", e Arturo toscanini stette un mese e mezzo a Voghera a dirigere "l’Aida" e "La Favorita".
Come si chiamava la famosa "piccola vedetta lombarda" e perchè Carlo Gallini ideò delle banconote?
Tutti conoscono Maserati, ma magari a qualcuno è sfuggito Luigi Callegari o Franco Quarleri.
E infine i più anziani si ricorderanno bene del disastro ferroviario, quelli di mezza età il "caffè alla vogherese" di Sindona, quelli più giovani la sfilata di Valentino e i successi di Flash Parisi, per finire con l’arciere Nespoli.
Insomma, in questo libro c’è veramente di tutto e di più, per capire, per ricordare, per sapere.
In questo modo, quando si transita in piazza Meardi, si va alla piscina Dagradi, o si passa in via Dal Verme, abbiamo coscienza dei personaggi a cui sono state intitolate.

Il clima dell’Oltrepò Pavese

Tutti i giorni abbiamo a che fare con la metereol… metolog… insomma con meteo. Dai tempi del Colonnello Bernacca, passando dal Colonnello Giuliacci, siamo affascinati da questi personaggi che, come fossero degli indovini, sanno dirci "che tempo farà".

Ma indovini non sono, dietro le frasi condite da locuzioni come "anticiclone delle Azzorre", "quadranti settentrionali", "possibili rovesci a carattere temporalesco", ci sono seri studi.
La meteorologia si basa su studi di statistica, di orografia, di fisica, e tanto altro, a metà strada tra lo sperimentale e il teorico

Nessuno mai, prima d’ora, aveva cercato di spiegare la meteorologia del nostro Oltrepò. Cos’ha di particolare? Beh di particolarità ne ha parecchie: contiene sia pianura che collina che montagna,  è riparata a sud dagli appennini, ha dei valichi verso il mare (che non è molto distante), ecc.

Quindi quando arriva un vento da sudovest colpirà Stradella, ma risparmierà Voghera. Se invece arriva dal mare, scavalcando i monti e passando per la Valle Scrivia avrà vita facile fino a Voghera, ma improbabile che arrivi a Santa Maria della Versa. 
E poi lo sapevate che può essere che a Voghera ci siano zero gradi di temperatura e magari sul Monte Lesima 4 gradi sopra ?
Questo e tante altre curiosità, spiegate approfonditamente con basi scientifiche, sono contenute nel libro "Il clima dell’Oltrepò Pavese", degli autori oltrepadani Gabriele Campagnoli e Marcello Poggi. Ve lo consiglio :-)

 

Ci vediamo a Voghera

Ho letto con piacere tempo fa questo libro di Valerio Gasio. Dopo un paio di volumi dedicati ai bar storici di Voghera, raccoglie in questo volume numerosissimi aneddoti, storielle, curiosità sulla città iriense, tutti corredati da tante belle fotografie.

Conoscete voi la storia dell’Albergo Reale d’Italia e i suoi illustri ospiti? Siete mai stati al Casino Sociale (io ho fatto in tempo a vederlo aperto) ? A cosa serviva il Cavo Lagozzo? Da dove arriva la Sacra Spina? Chi soggiornò a Palazzo Dattili?
E se passate da Via Galilei, alzate lo sguardo quando incrociate via Borroni. Poi informatevi su chi furono Carlo Gallini ed Ercole Ricotti e sappiatemi raccontare la storia della Società Operaia di Mutuo Soccorso, perché poi vi interrogo.

Scherzi a parte, vi consiglio vivamente di procurarvi questo godibilissimo libro, che ci racconta tanti "particolari", che in realtà sono la storia di Voghera. E, se non lo sapete ve lo dico io, per capire il presente ed affrontare il futuro, è indispensabile conoscere il passato.

Complimenti a Valerio per questa sua opera.

L’allenatore

Un libro di John Grisham. Simo in una cittadina americana, una di quelle tutte uguali a chissà quante altre. Qui diventano matti per il football. Hanno avuto una squadra giovanile che ha mietuto molti successi in passato, che è l’unica attrattiva del luogo. Quando ci sono le partite almeno metà della città va allo stadio. Il mitico allenatore, colui che ha guidato la squadra per quarant’anni, sta per morire. Osannato dal pubblico, odiato dai giocatori per i suoi metodi al limite dello schiavismo. Neely torna dopo quindici anni, richiamato dalla notizia. Ritroverà vecchi amici, vecchi amori, vecchie abitudini. Ritroverà la sua vecchia città, la vecchia vita di provincia. Uno spaccato dell’America, quella lontana anni luce da New York e Los Angeles.

Un libro veloce, a tratti "sgradevole", che parla di rancori, amicizia, usanze, di amore per lo sport nonostante tutto.

 

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