(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Month: September 2012

I Ragazzi Del Lesima – 5

Il giovane venditore rimase qualche minuto pensieroso.
“Una maestra… addirittura… una maestra… Quando andavo a scuola a Corbesassi avevo un maestro che arrivava da Varzi, o da un paese vicino. Mi sembrava altissimo, intelligentissimo, vecchissimo e soprattutto molto austero e severo. Io, per fortuna, me la cavavo molto bene in aritmetica e quindi riuscivo a scusare qualche carenza nelle altre materie. Non avevo mai conosciuto prima d’ora una maestra, soprattutto una della mia età. Caspita: una maestra, una vera maestra!”.
Fu destato da una mano che si era posata sulla sua spalla: era lei!
“Allora, ci facciamo un ultimo giro? Però devi promettermi che stai più attento e cercherai di non pestarmi troppo i piedi”.
E ballarono, ballarono, ballarono fino al tramonto. Il ragazzo si rese conto che doveva imboccare la via del ritorno, aveva parecchia strada da fare per tornare a casa.
“Il mese prossimo c’è la festa a Vezimo, vieni?” disse la maestrina di Zerba.
“Credo proprio di sì, allora ci vediamo là, così puoi darmi altre lezioni di ballo.”
“Volentieri, mi sei molto simpatico, e pensare che mia mamma mi aveva parlato male di te.”
“Ah si? Posso conoscere il motivo di questa antipatia?”
“Beh, diceva di starti alla larga perché sei un commerciante, e quindi un buono a nulla, uno che non è capace neanche di andar nei campi o curare gli animali, e poi che sei uno sbruffone, un fanfarone. Sai, i miei genitori hanno fatto dei sacrifici per permettermi di studiare e vorrebbero per me qualcuno che abbia un lavoro solido e un avvenire garantito, non un mercante.”
“Aspetta un attimo, non ti sembra di correre un po’ troppo? Abbiamo solo ballato insieme.”
“Hai ragione, scusa” disse lei diventando tutta rossa, e aggiunse: “Allora ci vediamo, ciao”. E corse via, verso casa.

Durante il viaggio di ritorno il ragazzo non fece che pensare a quegli occhi, a quelle parole, i balli di quel pomeriggio, a quella figura minuta, i suoi capelli, le sue mani. Pareva che i propri piedi camminassero da soli lungo il sentiero del Lesima, non sentiva né il freddo né la fatica. Non era preoccupato, ma neanche soddisfatto, di come erano andate le vendite. Non gli importava più, pensava solo a lei, la maestra, la ragazza di Zerba, e quando fu arrivato vicino a casa i suoi pensieri si erano riassunti in una sola, forse avventata, ma solida, convinzione: “Io, un giorno, la sposerò!

Qui finisce, per noi, questa storia, che è un po’ vera e un po’ narrata sulle ali della fantasia. Non so veramente come siano andate le cose, non so come realmente si siano incontrati, come si siano conosciuti, ma mi piace immaginare che sia andata proprio così, come vi ho raccontato. Quello che so per certo è che la favola del commerciante e della maestra è una bella storia, che è durata tutta la vita. Ancora oggi, che hanno passato gli ottant’anni, quando guardano il monte Lesima, ai cui fianchi sono cresciuti e vissuti, pregano verso la croce che svetta sulla sua cima, e ringraziano il Signore per tutto ciò che gli ha regalato. Come faccio a sapere tutte queste cose? Perché il ragazzo di Ponti e la ragazza di Zerba li conosco molto bene: li vedo tutti i giorni da quando sono nato!

I Ragazzi Del Lesima – 4

A metà pomeriggio le vendite erano andate abbastanza bene: qualche metro di stoffa, cinque o sei pezze, era riuscito a vendere anche le uova ricevute in pagamento alla mattina. Aveva mangiato tardi: un po’ di polenta, un pezzo di pane e il formaggio che si era portato da casa, seduto sulle grosse radici di una pianta che sbucavano dal terreno. Anche in seguito si sedette lì, per riposarsi un po’ e guardare la gente ballare. Lui non era un granché come ballerino, si reputava goffo e impacciato, preferiva darsi al canto, soprattutto se agevolato da un buon vino rosso: «Mariolin, bella Mariolin, Mariolin, bella Mariolin, ma dove hai messo quel bambino che avevi?». Che bella che gli sembrava la vita: una canzone, un bicchiere di vino, una bella festa e un numero sufficiente di vendite. Quando sarebbe tornato a Ponti suo papà sarebbe stato sicuramente contento. A proposito del ritorno: un bel sole riscaldava la giornata e lui sperava che riuscisse a sciogliere la neve che ancora resisteva su quel tratto di sentiero per tornare a casa.

A destarlo dai suoi pensieri ci pensò un giovanotto di Zerba, che conosceva bene:
“Non balli? Che fai lì da solo? Non dirmi che non sei capace”, esordì.
“No, mi sto solo riposando, adesso ballo” rispose lui, che non voleva ammettere la sua inesperienza.
Si drizzò in piedi, e, con fare sapiente, scrutò il ballo per vedere se tra gli astanti c’era qualche dama libera da poter accompagnare. Pose gli occhi su una fanciulla: minuta, cappelli castani lunghi e un po’ mossi, un viso dolce, vestita tutta a puntino per la festa. Sembrava fosse lì apposta per farsi invitare.
“Ciao, ti va di ballare?” le disse.
“Volentieri”.
E ballarono. Il ragazzo non era, per l’appunto, molto abile, e finì per andare spesso fuori tempo e addirittura per pestare i piedi alla sua damigella, ma non se ne fece un cruccio, era rapito dagli occhi di quella ragazza e avrebbe voluto stare con lei tutto il pomeriggio ed anche la sera. Lei, a sua volta, pareva quasi non accorgersi di qualche movimento sgraziato del suo cavaliere.

Dopo qualche danza si divisero, c’era una vecchina interessata alle sue stoffe: gli affari chiamavano e lui, prontamente, rispondeva. La signora aveva preteso un forte sconto per via dell’ora tarda, sostenendo che altrimenti lui sarebbe dovuto tornare a casa con la stoffa invenduta, invece lei gli avrebbe fatto quasi un piacere a comprargliela, ad un prezzo ridotto, s’intende. Mentre dava retta alla cliente, il giovane mercante non riusciva a smettere di guardare sottecchi la giovane donna con cui aveva ballato. Si accorse che anche lei lo guardava, seppur pudicamente per non dare troppo nell’occhio. Passò di lì ancora quel suo amico che lo apostrofò:
“Guarda che ti ho visto come stai osservando quella li, fai attenzione, non farti idee strane”, ma lui prontamente rispose a tono:
“Che stai dicendo, ti riferisci a me? Io? L’ho solo fatta ballare perché era l’unica da sola in quel momento.”
 “Amico, a me non la dai a bere, la stai mangiando con gli occhi. E anche lei non smette di ronzarti attorno. Dammi ascolto, lascia stare, è la sorella di un mio amico, la conosco bene, ed è una buona a nulla.”
“Come, una buona a nulla?”
“Ma sì… figurati, dicono che non è neanche capace di andare al pascolo con le bestie. I suoi l’hanno fatta studiare, è diventata da poco maestra, si è diplomata a Bobbio.”
“Caspita, una maestra? Beh, io a scuola ero un campione con le tabelline…”
“Te lo ripeto, lascia stare. Non pensare che sia una di quelle maestrine di città, questa qui è una che ha studiato perché, secondo me, non ha voglia di lavorare. Pensaci: cosa se ne farebbe un uomo di una moglie che non sa neanche curare due galline e pensa solo ai libri? A parer mio non è capace neanche di sistemare casa”.
E, con quest’ultimo giudizio, l’amico se ne andò a fare un ulteriore ballo.

I Ragazzi Del Lesima – 3

Quando fu molto in alto, sopra Prodongo, c’era un tratto del sentiero che era tutto all’ombra ed era ancora pieno di neve. Ad un certo punto il mulo, testardo come vuole la tradizione popolare, si arrestò nel suo incedere e non volle in alcun modo proseguire. Il ragazzo ci si mise d’impegno, prima con le parole, poi con le minacce urlate, poi ancora con le carezze e infine spingendolo malamente. Lo spronava e lo spintonava, mentre la neve gli entrava nelle scarpe. Anche se era giorno di festa non aveva potuto mettersi le scarpe nuove che suo padre gli aveva comprato recentemente perché, sapendo che tipo di strada avrebbe dovuto percorrere, gli avevano proibito di indossarle, calzando viceversa quelle vecchie. Queste erano ormai rotte e sfilacciate, oltre al fatto che gli andavano strette, procurandogli notevoli spelature quando le indossava per lunghi viaggi. Suo padre gliele aveva comprate al mercato di Varzi, usando come sempre il metodo del “bacchetto”: una piccola asta di legno che aveva pressappoco la lunghezza del piede. Potete ben immaginare che con quella pratica approssimativa le calzature acquistate erano quasi sempre di misura sbagliata. Nel caso fossero state troppo grandi bastava legarle un po’ più strette, ma quando erano troppo piccole erano causa sicura di sofferenze.

Dai e dai, spingi e spingi, alla fine il mulo si decise a ripartire.
“Che faticaccia, ed io ho solo un mulo: chissà come aveva fatto Annibale a passare da queste parti con un esercito di elefanti” pensò il ragazzo, riferendosi al grande condottiero cartaginese. Egli transitò proprio da quelle parti, prima di combattere la battaglia della Trebbia, e si dice che il nome del monte Lesima derivi proprio dal latino “Lesa manus”, per indicare una ferita alla mano subita dallo stratega africano. Il giovane di Ponti non aveva mai visto un elefante, neppure disegnato, ma gli era stato detto che si trattava di animali mastodontici.
“Sarebbe bello averne uno” pensò scherzosamente “oppure possedere un’automobile, come i signori di città, e girare in lungo e in largo, adesso che ci sono le strade!”

Il sole era già alto e il nostro commerciante voleva essere a Zerba molto prima dell’ora di pranzo, in modo da avere a disposizione l’intera giornata per piazzare la sua mercanzia.
“Speriamo di vendere, in modo da non sentirmi anche stavolta i rimproveri quando torno a casa, e che perlomeno ci sia da divertirsi”.
I suoi genitori, come spesso accadeva in quegli anni, erano molto severi, e suo padre non transigeva dal lavorare sodo e pensare il meno possibile ai divertimenti, ma lui aveva quasi vent’anni: pur dando il giusto peso al suo lavoro – che in ogni modo gli piaceva più di ogni altra cosa – era pur sempre un ragazzo e come tale aveva piacere nella compagnia e nel divertimento. L’estate precedente aveva escogitato un piccolo trucco: in un paio di occasioni era partito il sabato, con la scusa di vendere anche la sera prima della festa, quando sulla piazza dei paesi si cantava, si ballava, e si ascoltavano le storie dei vecchi che, anche se erano sempre le stesse, erano comunque interessanti, perché ogni volta uscivano dei particolari inediti.  Si era recato a Barostro e a Bralello col suo fagotto e il suo fido quadrupede infecondo, per poi darsi invece al buon vino e ai canti in compagnia.

Finalmente, disceso dall’altro versante del Lesima, arrivò in vista di Zerba. Il paese era grande, se si teneva conto dei tre gruppi di case da cui era composto: Soprana, Lisamara e Stana; ma cionondimeno non era certo un paese ricco. Al ragazzo piacevano più i paesi della valle Staffora e della val Trebbia: erano più facilmente raggiungibili e c’era più movimento, il commercio “girava” meglio. I paesini della val Boreca, come quello che era la sua meta, non avevano molto passaggio, e gli abitanti erano perlopiù gente modesta. In ogni caso lui non disdegnava certo di fare affari con chicchessia, specialmente in giornate di festa come queste. Arrivò alla chiesa che la messa era già incominciata da un bel pezzo, si sentiva riecheggiare il latino del sacerdote. Legò il mulo e si infilò dentro il portone, più per vedere se c’era tanta gente e come erano ben vestiti che per un sincero pio sentimento. Una volta terminata la funzione religiosa iniziò, come abitudine, a salutare un po’ tutti, presentando la sua merce, chiedendo i bisogni della gente. Ormai era esperto, e sapeva che su queste cose comandavano quasi sempre le donne, quindi era a loro che prestava maggiormente la sua attenzione. Continuando a proporre i suoi prodotti, seguì il flusso della folla che si dirigeva verso la piazza, dove di lì a poco sarebbero iniziati canti, balli e pappatorie. Per la carità, non immaginatevi pranzi luculliani e viziose libagioni: in confronto ad oggi erano situazioni modeste, ma permeate da uno spirito di appartenenza, di gioiosità e di allegria indescrivibili, che facevano per un giorno dimenticare quanto dura potesse essere la vita.

I Ragazzi Del Lesima – 2

La sua prima tappa, Corbesassi, non era affatto distante. Era un paese proprio sopra al suo, dove svettava il campanile più alto di tutta la vallata. Era come se Ponti fosse quasi una succursale di Corbesassi. Il ragazzo, molto spesso, quando gli si chiedeva da dove venisse rispondeva: “Sono di Corbesassi” e solo dopo specificava “di Ponti, per la precisione”. Le scuole erano a Corbesassi, così come le poche botteghe, il sarto e l’osteria. A dire la verità anche al suo paesello c’era l’osteria, proprio a casa del ragazzo. Niente di paragonabile ai locali di oggi: a quei tempi l’osteria era una casa privata, dove chi voleva entrava a passare qualche mezz’ora bevendo vino, raccontando storie e magari giocare alle carte. Il padre del ragazzo aveva sempre avuto l’animo del commerciante: pur vivendo in un paese molto povero si era continuamente inventato dei modi per guadagnare un poco di denaro, in un’economia dove, al contrario, la normalità era vivere solo di quello che dava la terra e il bestiame. “Ponti è l’ultimo paese che ha creato il Signore, finisce anche la strada”, dicevano quelli che schernivano il ragazzo e i suoi compaesani. E pensare che fino a pochi anni prima non c’era neppure, quella strada. L’avevano costruita proprio di recente, seguendo un tracciato che riducesse al minimo le perdite di terra coltivabile, infischiandosene quindi di ottenere un percorso agevole. Tutti gli uomini del paese, coordinati proprio da suo padre, che si vantava di esser stato “capofrazione”, avevano dato una mano per scavare, portar via la terra, sistemare. In poco tempo anche Ponti era finalmente collegata al resto dell’Italia: si poteva raggiungere Corbesassi e da lì proseguire, sempre con una strada di recentissima costruzione, il Passo del Brallo, la frazione del comune di Pregola che maggiormente stava beneficiando del progresso dato dalle nuove vie di comunicazione.

Il ragazzo camminava in salita e pensava a quanto fosse beffardo il destino che gli aveva dato un animale da soma, ma gli aveva negato la possibilità di cavalcarlo e farsi portare, visto che era già carico di merce.
“Che me ne faccio di un mulo se poi mi tocca andare a piedi?” diceva tra sé e sé, “hanno ragione quelli che mi prendono in giro? Ma un giorno dimostrerò che anche uno di Ponti, l’ultimo dei paesi, riuscirà a combinare qualcosa di grande! Non so ancora cosa, ma prima o poi…”
E così, immerso nei suoi pensieri, arrivò a destinazione.

Puntò deciso verso una casa al centro del paese. Quel giorno non avrebbe fatto il solito giro, aveva un po’ di premura e sarebbe andato subito al sodo. C’era una famiglia che aveva richiesto una stoffa per far realizzare un abito al figlio, che si sarebbe sposato a breve.
“Buondì, ecco il tessuto che mi avete chiesto” disse quando una donna piccolina, ma nerboruta, gli venne ad aprire l’uscio.
Era la madre del futuro sposo, che fece accomodare il giovane nella spartana stanza che fungeva da tinello ed esaminò con cura la tela, mentre dall’altra stanza sopraggiunsero due uomini: il marito della donna e il figlio, che avrebbe indossato l’abito. La signora non era molto convinta, o forse voleva solo trattare sul prezzo, e si disse intenzionata a lasciar perdere, ma l’abilità commerciale del ragazzo, coi suoi modi sempre gentili, ma doverosamente un po’ insistenti, la convinsero dell’acquisto. Lasciato all’angelo del focolare di casa il compito della trattativa, toccava ora a chi portava i pantaloni perfezionare l’acquisto. Sto parlando del marito, ovviamente, che era il padrone di casa. Dell’opinione del figlio, a quell’epoca, interessava a pochi e, in ogni caso, sarebbe stata ininfluente. L’uomo propose, com’era prassi abituale, di acquistare a credito, ma il venditore di Ponti gli fece notare che il suo conto stava diventando un po’ troppo consistente e avrebbe preferito un pagamento immediato, considerando anche che, la loro, era stata un’espressa richiesta. Il padre dello sposo tergiversò, iniziò a parlare di tutte le spese a cui stava andando incontro a causa di quel matrimonio, si lamentò del fatto che con l’avvento della Repubblica fosse aumentato tutto, e alla fine propose di pagare una parte del debito pregresso, mettendo in conto quello che aveva appena comperato. Il ragazzo accettò pensando: “piuttosto che niente, è meglio piuttosto”, come gli avevano insegnato gli anziani del suo paese. Velocemente passò in una casa vicina, dove abitava la signora Maria, detta da tutti Mariuccia, per chiedere se, come promesso, gli poteva saldare un vecchio conto, aperto dal marito morto qualche mese prima. La povera vedova disse che non aveva molto, che stava passando un brutto periodo e che attualmente gli poteva dare solo un cavagno di uova. Con la promessa che al più presto le avrebbe restituito il paniere, il giovane sistemò le uova sul mulo, nella speranza di non romperle durante il tragitto che ancora lo attendeva.
Senza perdersi in altre faccende, voltò il quadrupede in direzione di Zerba, un paese che stava al di là del monte Lesima, dove quel giorno ci sarebbe stata una piccola festa, e quindi l’occasione buona per cercar di vendere qualcosa. La giornata non era iniziata male, aveva già recuperato in parte dei vecchi crediti, circostanza che non sempre facilmente si presentava. Col sorriso sulle labbra si incamminò.

I Ragazzi Del Lesima – 1

Vi voglio raccontare una storia ambientata sui versanti del Lesima, il monte più alto dell’Appennino Pavese, punto di incontro tra i territori di ben quattro regioni: la Lombardia, l’Emilia Romagna, il Piemonte e poco lontano la Liguria. È il racconto di quello che successe in una domenica di primavera di tanto tempo fa, e inizia a Ponti, piccolo paese della valle dell’Avagnone.

Quel giorno faceva proprio freddo. Eravamo quasi ad aprile del millenovecentoquarantanove, ma era nevicato da poco: quell’anno la bella stagione non voleva proprio farsi vedere. Il cielo era terso, ma l’aria pungente e occorreva ancora vestirsi con abiti pesanti.
Il ragazzo si apprestava a caricare il mulo di tutte le sue cose: i due rotoli di stoffa a quadri, qualche metro di lino, gli scampoli di fustagno arrivati addirittura da Milano e, infine, delle pezze di lana. Non erano certo dei suoi effetti personali, ma la merce che avrebbe cercato di vendere quella giornata. Eh sì, il ragazzo era un venditore. Al giorno d’oggi si aggiungerebbe “porta a porta”, ma a quei tempi era la normalità: nei paesi dell’Appennino non esistevano botteghe, se non qualche raro rivenditore di generi alimentari.

Mentre il ragazzo finiva di sistemare la merce, dal retro della casa, dove c’era una piccola stalla, uscì il padre e gli fece mille raccomandazioni:
“Stai attento, se ti danno dei soldi nascondili nella maglia, vai dalla Mariuccia che ci deve pagare da tanto tempo, non perderti in chiacchiere inutili!” e così via.
Che noioso!”, pensò il ragazzo, ma non rispose nulla al genitore. Non aveva voglia di guastarsi il morale e poi non poteva certo replicare a tono al proprio padre, meglio stare zitto e far finta di nulla, oggi era una giornata speciale e voleva rimanere a cuore lieto.
“Papà, ho finito! Tra poco parto. Non vi preoccupate, il tempo è ottimo e sicuramente ci saranno delle vendite. A stasera!”.
Quel «vi», badate bene, non è dovuto al plurale, ma al fatto che a quei tempi era abituale dare del «voi» al proprio genitore. Al «tu» ci si è arrivati nella generazione successiva.

Il ragazzo rientrò in casa per prendere il cappello e trovò la madre in cucina che, sentendolo rientrare, gli portò un fagottino.
“Ti ho messo un po’ di pane e del formaggio” disse la donna.
“Mamma, non datevi pensiero, avrei mangiato per strada” rispose lui, ma la madre non volle sentir ragioni.
“Sei come tuo padre, ti perdi negli affari e non sai neanche più se è ora di pranzo. Fidati di me, a pancia piena si ragiona meglio. Hai messo il maglione pesante? Fa ancora freddo.”
“Si mamma, grazie. Arrivederci”.
Prese il fagotto e uscì prima ancora che lei potesse nuovamente replicare.

(segue domani…)


Una

Che schifo !

Purtroppo non mi è venuta altra espressione, pensando alla politica italiana. Siamo governati da una banda di ladri, disonesti, truffatori. Ogni giorno uno scandalo, che ormai non è più neanche tale, perchè il cittadino-suddito è assuefatto, non ci fa più caso. Ogni giorno si scoprono politici che rubano, che violano le leggi, che intascano, che trafficano, che arraffano. Si pagano le vacanze, le case, le auto. E poi ci vengono a insegnare la morale. Ci vengono a dire in televisione che chi magari non è in regola con i versamenti INPS è un "parassita" della società. Eh già perchè loro invece cosa sono? Il grande scrittore George Orwell, oltre al mitico libro 1984 in cui preconizzava l’avvento del Grande Fratello, scrisse uno dei miei libri preferiti in assoluto: "La fattoria degli animali". Se non l’avete mai fatto leggetelo. E’ malinconico, purtroppo, come è malinconica l’attuale classe politica. Che viene metaforizzata da Orwell come una banda di maiali.

Questi signori ci prendono per i fondelli. Il presidente della regione Lazio, Polverini, ci viene a dire che lei non sapeva niente, che lei non è coinvolta, che non ha mai rubato un euro. E chi se ne frega: il pesce puzza dalla testa e il presidente è responsabile moralmente di quello che accade. Ah già, ho detto "moralmente", dimenticando che questi personaggi non conoscano il significato della parola "morale".

Spero solo per voi, poveri rutelli, meschini polverini (li scrivo in caratteri minuscoli perchè sto a indicare un’intera generazione di polici, non solo a quelli citati), che la gente si limiti a non votare, o ad annullare le schede, o al limite a fare un voto di protesta. Perchè se li fate ulteriormente incazzare, rubando soldi mentre gli imprenditori chiudono e gli operai sono senza lavoro, quelli vengono lì e vi fanno un mazzo così. E nessuno potrebbe biasimarli. Speriamo di no, sarebbe un ulteriore imbarbarimento della società, ma da parte dei signori seduti sugli scranni del potere non arriva nessun segnale di umiltà, anzi!

 

All’arrembaggio del castello!

Dal 14 al 23 settembre 2012 anche quest’anno il Castello Visconteo aprirà le porte per accogliere i cittadini. Per l’occasione sono previste alcune manifestazioni, mostre ed eventi. Per esempio sabato c’è stata la cena medioevale e i fuochi d’artificio (di cui ben poca gente era a conoscenza, a dir il vero). Domenica 16 c’è stata una bella festa con figuranti in costume, riproduzioni di armi antiche, giocolieri, sbandieratori, ecc. Domenica prossima ci sarà ancora il mercatino in Via Cavour e in Viale Marx.

trovate il programma completo cliccando qui.

Nel castello c’è anche la bella mostra dedicata alle opere di Paolo Cornaro. Chi era costui? Un architetto che nel XIX secolo disegnò e progettò (così come suo padre) molti edifici, piazze e vie di Voghera, come ad esempio la ex caserma Vittorio Emanuele, palazzo Gallini, la facciata della chiesa di San Sebastiano, addirittura il cimitero! E poi il restauro di palazzo Dattili, i giardini della stazione ferroviaria, il Quartiere di San Rocco (l’edificio che adesso ospita i giudici di pace), l’Agraria (cioè l’Istituto Tecnico Agragio Carlo Gallini), e così via. Ha svolto lavori ovviamente anche fuori Voghera, ma è la città iriense quella che tuttora deve la sua conformazione, nei palazzi più importanti e negli scorci più suggestivi, al lavoro di Cornaro.


La catapulta pronta per colpire il castello !

Malaspina di Varzi

Ho parlato spesso della famiglia nobile dei Malaspina:

Adesso volevo tornare sull’argomento perchè il mese scorso Maria Rosa Giacobone di Varzi mi ha gentilmente mandato una scansione di un lasciapassare che ha trovato in un’antica residenza malaspiniana di Varzi, firmato da Odoardo farnese, duca di Parma e Piacenza.


(clicca x ingrandire)

 

Sfratto Express

Stavo leggendo sul Manifesto (ebbene si, ripeto, stavo leggendo il Manifesto, per la precisione questo articolo: www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/8357 ) che il governo Rajoy sta attuando una serie di iniziative per fronteggiare la crisi in corso. Secondo il giornale di sinistra sono tutte proposte che buttano benzina sul fuoco e che quindi incendieranno le piazze. Sarà. Per esempio toglie il prolungamento dei sussidi di disoccupazione. Uè ragazzi, siamo in crisi, lo stato non può continuare a tempo indeterminato a dare soldi a chi non ha lavoro. Io mi rendo conto che il periodo è difficile, ma se lo stato spende e spande diventa ancora più difficile. Certo, poi non andrebbero sprecati (per esempio dandoli ai politici). Poi aumenta l‘IVA al 21%, come ha fatto il nostro Monti. E poi ha inventato lo "sfratto rapido". In pratica, per chi non paga anche solo un mese di affitto può scattare lo sfratto e l’inquilino avrà solo 10 giorni di tempo per regolarizzare la sua posizione. Magari fosse così anche qui: ci sarebbero tanti furbacchioni a cui brucerebbe un po’ la sedia sotto al sedere a sapere che nel giro di pochi giorni dovrebbero lasciare l’appartamento. Vedi che allora si metterebbero in riga. Oggi tutti sanno che ci vuole circa un anno per rendere esecutivo uno sfratto e quindi c’è chi se ne approfitta e ci marcia sopra. Questa dovremmo rubarla agli spagnoli !

Certo, la casa è un diritto per tutto, quindi anche per il proprietario della casa stessa che vorrebbe godersi il proprio appartamento, che magari invece è abitato da inquilini non paganti. A mio avviso in alcuni casi sono pretese assurde. Un po’ come la famosa "spesa proletaria": vado al supermercato e non pago per dimostrare che c’è gente che non può peremettersi di fare la spesa e tirare a fine mese. Proteste magari giustissime, ma perchè prendersela col supermercato? No, non ce la faccio, non riesco a capire questi ragionamenti barbari e mai li capirò. Punto. 

Sagra della Patata

A Brallo, domenica scorsa 9 settembre, è stata celebrata la 39ma Sagra della Patata. Questo simpatico tubero è molto amato nelle nostre zone e la sua festa fa accorrere numerose persone. Ovviamente i doppi sensi si sprecano, ma come si dice: "parlane bene, parlane male, ma l’importante è che se ne parli". Vi aspettiamo quindi nel 2013, la seconda domenica di settembre, per festeggiare la patata più grossa, quella più particolare, ecc. Con bancarelle, musica, vino e soprattutto patate: fritte, al forno, gnocchi, purè….

Falsi ciechi

Ogni giorno scoprono persone che risulterebbero cieche e invece leggono libri, fanno la spesa al supermercato, guidano l’auto, vanno a pesca, ecc.  Però riscuotono delle sovvenzioni… non so come si chiamino: pensioni, accompagnamenti…insomma percepiscono soldi pubblici!

Mi chiedo una cosa: non credo che queste loro presunte patologie siano certificate da auto-dichiarazioni; mi aspetto che ci siano dei referti medici. E un referto medico dove c’è scritto che il paziente è cieco e invece scopro che gioca ai videopoker e quindi ci vede benissimo, è palesemente falso. Non può essersi sbagliato il medico, e neppure può essere stato tratto in inganno dal presunto nonvedente: è oggettivamente in malafede. E quindi, dico io, oltre a punire questi truffatori non sarebbe il caso di punire anche questi medici disonesti?

Gentiluomini di una volta

In questi giorni, su un canale che non ricordo, tipo Rai Storia o cose simili, ho visto un servizio sulle prime tribune elettorali, quelle degli anni ’60. C’erano ovviamente tutti i imaggiori politici di quei tempi: democristiani, comunisti, socialisti, liberali, missini, ecc. Sapete cosa mi ha colpito? La classe, l’eleganza. I politici affermavano le proprie idee, contestavano quelle degli avversari, proponevano cambiamenti, soluzioni, si indignavano con forza, ma tutto questo senza mai perdere le staffe e senza mai parlare sopra le righe. Non c’era nessuno che insultava, che dava del fascista all’altro, che diceva di averlo duro, che faceva le corna, che raccontava barzellette. Gente magari meno spettacolare, meno divertente, troppo seriosa, ma sicuramente più seria. E credibile. Gente che proponeva le proprie idee parlando, cercando di convincere gli spettatori / elettori con la semplice forza dei propri convincimenti, senza colpi di teatro. Quanto vorrei avere ancora dei politici del genere, per sapere che quelli che andrò a votare possano almeno sembrare persone serie. E quelli che non voterei fossero comunque altrettanto seri, seppur portatori di idee diverse.

Sono ancora vivo

Rieccomi, come avrete forse notato (ma forse no) in questo periodo ho scritto pochissimo sul blog. Lo ammetto: stanno finendo le idee. Come ho sempre fatto, anche adesso ribadisco che sul blog scrivo quello che mi viene in mente, non ho "programmi" o argomenti ecc. Quindi a volte scrivo di quello che ho fatto, di quello che ho visto, di ciò che mi ha colpito, indignato, sorpreso, ecc. Oppure di cose che mi piacciono, o di mie opinioni, o di film, libri, televisione, sport, fumetti… Insomma: di ciò che mi capita in testa in quel momento. D’estate ho sempre poco tempo e voglia da dedicare al blog, perchè tutte quelle cose che non faccio durante l’anno le metto nella lista delle cose da fare d’estate, e poi va a finire che è il periodo in cui ho meno tempo dell’anno.  In agosto poi, è l’unico periodo in cui vivo stabilmente a Brallo e quindi me la prendo comoda: nelle pause di lavoro gironzolo un po’, non mi va di mettermi al computer a scrivere articoli per il blog! E poi  c’è un altro fattore: ormai sono 7 anni che scrivo, ho quasi finito gli argomenti ! Comunque non vi preoccupate, ho intenzione di andare ancora avanti ad annoiarvi con le mie cazzate i miei interessanti articoli, anche perchè settembre è il mese in cui, dopo gennaio, ci sono più buoni propositi: iniziano le diete, le scuole, si fanno i fieretti, i cambi di armadio, ecc…

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