(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Month: July 2019

Gattinger

quando udrai un fragor a mille decibel su dal ciel piomberà Gattinger 
veloce e distruttore come un lampo non da’ scampo odia la paura non conosce la pieta’ 
altolà falsità fermati malvagità su di voi avvoltoi c’è Gattinger !

Siro del Brallo – 30 – Castagne

Siro nella sua carriera non ha venduto solo sci, giacconi, camicie, maglioni, pellicce, ecc. Ha venduto anche… CASTAGNE! Come? In che modo? Scopritelo.

Strano

Vieni: camminiamo insieme, facciamo questa strada mano nella mano. Strano? Me l’han già detto. “Strano“, ma sono l’artigiano di questo brano perfetto. Lacrime di ghiaccio e tu mi trovi strano? Di dubbi me ne faccio, ma piano piano li risolviamo (insieme). Strani, strali lanciati, strati di vita, strage infinita, viva la vita! lo dico lo scrivo, lo vivo!

Cagliostro

Buongiorno. Mi chiamo Cagliostro e da qualche mese condivido la mia casa con Pisaré.
Io sto sul divano e lui sotto il divano.
Abbiamo due umani: Fabio Valentina. Sono un po’ difficili da gestire perché mangiano sul tavolo, dormono nel letto, ecc. Insomma sono due umani viziati, ma cosa ci vuoi fare, mi stanno simpatici, non posso mica abbandonarli al Gattogrill sull’autostrada.
Io di lavoro faccio il controllore: controllo se le tende sono attaccate bene, se le noci sono dure, se i panni stirati sono antimacchia e antipelo, se i cuscini sono comodi, se le biro servono a qualcos’altro oltre che a scrivere, se è vero che l’acqua del bidet è la più buona. Ho provato anche a sfatare la leggenda che dice che se un televisore LCD cade dal mobile possa avere dei danni ai cristalli liquidi. Era vero.
Questa è la mia prima uscita pubblica, sono un tipo timido e riservato, ma avrete presto mie notizie. Ciao.
Cagliostro.

Cane volere divano

Sugli imballaggi

Circolano articoli, servizi e documentari che allertano sul disastro che si sta perpetrando ne mondo, sopratutto negli oceani, causato dalla plastica.
Tonnellate e tonnellate di plastica che ogni anno finiscono nei mari, uccidendo interi ecosistemi, danneggiandone altri, estinguendo o mettendo in grave difficoltà specie animali. E questo porta come reazione la rottura di equilibri che provano altri gravi danni.

Che fare? Consumare meno plastica? Ma basta portarsi da casa la sportina per salvare il pianeta? No, credo di no.

Dobbiamo intervenire a monte, sugli imballaggi.
Ma vi pare possibile che quando vado a fare la spesa, e porto a casa una quantità “normale” di prodotti (diciamo una borsa o due), riempio un sacchetto della spazzatura solo con la plastica degli imballaggi da buttare via? La confezione singola (nella plastica) contenuta nella confezione grande, di plastica. Ormai anche i prodotti freschi (frutta, carne) li troviamo nell’imballaggio di plastica.

Ci fanno pagare il sacchetto della frutta al supermercato. A cosa serve? Pagando, forse, inquiniamo meno? Oppure credono che sia un deterrente? Lo sarebbe se ci fosse un’alternativa, ma visto che di solito l’alternativa non esiste è solo un’ulteriore inutile tassa. Se volessero fare qualcosa per lasciare una Terra meno distrutta di quel che potrebbe essere, dovrebbero imporre i sacchetti di carta, non quelli di plastica a pagamento! Dovrebbero vietare ai produttori di imballare tutto nella plastica.E l’igiene, direte voi? Vorrà dire che i supermercati assumeranno qualcuno in più per servire i clienti, e dargli i prodotti nella carta.

Non è più possibile che la frutta sia nella plastica, l’acqua nella plastica (mi piange il cuore, siamo circondati da Alpi e Appennini e gli italiani sono i più grandi consumatori di acqua in plastica del mondo, manco fossimo nel deserto arabo), i salumi nella plastica, l’olio nella plastica, la pasta nella plastica. Come direbbe Sfera: ebbasta !!!

Nel mio lavoro succede la stessa cosa: le maglie, i pantaloni, le giacche imbustate ad una ad una nel sacchetto di plastica. Terribile, davvero.

Futura

Il futuro. È una cosa che a molti fa paura, il futuro. Già perché, per definizione, non sai cosa aspettarti per il futuro, e quindi i timori sono inevitabili.

Iniziamo coi “se” e coi “ma“: se succedesse questo o quello? Se facessi una scelta sbagliata? Se mi capitasse quella cosa? Se poi non ce la faccio? Ma non sarebbe meglio…

Invece no, il futuro è nostro. Non servono grandi cose, tutto viene in base alle aspettative. La mia è quella di vivere bene, cioè più possibilmente sereno e felice. E per questo “basta” (si fa per dire) coltivare la quotidianità, lo stare bene, il trovare il bello dappertutto, avere sempre stimoli nuovi, superare le difficoltà

Io, l’ho già detto tante volte, mi ritengo davvero fortunato e tutto ciò che mi serve è a portata di mano, bisogna coltivarlo, farlo crescere, crederci, non mollare

Poi, vabbè, ho Valentina che cammina insieme a me

THEC64

LEGENDS MAY SLEEP…. BUT THEY NEVER DIE !!!

Aneddoti 2019

Entra un tizio in negozio: sui 40/45 anni, vestito in modo normale. Lo saluto e lui inizia la tiritera: “Vendo candele profumate“. Io gli faccio notare che anche io vendo e soprattutto che sono lì per vendere, non per comprare (frase standard per i rompicoglioni che passano quotidianamente in negozio: bollette elettriche, nomadi, questuanti vari, ecc).
Lui allora capisce che con me non attacca e si getta in ginocchio davanti a mio papà, evidentemente sperando che con una persona anziana possa avere più possibilità, ma la cosa non fa che farmi innervosire, e parecchio. Si mette a piagnucolare qualcosa, ma io lo blocco subito dicendo “No, se fai queste sceneggiate peggiori solo la situazione” ripetendoglielo altre due volte perché faceva finta di non capire (benché italianissimo).
A questo punto si alza, prende le sue candele che mi aveva appoggiato sul balcone e mi dice: “Che faccia
Io rispondo “Perché, non ti piace?
E lui, indicando il soffitto “Lassù Dio vede e provvede, tu finirai con la faccia per terra“, indicando il marciapiede antistante il negozio. 
Io: “Veramente? Ma dai, pensa. Che fai, minacci, lanci maledizioni o semplicemente straparli?
Lui, uscendo e andandosene: “Finirai per terra con quella faccia da cazzo che ti ritrovi

Che dire… una di quella frasi politicamente corrette? Io onestamente non direi nulla, solo una manganellata data bene.

Agilulfo

Partecipare a un corso di teatro è sempre stata una di quelle cose che mi ispirava e, come direbbe tanta gente “mi mancava pure questa“. Qualche anno fa ci avevo fatto un pensierino, ma poi non se n’era fatto niente. A settembre dello scorso anno invece io e Valentina ci diciamo: perché no? E poi c’è sempre la prima lezione gratuita che ti invoglia.
E così siamo rimasti, ogni lunedì appuntamento fisso per un paio d’ore. Imparare a conoscere sé stessi, le proprie emozioni, il proprio corpo, l’uso del proprio corpo, l’uso del proprio corpo guidato dalle proprie emozioni.

Così fino a febbraio. Poi abbiamo iniziato ad allestire lo spettacolo di fine corso.

Ho scoperto un bel gruppo. Partiamo dalla nostra coach, la nostra insegnante, che poi è stata anche regista, scenografa, sceneggiatrice, e quant’altro: Michela. Ci ha amalgamato, ci ha capito e ha cercato di tirare fuori il meglio di ciascuno di noi, senza troppe forzature, solo con pazienza ed insistenza. Poi i ragazzi che abbiamo trovato già lì e che a poco a poco, settimana dopo settimana, abbiamo iniziato a conoscere: Chiara che quando si muove pare danzare, Francesco che ne combina sempre una, Valerie che sembrava un agnello e invece era una tigre, Stefania che sembrava tutta d’un pezzo e invece aveva tante paure (che ha superato), Moreno che non impara mai le battute, Elisa che a me pare la più brava tra di noi. E poi i ragazzi che ci hanno raggiunto in corsa, ma che sono subito entrati “nel gruppo”: Paola che all’inizio sembrava timidina e Simone che non sembrava (e non è) per niente timido. E infine Jennifer, che anche se era nel corso permanente (quello avanzato) è in pratica una di noi.

Ci siamo conosciuti, ci siamo divertiti, abbiamo scoperto cose di noi che non sapevamo e abbiamo imparato qualcosa. E abbiamo riso tanto.
Lo spettacolo finale si è chiamato “Agilulfo” perchè tratto da “Il Cavaliere Iniseistente” di Calvino che narra le gesta del cavalier Agilulfo. Alcune battute non le scorderò mai. Secondo me siamo stati bravi: uno che non aveva mai letto il libro probabilmente non capiva niente della storia, ma alcuni momenti sono stati veramente esilaranti. Grazie a tutti.

Napite

La pineta di Brallo e, sullo sfondo, casa mia. 
È stato il luogo più frequentato durante la mia infanzia e adolescenza.
Si sta bene: silenzio, arietta, qualche passero e qualche grillo

Centolire

Da bambino andavo da mio papà a farmi dare cento lire.
Mi dai centolire?”
Era la mia “paghetta” giornaliera. 
Molti di voi penseranno che a quell’epoca cento lire fossero comunque una discreta sommetta. E invece no, erano pochine.
Potevi permetterti un ghiacciolo, una partita ai videogames o, come spesso accadeva, una canzone al juke-box. La mia preferita nell’estate del 1983 era Vamos a la playa, dei Righeira, che quando mi dicevano che erano italiani io non ci credevo.

Andavo al Bar Cavanna e aspettavo un po’, per vedere se qualcuno prima di me l’avesse per caso già scelta, e in quel caso sarebbero state cento lire risparmiate. Quando, dopo 5 o 6 canzoni, non sentivo la “mia”, mi arrendevo, mettevo la mia monetona nella fessura e pigiavo quei grossi tastoni del macchinario. 
Mi stupiva sempre il fatto che ci fossero anche le lettere “straniere” ed era una figata quando la canzone scelta era del tipo “J8” o “K3“.

Quando un disco finiva, smetteva di girare e il meccanismo lo prendeva per riporlo al suo posto. Se qualcuno aveva scelto una nuova canzone, tutto ripartiva: i dischi scorrevano finché la mano meccanica sceglieva il vinile richiesto, lo alzava, lo girava orizzontale e lo riponeva sul giradischi.
Arrivava la testina, si abbassava e…zac, dalle casse ecco la tua canzone.

I grandi successi stavano nel juke-box anche un anno, le canzoncine estive solo per pochi mesi. I nomi dei cantanti e i titoli delle canzoni erano scritte su un’apposita etichetta, ma talvolta capitava che fossero scritte a mano, chissà perché. Magari il fornitore di dischi non forniva l’ etichetta per il “giùbocs“, oppure il disco in questione non era destinato a tale uso e allora il barista doveva scriverlo a biro.

Millicent

Mi capita una sera che sono a Brallo, entro in casa e la prima cosa che penso è: chissà se Milli è in casa o ancora in giro? Poi mi viene subito in mente che Milli non è in giro e neanche in casa.
Purtroppo da ormai 3 mesi il tempo di Fabio e Milli è finito. Una sera è uscita di casa e non è mai rientrata: investita da un’auto? Chiusa in qualche cantina? Rapita di proposito? Salita per sbaglio su un furgone e abbandonata chissà dove? Morta di qualche malattia, nascosta dove nessuno poteva vederla? Chissà. Tutto potrebbe essere.
A me piace pensare che se ne sia andata, che abbia preso il suo fagottino in spalla e abbia pensato: caro Fabio, in fondo sono 11 anni che ti conosco, ne abbiamo passate davvero tante, ma adesso è ora che io vada verso nuove avventure.
E poi penso a quando mi ha scelto, in mezzo a una dozzina di altri micetti, a quando tornavo a casa e lei mi veniva incontro già 200 metri prima, alle graffiate che mi ha dato durante le lotte, a quando dormiva in vetrina a Brallo o nelle scatole di scarpe a Voghera. La conoscevano tutti Millicent, la conoscevano come “Milli“.

Quelli che mi hanno detto “mi spiace”, quelli che mi hanno aiutato a cercarla, quelli che mi hanno detto “te la sei cercata“, quelli che hanno attaccato locandine, quelli che la conoscevano e la apprezzavano per la sua libertà e il suo amore per tutti. L’ho detto tante volte, io non sono il padrone di Milli, Milli non ha padroni, è e sarà sempre un essere libero. Per questo mi piace pensare che sia “sparita” da gatta libera, andando verso il suo destino, qualunque esso possa essere.
Quelli che le davano del cibo, quelli che la prendevano in braccio, quelli che dicono che avrei dovuto tenerla chiusa, quelli che hanno stampato, girato, osservato, telefonato, scritto.
E penso a quando faceva le coccole a mia mamma (tant’è che il giorno in cui è morta, Milli si è seduta sulla sedia a fianco alla bara, se ci fosse ancora bisogno di spiegarlo a quelli che dicono che i gatti sono anaffettivi), alle mille volte in cui è “scappata” (una volta dall’auto in movimento, e me ne sono accorto solo dopo qualche chilometro, un’altra volta sparita da casa per arrivare poi in negozio), ai suoi dispetti, alla sua gelosia, a tutte volte che mi veniva addosso con le sue zampacce sempre sporche.
Bye bye Millicent, buona fortuna.

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