A metà pomeriggio le vendite erano andate abbastanza bene: qualche metro di stoffa, cinque o sei pezze, era riuscito a vendere anche le uova ricevute in pagamento alla mattina. Aveva mangiato tardi: un po’ di polenta, un pezzo di pane e il formaggio che si era portato da casa, seduto sulle grosse radici di una pianta che sbucavano dal terreno. Anche in seguito si sedette lì, per riposarsi un po’ e guardare la gente ballare. Lui non era un granché come ballerino, si reputava goffo e impacciato, preferiva darsi al canto, soprattutto se agevolato da un buon vino rosso: «Mariolin, bella Mariolin, Mariolin, bella Mariolin, ma dove hai messo quel bambino che avevi?». Che bella che gli sembrava la vita: una canzone, un bicchiere di vino, una bella festa e un numero sufficiente di vendite. Quando sarebbe tornato a Ponti suo papà sarebbe stato sicuramente contento. A proposito del ritorno: un bel sole riscaldava la giornata e lui sperava che riuscisse a sciogliere la neve che ancora resisteva su quel tratto di sentiero per tornare a casa.

A destarlo dai suoi pensieri ci pensò un giovanotto di Zerba, che conosceva bene:
“Non balli? Che fai lì da solo? Non dirmi che non sei capace”, esordì.
“No, mi sto solo riposando, adesso ballo” rispose lui, che non voleva ammettere la sua inesperienza.
Si drizzò in piedi, e, con fare sapiente, scrutò il ballo per vedere se tra gli astanti c’era qualche dama libera da poter accompagnare. Pose gli occhi su una fanciulla: minuta, cappelli castani lunghi e un po’ mossi, un viso dolce, vestita tutta a puntino per la festa. Sembrava fosse lì apposta per farsi invitare.
“Ciao, ti va di ballare?” le disse.
“Volentieri”.
E ballarono. Il ragazzo non era, per l’appunto, molto abile, e finì per andare spesso fuori tempo e addirittura per pestare i piedi alla sua damigella, ma non se ne fece un cruccio, era rapito dagli occhi di quella ragazza e avrebbe voluto stare con lei tutto il pomeriggio ed anche la sera. Lei, a sua volta, pareva quasi non accorgersi di qualche movimento sgraziato del suo cavaliere.

Dopo qualche danza si divisero, c’era una vecchina interessata alle sue stoffe: gli affari chiamavano e lui, prontamente, rispondeva. La signora aveva preteso un forte sconto per via dell’ora tarda, sostenendo che altrimenti lui sarebbe dovuto tornare a casa con la stoffa invenduta, invece lei gli avrebbe fatto quasi un piacere a comprargliela, ad un prezzo ridotto, s’intende. Mentre dava retta alla cliente, il giovane mercante non riusciva a smettere di guardare sottecchi la giovane donna con cui aveva ballato. Si accorse che anche lei lo guardava, seppur pudicamente per non dare troppo nell’occhio. Passò di lì ancora quel suo amico che lo apostrofò:
“Guarda che ti ho visto come stai osservando quella li, fai attenzione, non farti idee strane”, ma lui prontamente rispose a tono:
“Che stai dicendo, ti riferisci a me? Io? L’ho solo fatta ballare perché era l’unica da sola in quel momento.”
 “Amico, a me non la dai a bere, la stai mangiando con gli occhi. E anche lei non smette di ronzarti attorno. Dammi ascolto, lascia stare, è la sorella di un mio amico, la conosco bene, ed è una buona a nulla.”
“Come, una buona a nulla?”
“Ma sì… figurati, dicono che non è neanche capace di andare al pascolo con le bestie. I suoi l’hanno fatta studiare, è diventata da poco maestra, si è diplomata a Bobbio.”
“Caspita, una maestra? Beh, io a scuola ero un campione con le tabelline…”
“Te lo ripeto, lascia stare. Non pensare che sia una di quelle maestrine di città, questa qui è una che ha studiato perché, secondo me, non ha voglia di lavorare. Pensaci: cosa se ne farebbe un uomo di una moglie che non sa neanche curare due galline e pensa solo ai libri? A parer mio non è capace neanche di sistemare casa”.
E, con quest’ultimo giudizio, l’amico se ne andò a fare un ulteriore ballo.

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