(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Month: January 2011

I+grandiSMnoi!!

Il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi…io e te! Ho preso la chitarra senza saper suonare volevo dirtelo, adesso stai a sentire non ti confondere prima di andartene devi sapere che…Il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi…io e te! Altro che il luna park, altro che il cinema, altro che internet, altro che l’opera, altro che il Vaticano altro che Superman, altro che chiacchiere… Il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi…io e te! Io e te…che ci abbracciamo forte, io e te, io e te…che ci sbattiamo forte, io e te, io e te… che andiamo contro vento, io e te, io e te… che stiamo in movimento, io e te, io e te… che abbiamo fatto un sogno, che volavamo insieme, che abbiamo fatto tutto e tutto c’è da fare, che siamo ancora in piedi in mezzo a questa strada, io e te, io e te, io e te! Altro che musica, altro che il Colosseo, altro che America, altro che l’exstasi, altro che nevica, altro che Rolling Stones, altro che football… altro che Lady Gaga, altro che oceani, altro che argento e oro, altro che il sabato, altro che le astronavi, altro che la tv, altro che chiacchiere… Il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi…io e te! che abbiamo fatto a pugni, io e te, io e te… fino a volersi bene, io e te, io e te… che andiamo alla deriva, io e te, io e te…nella corrente…io e te! Che attraversiamo il fuoco con un ghiacciolo in mano, che siamo due puntini ma visti da lontano, che ci affettiamo il meglio come ogni primavera, io e te, io e te, io e te! Il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang, il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi…io e te! Ho preso la chitarra senza saper suonare, è bello vivere anche se si sta male, volevo dirtelo perchè ce l’ho nel cuore, son sicurissimo…amore!

La pancia degli italiani

Beppe Severgnini sa che ogni italiano ha una propria opinione di Berlusconi, affinata e cementata in tanti anni. Con questo libro cerca di spiegare agli stranieri e ai posteri il fenomeno Berlusconi, la sua longevità politica, il suo magnetico appeal sugli italiani negli ultimi 17 anni. Secondo lui un motivo c’è. Anzi ce ne sono dieci:

  • Fattore umano. Gli italiani pensano: “ci somiglia, è uno di noi”. Vuol bene ai figli, parla della mamma, capisce di calcio, adora le donne, ecc.
  • Fattore divino. Berlusconi ha capito che gli italiani, per sentirsi meno peccatori, applaudono la Chiesa e chi dice di sposare le tesi della Chiesa. Se poi non lo fa, è lo stesso, il discorso si è spostato dai comportamenti alle intenzioni.
  • Fattore Robinson. Ogni italiano si sente solo contro il mondo. Come Silvio. E quindi siamo solidali con lui.
  • Fattore Truman. Quanti sono gli italiani che si informano, che seguono le trasmissioni critiche, che navigano su siti di controinformazione? Pochi. E tutti gli altri? Si adeguano alle idee berlusconiane, come fossero comparse nel Truman Show.
  • Fattore Hoover. Come i leggendari venditori degli aspirapolvere Hoover, anche Berlusconi ha una capacità di seduzione commerciale incredibile. Messaggi semplici, ripetuti più volte, aspetto curato, ecc.
  • Fattore Zelig. Come il protagonista del film di Woody Allen, Berlusconi è capace di immedesimarsi negli interlocutori: saggio con gli anziani, giovane tra i giovani, donnaiolo con le donne, tifoso tra i tifosi, lombardo coi lombardi, italiano coi meridionali, napoletano tra i napoletani (e canta anche!).
  • Fattore Harem. La sua ossessione femminile è da alcuni ignorata, da altri scusata, da altri ancora invidiata. I presunti scandali non l’hanno danneggiato, tutt’altro.
  • Fattore Medici. La Signoria è l’unica creazione politica originale degli italiani. L’atteggiamento di tanti italiani di oggi verso Berlusconi ricorda quello degli italiani di ieri verso il Signore: sappiamo che pensa ai suoi interessi, speriamo che pensi un po’ anche ai nostri.
  • Fattore T.I.N.A. L’acronimo sta per There Is No Alternative. Non ci sono alternative, e allora meglio un Berlusconi che qualsiasi altro. È la legge del “meno peggio”.
  • Fattore Palio. Per i contradaioli di Siena è quasi più importante che perda la contrada avversaria piuttosto che vinca la propria. Molti italiani, pur di non far vincere la sinistra, sono disposti a tutto. Anche a votare Berlusconi.

Il libro è gustosissimo, scritto bene, si legge in un viaggio aereo. E tira a galla molte verità. Dopo averlo letto, dopo aver capito quali sono i fattori che determinano il successo di Berlusconi cosa cambia? Niente. Siamo solo un po’ più consapevoli.

Ultima agenda

Ultima puntata tratta dall’Agenda Vogherese. La prima la trovate cliccando qui , la seconda cliccando qui e la terza cliccando qui.

Anche se in modo saltuario dal 1500 in avanti la nostra città fu presidiata dai soldati di principi o di nazioni che con le guerre venivano in possesso del nostro territorio. Il presidio ininterrotto Voghera lo ebbe da quando fu eretta la caserma Vittorio Emanuele II per un reggimento di cavalleria nel 1862. Gli utlimi militari lasciarono la nostra città nel 1964.

In tempi lontani le macellerie venivano date in appalto dal Comune per la durata massima di 3 anni e spesso venivano gestite dal medesimo. Specialmente in caso di epidemie di bestiame. Con decreto 13 pratile, anno X della Repubblica Francese, l’esercizio divenne libero per chiunque fosse munito dell’apposita patente. Da noi le macellerie vennero concentrate nella via della Caserma, detta perciò dei Macelli o delle Beccherie, ora via Bidone.

La pena di morte veniva eseguita mediante la forca, che veniva eretta sulle rive dello Staffora. Più avanti si usò anche erigerla nella piazza principale o in un prato fuori Porta Rossella, dove sorgeva la Birreria Stringa, che era chiamato prato della forca, âr pra drâ furca.

Successivamente si ritornò sulle rive del nostro torrente, dove l’ultima esecuzione avvenne nel 1865 nella persona di Felice Borgo detto Fransoà.

Il cantastorie vogherese era chiamato Turututélâ e vagava incessantemente per le sagre, nelle fiere, nei mercati e nei banchetti nuziali, divertendo con rime e canti improvvisati. Il suo strumento era un chitarrino formato da una zucchetta vuota fissata a un’asta con una sola corda. Quando qualcuno è noioso si usa ancora dire: è la canzone del Turututélâ, lè lâ cânsòn dâl Turututélâ.

San Lorenzo è il santo protettore della nostra città, ma viene festeggiato solo in chiesa. Essendo stato deposto sui carboni ardenti era usanza, a mezzogiorno preciso, che i bambini frugassero nella terra, specialmente sotto le grondaie, per cercare qualche pezzo di carbone che sarebbe servito per curare le malattie.

Soluzione del cubo sudoku – sudokube

Come avevo scritto in questo articolo mi ero procurato un cubo sudoku, vale a dire un cubo di Rubik che ha la particolarità di avere tutti i quadratini dello stesso colore, ma con un numero, in modo che ogni singola faccia componga un sudoku, vale a dire che abbia tutti i numeri da 1 a 9.
Ci ho messo mesi per capire come risolverlo e finalmente una gran mano me l’ha data questo articolo.

Il fatto è che il mio cubo sudoku non è uguale a quello dell’autore dell’articolo, ma perlomeno mi ha suggerito un metodo di risoluzione. Cercherò ora di spiegarvelo, ma darò per scontate due cose che di certo non posso star qui ad insegnarvi io (non ne ho né la vogliale capacità): come si risolve un cubo di Rubik e come si risolve un sudoku.

Per prima cosa vi consiglio di prendere un bel foglio a quadretti e una matita cancellabile, per poter disegnare le facce del cubo, in questo modo:

Iniziamo a posizionare i centri. Per “centro” intendo il quadratino centrale di ogni faccia. Ce ne sono quindi 6. Dovreste individuare un centro e fare in modo che, ruotandoli opportunamente, il centro alla sua destra, il centro alla sua sinistra e il centro opposto, siano tutti e 4 girati nello stesso verso.

Mi spiego meglio: se io guardo il mio cubo e vedo nella faccia in fronte a me il centro con scritto “1”, girandolo a destra trovo il centro “7”, a sinistra il centro “4” e dietro il centro “5”. Questi numeri sono tutti orientati nel senso giusto, non ho un centro girato così:

…o così:

Provate a rigirare il cubo nelle vostre mani finchè non troverete una posizione ottimale di partenza, quella in cui cioè avete i centri orientati come vi ho detto.

Il mio cubo ha i centri girati così:

Vedete? Se io guardo la faccia con scritto "4" e giro il cubo a destra trovo "1", poi "7" e poi "5", girati nel verso giusto.
Ora individuiamo la faccia principale. Quella che io chiamerò faccia principale è la seconda da sinistra, quella con il numero “1” scritto normale, NON capovolto.
 

Ora che abbiamo individuato i centri possiamo mettere gli spigoli.
Cosa intendo con la parola "spigoli"? Gli spigoli sono i cubetti d’angolo del cubo, quelli formati da 3 quadratini. Gli spigoli sono quindi in totale 8.
Gli spigoli del mio cubo (che citerò sempre come esempio) sono formati da queste sequenze di tre numeri (ciascuno su un diverso quadratino dello spigolo):

169
486
395
719
564
224
758
137

Prendete un foglio di carta e segnatevi gli spigoli del vostro cubo.

Ora, come metterli al loro posto? Guardando gli orientamenti dei numeri scritti sui quadratini e conoscendo le regole del sudoku (è facile: in ogni faccia un singolo numero deve comparire una sola volta!) riusciamo a posizionare tutti e 8 gli spigoli.

Per esempio, guardo la faccia principale del mio cubo, quella che ha il centro con il numero “1”. Incominciamo dalla posizione in alto a sinistra: che spigolo posso mettere? Deve essere un spigolo che quando lo posiziono deve avere il numero scritto sul quadratino che sta nella faccia “1” orientato nello stesso verso di “1”, cioè verticale, il quadratino che sta nella faccia “4” orientato nello stesso verso di “4” e quello nella faccia “6” orientato come il “6”. Questa è la regola dell’orientamento. Se trovo più di uno spigolo che soddisfa questa regola utilizzo la regola sudoku: nella faccia “1” ci finirebbe un quadratino con il numero “1” ? Anche se fosse orientato giusto non andrebbe bene, perché la regola Sudoku ci dice che in ogni singola faccia del cubo ci devono essere 9 quadratini con 9 numeri diversi (da 1 a 9 appunto). Utilizzando queste due regole è “facile” (lo scrivo tra virgolette perché non è molto intuitivo) mettere a posto tutti gli spigoli. Non dovete metterli a posto contemporaneamente sul cubo, provateli uno alla volta e segnateli a matita sul disegnino.

Ora dobbiamo sistemare gli angoli. Per angoli si intendono quei blocchi dove si vedono solo due quadratini. Ce ne sono 12. Io ho preso un foglio e li ho segnati così, in modo da indicare anche il loro orientamento:

 

 

(è un sei)

 

 

 

(è un sei)

(è un nove)

(è un nove)

 

 

 

(è un nove)

Scopro che ho 4 angoli in cui i numeri sono orientati così

Che sono:

Poi ho due angoli orientati così:

  

E infine altri angoli orientati in modo diverso.

Cominciando da questi ultimi che sono più facili, procedo così: osservo il mio cubo e cerco di capire dove inserirli. Ribadisco che il cubo va prima risolto SU CARTA. Stiamo facendo un lavoro esclusivamente con matita e gomma. Non dovete cercare di sistemare già i quadratini al loro posto. Nel vostro cubo "reale" sistemate SOLO i centri, in modo che le facce siano le stesse di quelle del vostro disegno su carta.
Dicevo… osservate una a caso delle dodici posizioni dove andrebbero sistemati gli angoli e  segnatevi che orientamento dovrebbe avere l’angolo da mettere proprio lì. Ad esempio, se guardo la mia faccia principale, la “1”, e guardo l’angolo in alto (quello tra “3” e “7”) scopro che ci deve andare un angolo che abbia i numeri orientati così:

In modo che, visto in verticale, sia così:

Guardo l’elenco dei miei angoli e noto che ne ho due di angoli fatti così:

 

Quale metto? Facile, nella faccia “6” c’è già un 2, nell’angolino in alto a destra. Ricordate le regole del sudoku? Nella stessa faccia NON ci possono essere due numeri uguali. Quindi non posso fare altro che mettere

In questo caso sono stato fortunato, ho trovato subito il pezzo giusto. A volte potrebbe rimanermi il dubbio, ma niente paura, passo ad osservare un altro angolo e inizio a sistemare i pezzi di cui non ho alternative nell’orientamento. Così facendo sistemo quasi tutti i pezzi. Bello, vero? Il nostro cubo sudoku sta prendendo forma. Mi rimarranno i 4 pezzi orientati così:

Ma osservando la regola del sudoku dovrei capire dove posizionarli
E infatti nel mio caso capisco che devo metterli così:

E ora? Beh ora non mi resta che risolvere il cubo. Io sono b e uso il sano vecchio metodo a strati, ma risolutori più evoluti usino pure il metodo che più gli aggrada. Un unico avvertimento: a questo punto fregatevene dell’orientamento dei centri. Infatti, una volta che avete risolto il cubo potreste avere dei centri orientati in modo errato, magari così:

Nel cubo normale questo non succede perché un quadratino colorato, anche se lo girate di 90 o 180 gradi, rimane sempre un quadratino colorato. Un numero invece no, se lo giri è un numero al contrario. Per sistemarli esistono due sequenze.

La prima serve a ruotare il centro della faccia in alto di 180 gradi, la seconda per ruotare il centro della faccia in alto di 90 gradi a destra e contemporaneamente il centro della faccia di fronte di 90 gradi a sinistra.
La prima sequenza è, per gli esperti di notazione:

u r l u u r’ l’ u r l u u r’ l’

per i meno esperti un piccolo ripasso:

 

(immagine tratta da Cubochiaro)

U sta per Up e quindi dice di girare in senso oraio la faccia superiore.
D sta per Down e dice di girare in senso oraio la faccia inferiore.
R sta per Right, faccia destra e L per Left, faccia sinistra.
Infine F sta per Front, girare in senso oraraio la faccia di fronte e B sta per Back, la faccia nascosta.

Se le lettere hanno l’apostrofo indicano che la relativa faccia va girata in senso antiorario!

E quindi, pedantemente e pedissequamente, la sequenza scritta sopra sta per:
(u) girare una volta in senso orario la faccia superiore
(r) girare una volta in senso orario la faccia di destra
(l) girare una volta in senso orario la faccia di sinistra
(uu) girare due volte volta in senso orario la faccia superiore
(r’) girare una volta in senso antiorario la faccia di destra

ecc ecc…

La seconda sequenza è

f b’ l r’ u d’ f’ u’ d l’ r f’ b

ovvero
(f) girare una volta in senso orario la faccia di fronte
(b’) girare una volta in senso antiorario la faccia dietro
(l) girare una volta in senso orario la faccia di sinistra

A questo punto dovreste avere il vostro sudokube risolto. Gran bella soddisfazione vero? Ora potete mischiarlo di nuovo…
Ps la prossima volta non dovete fare tutto questo procedimento, se non avete buttato via il fogliettino scritto a matita (anzi fate una fotocopia che non si sa mai…) 

Il paese che non c'era

Ormai non la fermo più: mia mamma è diventata una blogger! Ecco il suo nuovo articolo:

A nord inizia la Valle Staffora (col suo bacino delle acque) che scende con pendii rocciosi e scoscesi verso Varzi. A sud la vallata del torrente Avagnone, aperta e meno ripida, porta le sue acque nel Trebbia. Divide le due valli il Passo del Brallo. Forse il nome starebbe a significare il vento pungente che sempre spira da una vallata all’altra e che ad ogni passante farebbe pronunciare: “Brrr Brrr”.

Si narra che vi sia passato anche Annibale quando trasferì l’esercito da Cima Colletta al Monte Penice.

Già ai tempi dei sentieri del sale vi erano una bellissima fontana rigogliosa di acque cristalline e due casupole arroccate su un pendio: erano abitate dai Moscardini, i pionieri del luogo che più in basso annotava anche una “baracca” adibita ad osteria. A quei tempi, sui vari passi delle nostre montagne, esistevano ricoveri di quel genere che potevano prestare sostegno ai tanti passanti che a piedi, e magari carichi di merce,  andavano da una valle all’altra.
Poi venne la strada!
Dopo il 1930 la camionabile (ferma a “Costa  Mora”) fu prolungata fino a Ponte Organasco allacciandosi così alla statale 45 Piacenza – Genova.

Il Passo del Brallo cambiò volto: dai paesini vicini vennero nuovi abitanti. Da Bralello scesero gli Alpegiani e costruirono un grande albergo; i Normanno trasformarono quella catapecchia di osteria in un caseggiato con tanto di muri in pietra, di porte e di finestre. Poi fu la volta di altri trasferimenti dalle varie frazioni. La strada, non più sentiero, ma camionabile, fece appetito a molti. Da Valformosa vennero i Cavanna e i Frattini, da Barostro i Zanardi. Cominciarono le prime costruzioni. Nacquero alberghi, ristoranti, negozi e, in pineta, anche un dancing. Da Corbesassi vennero i Buscone e i Benedini. Aprirono i battenti le officine meccaniche e la falegnameria.
Da Ponti i Tordi costruirono case e negozi e reclutarono clienti da mezz’Italia. I Nobile aprirono negozi di generi alimentari. Da Colleri i Gualdana vennero ad impiantare il forno per il pane e focacce. Da Selva i Balconato allestirono la lavasecco e l’ufficio per le assicurazioni. Negli anni successivi queste immigrazioni continuarono ed il paese crebbe parecchio. Sul passo si installarono: il medico condotto, il farmacista, il veterinario, l’ostetrica, la maestra, il geometra, il calzolaio, la pettinatrice, il collocatore, il sarto, l’orologiaio, il barbiere, la bidella, e altri.
C’è stato un periodo, di alcuni anni, nei quali ha funzionato anche un distaccamento dei Carabinieri.

Brallo diventò capoluogo comunale. La logica porta a notare come in quel periodo si pensò di mettere in piedi l’edificio del municipio, quello delle scuole, la chiesa e venne realizzato un impianto di risalita per la pratica dello sci.

Il paese che non c’era, ora c’è.

Nel 1962 si tenne al Brallo un simposio per analizzare l’aria. Fu constatato che, essendovi molte pinete nei dintorni ed essendo il posto vicino al mare (in linea diretta circa 30 chilometri), il misto di aria  così analizzata risulta ottimale, specie per chi soffre di bronchiti.

Anni di progresso, anni di benessere, nugoli di gente che sale al Brallo, nonni e bambini che vengono a prendere l’aria buona.
I residenti costruiscono, affittano, c’è lavoro per le imprese edili, come quelle dei Ravetta,dei Pericotti e dei Normanno.
Si aprono negozi di pelletteria, di alimentari, di elettrodomestici, di cartoleria e di souvenir. Si rimodernano le strutture, si cambiano arredi, si creano pizzerie, gelaterie, sale giochi. Al Brallo ora c’è un commercio fiorente. Aprono i battenti anche la palestra e il cinema e mettono le radici persino due banche.

Passano gli anni. Inizia lo spopolamento della montagna, i giovani (anche laureati) cercano lavoro altrove, le famiglie si diradano, non ci sono più bambini. Le scuole delle frazioni, una dopo l’altra, chiudono. Persino a Corbesassi e a Colleri dove le insegnanti erano due. L’epopea comincia la discesa: ora non tutto funziona come da prospettiva. Chi ne risente per primo sono le discoteche e gli altri centri ludici. Oggi a peggiorare le cose è giunta anche la crisi generale. Ciò nonostante, i longevi abitanti del Brallo, come l’edera, sono abbarbicati alla loro montagna, cercano in tutti i modi di affrontare, alla meno peggio, la situazione. Hanno istallato un distributore di benzina (con self-service), hanno riordinato la piazza centrale, hanno sistemato il gioco delle bocce, hanno provveduto alla realizzazione di campi da calcio e da tennis. La Pro Loco si fa in quattro ad organizzare sagre e ricorrenze, nonché indire dibattiti culturali, balli e cene.

Insomma, cercano in tutti i modi di non far mancare quelle infrastrutture, anche nuove, affinché possa funzionare il centro tennis e il centro benessere.

Il paese che non c’era, ora c’è.
 

Visitatelo: fatelo a girotondo, vi accorgerete che è il paese più bello del mondo.

Rita

Tolleranza religiosa

lo so che parlo di questa cosa in ritardo, ma ieri mentre guidavo mi è tornata in mente, mi sono arrabbiato tantissimo e ho pensato di scrivere questo post.

L’argomento è questo: in una scuola di Roma hanno pensato bene di abolire le tradizioni del Natale. Quindi niente presepe, niente storia della nascita di Gesù, ecc. ecc. Questo perchè, secondo chi ha deciso, quella scuola è frequentata anche da tanti bimbi figli di stranieri e quindi con culture e soprattutto religioni differenti. Quindi, per non fargli un torto, niente Natale.

Eh no miei cari signori, ma voi sareste a capo di una scuola? Ma voi siete degli ignorantoni al cubo! Parliamo tanto di integrazione e poi evitiamo di festeggiare tutti insieme una tradizione cristiana (e anche e soprattutto italiana) come quella del Natale? I bambini figli di stranieri non ne sapranno niente del Natale, è così che intendiamo integrarli? Complimentoni, un genio quello che ha deciso.

E poi dei bambini italiani non gliene frega niente a nessuno? Qui come al solito, per far vedere che noi siamo tolleranti ecc ecc facciamo cose assurde come quella di togliere i crocifissi, e adesso pure il Natale. Io se avessi avuto un figlio in quella scuola lo avrei ritirato immediatamente. Ma scusa: a mio figlio non pensa nessuno? Lui non avrebbe avuto il diritto sacrosanto di festeggiare il Natale a scuola (in Italia)? E non venite a dirmi delle baggianate immense come la storiella della scuola laica: voi che parlate e vi ritenete laicissimi non mi dite che non festeggiate il Natale… e allora, ma fatemi il piacere!!!

Ma scusa allora facciamo una legge che vieti ai ristoranti di cucinare carne suina o bovina, così estirpiamo alla radice la preoccupazione di poter offendere altre religioni che, si da il caso, io ritengo rispettabilissime e degne di tutela, ma non è questo il metodo. Io se andassi ad abitare in un paese a maggioranza di una religione che non è la mia sarei perlomeno curioso ed onorato di poter partecipare alle feste religiose. Caro direttore della scuola: bocciato!

Pelliccia di castorino

Anni fa, ricordo, le pelliccie da donna andavano parecchio. Il classico dei classici era la pelliccia di visone, ma c’erano svariate alternative. Ricordo che mio papà aveva sempre qualche cliente in cerca di pellicce. Le donne mature si indirizzavano più verso modelli lunghi, ampi  e più classici, le giovani su modelli più corti e magari di altri animali, come la volpe argentata o il più economico castorino.

C’erano quelle che la volevano bella, di qualità, ed erano disposte a pagare un po’ di più. Quelle che avevano già una o più pellicce e ne volevano un’altra. Quelle che tanto pagava il loro uomo (che fosse marito, ma non credo, o amante, poco importava). E quelle che si accontentavano di pelli meno pregiate.

C’era appunto tra queste il castorino. Ma che animale è questo? Se vi dico che è la nutria ci credete? No? Eppure, care mie, è proprio così. Come dire "lapin" al posto di "coniglio", così si dice "castorino" invece di "topolone"….

Ramo dei marchesi Malaspina di Pregola

Tratto (a volte liberamente tratto) da “I Malaspina di Val Staffora”, di Guido Guagnini, 1967

(seconda parte)

Esistono due rami. Un primo ramo va fatto risalire a Carlo Malaspina che sposò nel 1697 Lucrezia, figlia del marchese Giuseppe Malaspina di Godiasco, dal quale ereditò alcune porzioni feudali nonché l’elegante, antico palazzo Malaspina di Godiasco, il cui portale reca scolpite in arenaria la leggenda delle origine malaspiniane. Dall’epoca del matrimonio abitò sempre in Godiasco, ove pure dimorarono i suoi discendenti. Carlo ebbe un solo figlio, in seconde nozze, Corrado. Questi morì in giovane età ed ebbe vari figli: Guglielmo, che trovò morte tragica perendo annegato nello Staffora in piena, Giovanni e Riccardo. Quest’ultimo ebbe come figli Giovan Maria e Guglielmo, celibi, e Vittorio che a sua volta ebbe un solo figlio, Corrado. Come vedete ci sono nomi ricorrenti nella genealogia dei Malaspina. I figli di Corrado morirono in giovanissima età ad eccezione della quartogenita, Maria Teresa, nata nel 1891, che si fece suora ed è tuttora vivente (in realtà, in base alle mie fonti, è morta negli anni ’80 del secolo da poco terminato. Il libro del Guagnini è del 1967).

L’altro ramo della famiglia fu originato dal marchese Giuseppe nel XVII secolo. Giuseppe fu padre di Baldassarre che ebbe a sua volta un figlio, Antonio, che abitava in Pregola nel signorile palazzo della sua famiglia e che era in ottime condizioni finanziarie e che, anche dopo la soppressione dei feudi, aveva conservato ampi possessi fondiari in valle Staffora e in valle Trebbia; possedeva inoltre il bel palazzo di Varzi, ora sede del Municipio.
Il marchese Antonio ebbe due figli: Teresa e Baldassarre, nato nel 1826, che sposò Teresa Muzio di Varzi e che fu padre di Antonio e Rodolfo. Antonio, celibe, morì in Varzi nel 1923. Rodolfo, avvocato, aveva sposato la sua servente ed amante perché fu minacciato dai parenti di lei non volendo regolarizzare la sua posizione, ma non ebbe figli e morì l’anno dopo improvvisamente. Fu l’ultimo maschio dei marchesi Malaspina di Pregola.

Il castello antico di Pregola sorgeva sulla rupe posta all’ingresso del paese e fu distrutto nel 1571. Con in materiali ricavati si costruì l’attuale palazzotto, impropriamente detto castello. Nella sala principale del palazzo cinquecentesco vi è un bel camino scolpito e sopra di esso si vede il grande stemma dei marchesi Malaspina di Pregola che risulta così inquartato: nel I e nel IV di rosso, alla aquila bicipite coronata d’oro sulle due teste; nel II e nel III d’azzurro, allo spino secco, sorgente da una montagna di nero, afferrato da destra dal Leone Bianco rampante in posizione eretta e coronato d’argento. (Purtroppo è andato distrutto)

Pregola assume per lo storico un’importanza eccezionale perché può essere presa come archetipo del costituirsi del paese signorile della valle Staffora. Anticamente il feudo si estendeva molto verso mezzogiorno e comprendeva torri e castelli che le numerose divisioni fra i membri della famiglia ridussero sempre più, finchè cessato di essere marchesato autonomo, nel 1879 fu aggregato di fatto al marchesato di Santa Margherita.

Pregola fu senza dubbio la tappa del primo affacciarsi dei Malaspina sulla valle Staffora, considerata come il solo itinerario rapido per raggiungere le fertili pianure del Po. Pregola fu scelta come sede propizia a guardia del valico, con funzioni di controllo e con diritto di pedaggio, fonte prima della ricchezza del signore.

Ancora Malaspina

Tratto (a volte liberamente tratto) da “I Malaspina di Val Staffora”, di Guido Guagnini, 1967

(prima parte)

In primis c’era la famiglia nobile dei cosiddetti “Obertenghi”, così chiamati dall’illustre capostipite Oberto. Da questa famiglia ne discenderanno altre altrettanto illustri, come quella dei Marchesi di Massa-Parodi, di Massa-Corsica, dei Pallavicino, dei Lupi, dei Cavalcabò, dei Marchesi d’Este e, ultimo ma non ultimo, dei Malaspina. Questi ultimi discendono da uno dei figli di Oberto, vale a dire Oberto Obizzo I. Lui e i suoi discendenti si localizzarono tra gli appennini tra Genova, Tortona e Piacenza, nelle valli del Trebbia e dello Staffora, per tornare più tardi in Lunigiana, estremo lembo della Liguria Orientale, per rivendicare i diritti dei loro avi. Probabilmente questi primi progenitori dei Malaspina fissarono il loro centro nella sicura rocca di Oramala, in alta valle Staffora. Pronipote di Oberto Obizzo fu Alberto, detto “Malaspina”.

Sull’origine di tale soprannome, poi diventato nome ufficiale della casata, sono stati scritti fiumi di inchiostro. C’è chi sostiene addirittura che non fu assegnato ad Alberto, ma che fosse già in uso ai suoi avi. Questi nomignoli non erano certo loro prerogativa, visti i soprannomi Pelavicino (primo nome dei Pallavicino), Ribaldo, Malapresa, Malnipote, Iniquità, dati ai signori di quei tempi, che spesso facevano della rapina il loro mezzo per ottenere denaro dai sudditi e dai viandanti.

Il figlio di Alberto fu Obizzo, grande figura si signore feudale. Fu difensore di Tortona nel 1155, per cui la città gli dedica oggi una piazza, e poi ottenne dall’imperatore Federico Barbarossa un diploma di investitura feudale e assegnazione di territori. Questo importante diploma è la prova che i Malaspina dominavano in Lunigiana (nelle odierne province di Massa Carrara e La Spezia), la valle Staffora da Godiasco a Brallo, al Penice, l’alta val Curone, la val Borbera e alcuni luoghi di pianura nell’Oltrepo Pavese.

Fu nel 1221 che la famiglia si divide in due rami. Corrado sceglie come sede Mulazzo e mantiene lo stemma di famiglia, consistente in uno spino secco. Obizzino sceglie come sede Filattiera e adotta come stemma uno spino fiorito. Sia una discendenza che l’altra ebbero destini molto confusi. A quei tempi non era più uso mantenere intatti i possedimenti che quindi spesso venivano divisi tra i discendenti. Questa è stato uno dei motivi che hanno diminuito la forza della famiglia Malaspina. Quando si tentò di porvi rimedio istituendo le primogeniture fu troppo tardi. E ragione di debolezza e dissolvimento furono anche gli antagonismi, le discordie e le fazioni che tennero spesso divise le famiglie fra di loro e talora anche i membri di una stessa famiglia.

(continua domani)

C'era una volta il west

Avete mai visto questo capolavoro di Sergio Leone? Molti lo considerano inferiori a suoi film più famosi, come "Il buono, il brutto, il cattivo", ma, si sa, spesso i film che sono opere d’arte non piacciono tantissimo, proprio perchè non sono immediati.

Il film è del 1968. La storia racconta di un Lontano Ovest, come sempre misterioso, violento, avventuroso, che però sta per finire. Sta per arrivare la ferrovia che collegherà l’Atlantico col Pacifico, e che quindi farà arrivare tanta nuova gente, e con essa la civiltà.

E’ un film malinconico, che chiude un’era. La storia è la "solita", fatta di cattivi, di buoni dal grilletto facile e dalla mira perfetta (e dalle pistole che non si inceppano mai neppure in mezzo al deserto), di banditi simpatici, di povera gente e di donne belle, un po’ dannate e un po’ sante.

Magari non è andata proprio così, ma quando il film finisce sembra una sigla di coda sul "Far West".

Neanche da dire che le superbe musiche di Ennio Morricone svolgono anche qui un ruole fondamentale.

Nota di costume: se siete dei fan dei film di Quentin Tarantino, guardando questo film potete capire quanto il regista statunitense abbia imparato e "rubato" da Leone, che infatti considera uno dei suoi maestri (così come un altro italiano, Mario Bava).

Un film che non deve mancare nella vostra videoteca.

Vetrine sottili

Messaggio per i clienti (si possono definire clienti anche quelli che non comprano? va beh diciamo "potenziali clienti"): guardate che le vetrine del mio negozio sono spesse, sono antiurto e antisfondamento, ma sempre di vetro sono, quindi… vi sento quando dite qualcosa guardando le vetrine.

A volte fa proprio piacere. Capita quando sono in negozio in orario di lavoro, ma spesso e volentieri quando sono lì per caso nella pausa pranzo o alla sera, di ascoltare i commenti della gente che guarda gli articoli e fa apprezzamenti. Cose normali, come
"Guarda che belle quelle scarpe" oppure "Voglio quella giacca!". A volte con risposte del tipo "Guarda che quella è una giacca da donna!" o magari "A me non piace per niente". E’ un metodo per conoscere le opinioni sincere.

Insomma, se sono complimenti fa proprio piacere, perchè sai che sono del tutto sinceri. Se sono critiche in un certo senso fa piacere lo stesso, e sempre per il medesimo motivo: so che sono sincere, senza secondi fini. E quindi cerco di tenerne conto.

A volte mi è capitato di sentire cose "sgradevoli" come: "quelle scarpe lì non le metterei neanche se mi pagano" o peggio "tu sei convinto che qui hanno della roba bella, convinto tu…" o peggio ancora "io in questo posto di merda non ci vengo più". Per la cronaca il ragazzo era semplicemente entrato a cercare una felpa ma dopo mezz’ora di prove non ne abbiamo troavata una che non andase bene per taglia e/o colore e/o modello….e va beh, a questo mondo non si può andare bene a tutti….

Commercianti, qualche sorriso

da "La Provincia Pavese" del 21/12/2010

Commercianti, qualche sorriso
Impennata negli acquisti a pochi giorni dal Natale

di Francesca Toma
VOGHERA. Se ne è andato anche l’ultimo fine settimana prenatalizio. Che aria tira fra i commercianti vogheresi in tempo di crisi e di magri affari?  «Sono contenta – dice Sabrina Ruggeri della libreria Mondadori – Il Natale è andato un po’ peggio dell’anno scorso ma il bilancio è comunque in attivo». Giudizio molto positivo quello di Walter Merli, titolare de «I 3 Merli», negozio a gestione familiare aperto da poco. «Sono soddisfatto, il Natale è andato bene. C’è stato un notevole movimento di clienti».  Di tutt’altro avviso, invece, Ferdinando Armandola, dell’omonima salumeria, il quale si dice demotivato. «Non c’è gente in giro, quindi viene a mancare anche l’entusiasmo nel lavorare e nel vendere». Armandola fa il commerciante da oltre trent’anni. «Una volta – racconta – fuori dal negozio c’era una coda che bloccava la via Emilia, adesso invece manca la voglia di impegnarsi». In giro, ieri pomeriggio, di gente ce n’era pochina. Forse incide sia la concorrenza dei centri commerciali spuntati alla periferia, sia alla difficoltà di parcheggiare l’auto. E’ di questa opinione Enrico Romussi, di Romussi Gioielli. «Il Natale? Non è ancora partito», l’esito delle vendite natalizie non è positivo, ci sono pochi soldi da spendere, i regali si fanno ma con un budget minore e gli articoli di gioielleria possono sembrare superflui. C’è anche chi ha un’opinione a metà fra i due estremi, come Martina Schmidt, di Bersani (giocattoli). «Ovviamente non è il Natale di anni fa, però siamo abbastanza contenti», osserva. C’è infatti un ritorno al giocattolo in legno, prodotto che in genere nei supermercati non si trova, a differenza dei giochi reclamizzati. Opinione che racchiude le idee di entrambi gli «schieramenti» è quella di Fabio Tordi (Piazza Affari, abbigliamento). «Sono a Voghera da 14 anni, e questo è stato il Natale più brutto in assoluto. Ma l’ultimo fine settimana è andato bene». Gli acquisti natalizi sono quindi partiti in ritardo, ma ora si assistendo a un rush finale che potrebbe consolare i commercianti del centro cittadino, anche se i tempi delle vacche grasse restano lontani.

21 dicembre 2010

2011

Se vuoi riempire la tua brocca,
vieni, oh vieni al mio lago.
L’acqua si stringerà intorno ai tuoi piedi
e ti sussurrerà il suo segreto.
Sulla sabbia è l’ombra della pioggia imminente,
le nuvole pendono basse
sopra il profilo azzurro degli alberi,
come i folti capelli sopra i tuoi occhi.
Ben conosco il ritmo dei tuoi passi,
essi battono nel mio cuore.
Vieni, oh vieni al mio lago,
se devi riempire la tua brocca.


Se vuoi startene oziosa e sedere indolente
e lasciare che la tua brocca galleggi sull’acqua,
vieni, oh vieni al mio lago.
Il declivio erboso è verdeggiante
e i fiori di campo sono innumerevoli.
Dagli occhi bruni i tuoi pensieri vagheranno
come uccelli fuori dai nidi.
Il tuo velo cadrà ai tuoi piedi.
Vieni, oh vieni al mio lago,
se vuoi sedere indolente.

Se vuoi lasciare il tuo gioco e tuffarti nell’acqua,
vieni, oh vieni al mio lago.
Lascia il tuo mantello azzurro sulla riva;
l’acqua azzurra ti coprirà nascondendoti.
Le onde si leveranno in punta di piedi
per baciarti il collo e mormorare ai tuoi orecchi.
Vieni, oh vieni al mio lago,
se vorresti tuffarti nell’acqua.

Rabindranath Tagore (রবীন্দ্রনাথ ঠাকুর, रवीन्द्रनाथ ठाकुर)

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