(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Month: May 2010

Ho fatto un sogno

1992

Nel 1992 avevo 18 anni.

Da tanto tempo prometto di parlarvi di quel mitico anno ed è venuto il momento di farlo. La mia vita ha avuto una svolta importante: prima del 92 e dopo il 92. Ma non per il passaggio alla maggior età, quello è frutto del caso, anche se non troppo: sono gli anni in cui cambia la consapevolezza di sé e del mondo, ci si sente grandi e si sogna.
Io ho fatto tutto questo, nel millenovecentonovantadue.

In quell’anno mi sono reso conto di non esser più un bambino, un ragazzino. Certo: non ero un adulto fatto e finito, non lo sono ancora adesso, ma stavo maturando una nuova coscienza di me stesso e del mondo. E’ stato l’anno in cui ho capito che la vita va vissuta, che bisogna sempre provarci e che ogni sogno lasciato nel cassetto può essere perso, mentre ogni sogno tirato fuori dal cassetto potrebbe non realizzarsi, ma perché non provarci? Negli anni poi ho capito che avevo ragione: i sogni esistono, fluttuano nello spazio… a volte riesci a raccoglierli, altre volte no, ma loro rimangono sempre lì, pronti per essere raccolti.

"Tosti da Dio convinti che il futuro era nostro" cantava Max Pezzali e io la pensavo come lui. Ho scoperto l’amicizia, quella vera, quella con la A maiuscola. Sognavo l’amore, quello vero. Sognavo una storia importante, vera, sincera, profonda. Sognavo un futuro. Pieno di cose, chissà quali, ma tutte belle. Sognavo una vita bella. Magari emozionante, magari tranquilla, ma bella.
Quanti amici quell’anno. Tutto ha inizio in primavera, a scuola la consapevolezza di me aumentava. Poi la gita in Costiera Amalfitana, eravamo pochi ma ci siamo divertiti. Poi le vacanze di Pasqua. E poi l’estate. La magina unica indimentaicabile estate 92. Il Martini Rosso, roba da personaggi VIP per noi semiadolescenti sgraziati. Il Kursaal, il Trebbia, mille avventure, mille ricordi, mille giornate, mille serate. Disegni, canzoni, balli, grigliate, brindisi, gite…

Come è strana la vita, è da tanto tempo che immagino di scrivere questo post e adesso che lo faccio non so quasi più cosa scrivere… perché so che qualsiasi cosa suona banale, ma la realtà è che il 1992 per me rappresenta la Magia.
Magia, sogni, amici, musica. Si, penso che queste quattro parole racchiudono quell’anno. Sono cresciuto moltissimo quell’anno, il Fabio del 91 è completamente diverso da quello del 93. Sempre "pirla" uguale, ma profondamente diverso dentro.

Nel 1992 avevo 18 anni. Ce ne ho messi altri 18, ma ce l’ho fatta ad essere quello che sognavo di essere.
E questo non è un punto di arrivo, ma un inizio. Ora che sono, finalmente, quel Fabio del 1992, ho mille altri sogni da condividere, mille magie da realizzare, mille amici con cui stare, mille canzoni da ascoltare. E un amore da vivere. Una vita da sviluppare, creare, inventare. La mia vita ha avuto un’altra svolta, nel 2008. Ma questa è un’altra storia, anzi una favola. Ed è una favola che non avrà mai fine…

è1vita k t aspetto

Ancora un libro di Fabio Volo. E anche stavolta ho sottolineato alcuni passi che mi sono piaciuti. Eccoli (in corsivo i miei commenti):

Pare che i notai guadagnino molto perché hanno dovuto studiare parecchio. Sembra che quel parecchio sia a spese nostre. Forse pensano che, quando loro stavano studiando, noi eravamo in giro a non fare un cazzo.
(E’ una cosa pensata da molti. Magari a pensar male ci s’indovina…)

Lo aveva già fatto altre volte. Mi mandava dei messaggi carini e pieni d’affetto, ma di persona non riusciva a dirmi quelle cose. Io mi commuovevo. Io lo amavo. Quando una donna ti dice "ti voglio bene" o fa un gesto pieno di tenerezza è una figata, ma quando a fartelo è un tuo amico ti squagli di più. Quelle tenerezze tra amici, lontane da stupide battute sull’omosessualità, sono dirompenti. Intendo dire quando l’amico che te lo dice è in grado di intendere e di volere. Quando è lucido. Non parlo di quando è ubriaco e tra una vomitata e un passo storto comincia a dirti che ti vuole bene: "Ti voio begne, tu scei il mio miore amico… bluaaaaaaahhhhh!". Quelle volte non conta.
(A me è capitato e, credetemi, è così: dirompente. E mi è capitato anche l’amico ubriaco che sbiascica…)

Quelli con cui […] avevo giocato a rialzo, nascondino, strega comanda color, le belle statuine, mosca cieca, i quattro cantoni, bandierina, un due tre stella. Quelli con cui avevo imparato la filastrocca per fare la conta: "Pum pimpiripette nusa pimpiripette pam".
(Siiiii, i giochi da bambinooooooo)

Forse la libertà poi non è nemmeno poter fare ciò che si vuole senza limiti, ma piuttosto saperseli dare. Non essere schiavi delle passioni, dei desideri. Essere padroni di se stessi.
(Fosse facile)

Dovevo sempre essere in movimento, sempre impegnato, sempre pieno di cose. Era una vita che scappavo, che correvo, che fuggivo dalle mie paure, da una continua malinconia, da una specie di depressione. Dal silenzio. Dalla solitudine. Avevo sempre bisogno di fare qualcosa. Avevo sempre bisogno di essere coinvolto in un progetto, occupato, impegnato, per stare lontano da me.
(Anche a me è capitato di vivere quei momenti, in cui per sentirti perfettamente vivo, devi essere sempre in movimento. A parte che è una cosa che ho dentro: io devo esser sempre in movimento, altrimenti… mi annoio…)

In quei momenti di solitudine avrei risposto anche a quelli che mi avessero chiamato con "anonimo" o "numero privato". Quelli che di solito fissi il telefono perché sei curioso di sapere chi è, ma hai anche paura che sia un rompiballe e non sai che fare.
Una trappola mostruosa. Una volta non sapevi mai chi ti stava chiamando se non rispondevi. Adesso invece, abituato a vederlo prima, gli anonimi ti spiazzano. A parte quando ti chiama qualcuno e tu non rispondi perché non ti va di sentirlo; ma lui, dopo un secondo, richiama con anonimo… allora lo sai che non mi va di sentirti.
(Mitico… pura verità)

Crescendo, invece, mi sono convinto sempre di più, e non so su quali basi, che nella vita ci sia un solo vero grande amore. Che esista un principe azzurro per le donne e una principessa per gli uomini. L’anima gemella. E che gli altri alla fine siano soltanto comparse. Ero tutto contento all’dea che per una donna al mondo io ero il principe azzurro. Magari un coglione per il resto dell’universo femminile, magari insignificante, brutto, poco affascinante, magari con me Cenerentola sarebbe andata a casa alle dieci, dieci e un quarto al massimo, Biancaneve dopo il mio bacio avrebbe fatto finta di morire di nuovo, ma per una… fatevi largo, io ero il principe azzurro. Il più bello, il più affascinante, il più interessante. Non è meraviglioso sapere che per una persona al mondo tu sei "il più"? Non è incredibile tutto questo? Non dà un senso di responsabilità? A me questa cosa è sempre piaciuta. Anche se, in calzamaglia azzurra, non sto da dio.
(E’ una cosa talmente importante, coinvolgente, entusiasmante che… ti lascia senza fiato. E ti carica di responsabilità, ma contemporaneamente è così fantasticamente bella….)

In realtà, c’è stato un periodo intorno ai vent’anni in cui, anche se non riuscivo a cambiare nemmeno una felpa o un paio di scarpe, avrei voluto cambiare il mondo. Ero posseduto da un senso di giustizia che mi devastava l’anima. Sentivo che volevo essere diverso da quelli lì. Quelli lì che non saprei nemmeno spiegarvi chi fossero. Sentivo che non volevo scendere a patti con il mondo. Con la sua imperfezione. Come se io non ne facessi parte.
Avevo preso una frase del Cyrano come punto di riferimento: "No al patteggiamento, libero nel pensiero e nel comportamento".
(Io a vent’anni ero così. E forse lo sono ancora)

Una sera era venuto con noi il mio amico Sergio a un concerto in un centro sociale. Lui vestiva sempre, e lo fa tuttora, in giacca e cravatta. E anche quella sera si era presentato così. è stato lì che ho scoperto che non era vero che a quelli del centro sociale e a Flavia non interessasse il modo in cui una persona si veste. Lo hanno guardato come i fighetti in un locale esclusivo guardano quelli che non fanno entrare. Quelli che restano fuori. Quindi tutto ciò che loro criticavano, in realtà lo facevano a loro volta. la differenza era solo una questione di gusto. Non era vero che ci fosse tutta quella libertà. Anzi, c’erano dei codici diversi, ma altrettanto rigidi come nei posti trendy. E chi non rispondeva a quei codici era tagliato fuori.
(Capitava, uguale uguale, ai tempi in qui frequentavo il Rolling Stone. Mi ricordo una tipa, quando è entrato un tizio un pochino fighetto, lei fa: "Noooooo, è entrato in camiciaaaaa")

Non avendo lui fatto l’università, probabilmente ci teneva molto che la facessi io. La mia laurea era un traguardo più suo che mio. Era elencata nelle sue soddisfazioni. Un figlio laureato era nella sua lista. A volte sembra che la vita di certi figli sia un prolungamento di quella dei genitori. Il figlio perfetto ha queste scadenze: maturità, laurea, lavoro, matrimonio, figli.
(Storia di molti…)

Ho sempre pensato che certi sentimenti, certe parole, certi gesti, andassero conservati per una sola persona.
[…] Il mio sentimento è un campo innevato mai calpestato prima. L’ho protetto per anni.
[…] Con te ho capito che, quel campo, lo voglio attraversare. Se tu lo vorrai. ti prenderò per mano e ti porterò dall’altra parte.
(Dedicata alla mia morosa) (Non vi piace la parola "morosa"? Beh usate quella che preferite: tipa, fidanzata, ragazza, ecc.)

Tutti Tituli !

Grazie Mou, grazie Presidente, grazie Capitano, grazie Diego, grazie Ragazzi.
Per continuare a dimostrare che noi NON MOLLIAMO MAI e che i sogni esistono.

Zang Tumb Tumb

ogni  5  secondi   cannoni  da    assedio  sventrare 

spazio  con  un  accordo  tam-tuuumb

ammutinamento  di   500    echi   per   azzannarlo

sminuzzarlo   sparpagliarlo   all´infinito

     nel  centro  di  quei  tam-tuuumb

spiaccicati  (ampiezza  50  chilometri  quadrati)

balzare    scoppi    tagli      pugni      batterie    tiro

rapido    violenza     ferocia     regolarita    questo

basso   grave    scandere    gli    strani   folli  agita-

tissimi     acuti    della     battaglia     furia    affanno

                    orecchie                  occhi

                 narici                       aperti           attenti

forza   che    gioia    vedere    udire   fiutare   tutto

tutto    taratatatata    delle   mitragliatrici   strillare

a   perdifiato   sotto   morsi    shiafffffi    traak-traak

frustate        pic-pac-pum-tumb      bizzzzarrie

salti      altezza       200     m.     della        fucileria  

Giù   giù   in    fondo   all’orchestra    stagni

            diguazzare                        buoi       buffali

pungoli    carri     pluff    plaff                     impen

narsi   di   cavalli  flic   flac   zing  zing sciaaack

ilari     nitriti     iiiiiii…   scalpiccii     tintinnii          3

battaglioni   bulgari   in   marcia   croooc-craaac

[ LENTO   DUE   TEMPI ]        Sciumi         Maritza

o    Karvavena    croooc-craaac   grida    delgli

ufficiali    sbataccccchiare  come   piatttti  d’otttttone

pan   di   qua    paack   di    là    cing   buuum

cing    ciak    [ PRESTO ]     ciaciaciaciaciaak

su    giù    là     là    intorno    in    alto   attenzione 

sulla    testa     ciaack    bello                Vampe

                                 vampe

 

vampe                                       vampe

 

                 vampe                                         vampe

 

                        vampe          ribalta   dei   forti   die-

                           

                                           vampe

                    

                          vampe

tro  quel   fumo   Sciukri    Pascià    comunica   te-

lefonicamente   con   27   forti   in   turco   in    te-

desco     allò     Ibrahim    Rudolf    allò    allò

attori    ruoli                           echi       suggeritori

                                      scenari      di    fumo     foreste

applausi   odore   di   fieno   fango   sterco   non

sento   più   i   miei   piedi   gelati   odore   di   sal-

nitro   odore   di   marcio                      Timmmpani

flauti    clarini    dovunque    basso    alto    uccelli

cinguettare  beatitudine   ombrie   cip-cip-cip   brezza

verde  mandre   don-dan-don-din-bèèè  tam-tumb-

tumb tumb-tumb-tumb-tumb-tumb-

tumb        Orchestra                        pazzi   ba-

stonare   professori    d’orchestra   questi   bastona-

tissimi   suooooonare  suooooonare   Graaaaandi

fragori  non  cancellare   precisare    ritttttagliandoli

rumori     più     piccoli    minutisssssssimi   rottami

di   echi   nel   teatro   ampiezza   300    chilometri

  quadri                                         Fiumi      Maritza

Tungia    sdraiati                              Monti    Ròdopi 

ritti                               alture    palchi     logione

2000       shrapnels        sbracciarsi     esplodere  

fazzoletti    bianchissimi    pieni    d’oro    Tumb-

tumb                     2000     granate  protese

strappare       con      schianti        capigliature

tenebre            zang-tumb-zang-tuuum

tuuumb    orchesta    dei   rumori    di   guerra

gonfiarsi    sotto   una   nota    di        silenzio

                    tenuta      nell’alto     cielo                   pal-

lone   sferico   dorato   sorvegliare     tiri     parco

aeroatatico     Kadi-Keuy

Grandi superfici specializzate

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Ventunesima puntata

Lo spazio di mercato per la distribuzione di abbigliamento su punti vendita di grande dimensione è oggi sempre più occupato non tanto dal grande magazzino, quanto dalla Grande Superficie Specializzata (GSS). Si tratta di un formato di punto vendita localizzato in aree periferiche, con una dimensione che supera i 400 mq, un assortimento ampio e profondo di una singola categoria merceologica, un servizio di assistenza personale qualificato e prezzi aggressivi.

Le GSS rompono una regola consolidata nel commercio al dettaglio che vedeva i piccoli punti vendita orientarsi alla specializzazione e al contrario le grandi superfici a libero servizio puntare sulla despecializzazione e sulla riduzione dei servizi offerti. Le Grandi Superfici Specializzate nell’abbigliamento, ampliando in parallelo la superficie, la gamma e i servizi, stanno registrando una crescita notevole in tutti i Paesi. L’offerta delle Grandi Superfici Specializzate nell’abbigliamento è caratterizzata sia da un vantaggioso rapporto prezzo/qualità sia da un elevato livello di servizio pre e post-vendita. La maggior parte di esse infatti adotta una strategia di sviluppo internazionale, che consente di ottenere economie di scala negli acquisti, nel marketing, nella finanza, ecc. Si adottano inoltre tecnologie che consentono di ridurre il costo dei servizi offerti. L’impiego di nuove tecnologie permette di industrializzare alcuni servizi e di ridurre i costi di erogazione degli stessi. L’aggressività di prezzo è massima nella formula definita Category Killer.


La catena francese Decathlon ricerca personale che abbia attitudini sportive

La GSS è un format che rende compatibile la specializzazione con l’alta rotazione dell’assortimento e la problematicità di acquisto dei prodotti con la tecnica del libero servizio. Si conferma dunque anche in questo caso che l’innovazione è spesso frutto della capacità di conciliare l’offerta di benefici opposti e alternativi nell’esperienza di acquisto tradizionale. Nel mercato dell’abbigliamento, la GSS costruisce il suo fatturato sottraendolo a tutti gli altri formati di punto vendita, in particolare ai negozi più tradizionali e meno specializzati e al Grande Magazzino in quanto si rivolge allo stesso target di acquirenti.

MATRICE SWOT
Utili Pericolosi
Interni Personale di vendita qualificato.
Assortimento molto vasto.
Grande potere di acquisto.
Orari di apertura prolungati
Tanto capitale impegnato in prodotti che possono avere flussi di vendita lenti.
Esterni Apertura di punti vendita nei centri commerciali  Concorrenza dei piccoli negozi specializzati

È prevedibile un’ulteriore crescita delle GSS in Italia, in quanto nel nostro Paese le GSS rappresentano un fenomeno relativamente recente, nonostante i tassi di crescita siano già molto elevati. Esse consentono al consumatore di visionare un’ampia e selezionata gamma dell’intera offerta industriale in un’unica spedizione di acquisto e di poterne confrontare immediatamente i prezzi e le prestazioni.

Incubo

Che stai facendo, figlio?
Sogno, madre mia, sogno
che sto cantando,
e tu mi chiedi, nel sogno:
che stai facendo figlio?
Che canti, nel sogno, o figlio?
Canto, madre, che avevo una casa.
E adesso la casa non ce l’ho.
Questo canto, madre.
Avevo la mia voce, o madre,
e la mia lingua avevo.
E ora non ho né voce né lingua.
Con la voce che non ho,
nella lingua che non ho,
della casa che non ho,
io canto la mia canzone,
o madre.

Abdulah Sidran


Voghera – Il mercato in Piazza Duomo – 1917

Pneumatici

Riporto interamente un articolo pubblicato su Wroar.net, un sito realizzato da chi ama le autovetture in tutti i loro aspetti, riservato a chi ha gli stessi sentimenti, riguardante le "misteriose" misure degli pneumatici. Insomma, tutti quei numerini che ci indicano quali sono gli pneumatici giusti che possiamo mettere sulla nostra macchinina…

(tratto da http://www.wroar.net/pages/misure-sigle-pneumatici.html )

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Spesso ho trovato sui forum specializzati domande sulle dimensioni degli pneumatici e sul misterioso significato di tutte quelle cifre sopra stampigliate. In quest’articolo vi spiegherò cosa significano le

Sigle sugli Pneumatici

Ogni autoveicolo può montare uno o più tipi di gomme con misure e caratteristiche proprie.

E’ importante ricordare come il non montare pneumatici adatti al proprio veicolo può comportato, in caso di controllo, una multa dell’ammontare minimo di 370 euro (fino ad oltre 1400 in caso di non pagamento immediato) ed il ritiro della carta di circolazione (libretto).

Vediamo quindi di capire quali gomme montare sul nostro veicolo e prima ancora cosa significano quei numeri stampigliati sul pneumatico e sul libretto prendendo l’immagine successiva come esempio.

Sigla pneumatico185

: Il primo numero indica la larghezza del pneumatico nel punto più largo, corda, indicato in millimetri.

70: Rapporto d’aspetto o serie. Indica il grado di ribassamento della gomma. In pratica indica la distanza dalla base del cerchio a terra espresso in percentuale rispetto all larghezza. In questo caso specifico la larghezza è 185×0,7=129,5 mm, circa 13 centimetri.

R: Se presente indica che il pneumatico ha una struttura radiale, cioè con le tele montate ad anello. Tali gomme sono molto più sicure di quelle convenzionali poiché sono meno deformabili. Se la R è presente nella sigla richiesta dalla carta di circolazione è obbligatorio montare pneumatici radiali, se mancanti si può scegliere tra un radiale ed un convenzionale.

15: Diametro di calettamento del cerchio, espresso in pollici. Un pollice sono circa 2,54 centrimetri: detto in altre parole… 4 pollici=10 cm. In questo caso indica un cerchio di un diametro di  38,1 cm.

88: Indica il codice o indice di carico. Tale numero è tabellato. (Troverete alcuni esempi in fondo)

T: Indice di velocità. Il valore tabellato (vedi dopo) indica il valore per il quale il pneumatico è stato testato. Questo non significa che se si supera tale limite il pnuematico scoppi, significa però che non è consigliabile farlo perché aumenta il rischio che le prestazioni decadano e, al limite, ceda con conseguenze prevedibili.

PR 10: Indica il numero di tele con le quali è formato. 10 in questo esempio.

DOT 1606: Rappresenta il periodo di fabbricazione della gomma. Le prime due rappresentano la settimana, le ultime l’anno. Questa indicata è stata prodotta la sedicesima settimana del 2006. E’ uno dei valori più importanti di cui tener conto quando si acquista una serie di pneumatici. Una gomma troppo vecchia è molto pericolosa in quanto potrebbe cedere o scoppiare senza preavvisi. E’ consigliabile non acquistare gomme più vecchie di 3 anni.

Altre possibili sigle presenti sono:

TWI: indica il punto dove presenti i segnalatori di usura. Sono dei tasselli che si scoprono quando il battistrada è spesso meno di 1,6 millimetri, il limite di legge oltre il quale è obbligatorio cambiare pneumatico. E’ comunque consigliabile non arrivare a tale valore ma cambiarli sotto i 3 millimetri, poiché una ruota con battistrada eccessivamente consumato è pericoloso in curva, in frenata e soprattutto sull’acqua dove aumenta esponenzialmente il rischio di aquaplanig.

TT: con camera d’aria.

TUBELES: senza camera d’aria. Ricordo che tali gomme sono più sicure poiché in caso di foratura tendono a sgonfiarsi più lentamente di quelle con camera d’aria.

INFLATE MAX 5.0: indica la pressione di gonfiaggio massima ammissibile da quella gomma.

Ex- ex dove x è un numero: indica la sigla di omologazione EU, obbligatoria.

M+S: indica che tale pnuematico è adatto sulla neve. Può essere usato in alternativa alle catene dove tali dispositivi sono obbligatori.

DA: Difetto di aspetto. E’ una stampigliatura applicata a caldo ed indica che tale pneumatico ha qualche difetto. Non necessariamente indica un grave difetto, potrebbe essere anche una stampigliatura venuta male.

Quali pneumatici montare sulla propria vettura?

  • Le misure delle gomme che possono esser usate sul nostro veicolo sono indicate sulla carta di circolazione.
  • Le dimensioni (larghezza, rapporto d’aspetto e diametro del cerchio devono essere le stesse, né più né meno).
  • Gli indici di carico e velocità devono essere almeno quelli indicati sul libretto. Sono ovviamente ammessi carichi della ruota maggiori.

Esempi:

195/60 R16 88T oppure 185/65 R 15 88T : NON possono essere usati rispetto al nostro esempio in quanto nel primo caso la gomma è più larga di quella ammessa, nel secondo più bassa.

185/70 R 15 84T : NON può essere usato in quanto l’indice di carico è inferiore a quello richiesto.

185/70 R 15 90 V : PUO’ esser montato perché le dimensioni sono corrette e gli indici di carico e velocità son superiori a quelli richiesti.

Unica eccezione a tali regole sono le gomme da neve (M+S): è possibile montare pneumatici anche con indice di velocità più basso di quello richiesto a condizione che la sigla sia almeno Q, e che venga riportato nell’abitacolo un’indicazione che ricordi che tale limite. Es. Lim max 170 km/h.

Tabella con indici di carico del pneumatico:

Indice di carico 52 60 66 76 84 90 95 100 104 108 116 122
Peso max (in Kg per ruota) 200 250 300 400 500 600 700 800 900 1000 1250 1500

Tabella con indice di velocità del pneumatico:

Indice velocità L
M N
P Q R S T O H VR
V ZR W Y
Velocità  (Km/h) 120 130 140 150 160 170 180 190 200 210 210+ 240 240+ 270 300

Il re degli Elfi

Chi cavalca così tardi per la notte e il vento?
È il padre con il suo figlioletto;
se l’è stretto forte in braccio,
lo regge sicuro, lo tiene al caldo.

«Figlio, perché hai paura e il volto ti celi?»
«Non vedi, padre, il re degli Elfi?
Il re degli Elfi con la corona e lo strascico?»
«Figlio, è una lingua di nebbia, nient’altro.»

«Caro bambino, su, vieni con me!
Vedrai i bei giochi che farò con te;
tanti fiori ha la riva, di vari colori,
mia madre ha tante vesti d’oro».

«Padre mio, padre mio, la promessa non senti,
che mi sussurra il re degli Elfi?»
«Stai buono, stai buono, è il vento, bambino mio,
tra le foglie secche, con il suo fruscio.»

«Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie avranno cura di te.
Le mie figlie di notte guidano la danza
ti cullano, ballano, ti cantano la ninna-nanna».

«Padre mio, padre mio, in quel luogo tetro non vedi
laggiù le figlie del re degli Elfi?»
«Figlio mio, figlio mio, ogni cosa distinguo;
i vecchi salci hanno un chiarore grigio.»

«Ti amo, mi attrae la tua bella persona,
e se tu non vuoi, ricorro alla forza».
«Padre mio, padre mio, mi afferra in questo istante!
Il re degli Elfi mi ha fatto del male!»

Preso da orrore il padre veloce cavalca,
il bimbo che geme, stringe fra le sue braccia,
raggiunge il palazzo con stento e con sforzo,
nelle sue braccia il bambino era morto.

Johann Wolfgang von Goethe

Iodio

Odio le zucchine, i carciofi, il freddo (ma anche e soprattutto il caldo afoso), il cambio dall’ora solare all’ora legale e viceversa che cotringe a stare attenti a cambiare l’ora, i francesi e il loro complesso di superiorità (anche se amo Parigi), gli ospedali perchè mi mettono un’ansia terribile, odio quelli che mi parlano al mattino appena sveglio, magari proprio mentre sto facendo colazione, magari proprio mentre sto leggendo il Corriere della Sera, e peggio ancora quelli che pretendono una risposta (magari sensata) da me o ancora peggio quelli che pretendono che io faccia qualcosa. Odio il mal di testa e il mal di denti, e quelli che coi denti aprono le birre (io mi spaccherei gli incisivi). Odio quelli che aprono le portiere senza guardare e danno le sportellate, quelli che entrano coi cani al ristorante, quelli che quando li incontri non alzano mai l’ombrello e cercano di dartelo proprio in faccia, quelli che vanno in bici in strade strette appaiati (e poi magari li tiri sotto in macchina e pretendono di aver ragione). Odio quelli che (soprattutto con il caldo) vengono in negozio a provarsi le scarpe… beh avete capito… Odio quelli che sono sempre impegnati perchè lavorano e sono stanchi (solo loro!), quelli anzi quelle che si vestono coi vestiti attillati anche se hanno una 54 abbondante, quelli che non si fanno mai i fatti loro. Non posso soffrire quelli che dondolano in bici in mezzo alla strada quando c’è la pista ciclabile, per non parlare di quelli che invece parcheggiano l’auto in mezzo alla pista ciclabile, tanto è solo "per un minutino"…Non parlatemi di Laura Pausini, o di quelli che si sentono sempre vittime di qualcosa. Odio "l’estate più calda dell’ultimo secolo" o "l’inverno più freddo degli ultimi 50 anni", o "state in casa nelle ore più calde specialmente i bambini e gli anziani e bevete molta acqua"…e anche l’esodo e il controesodo. Che stufa che ne ho di quelli che non usano mai e dico mai un benedetto congiuntivo, e dell’errore 404 "Pagina non trovata" e poi quelli che vivono solo su Facebook e poco nella vita reale. Odio quelli che applaudono all’atterraggio, i testimoni di Geova che insistono, e anche quelli che "scusa posso farti una domanda?". No, non me la puoi fare, e delle comunità di ex-tossicodipendenti che vendono biro non me ne frega niente, non ci credo, i soldi te li intaschi tu! Odio gli sbattimenti, odio il sabato mattina. Come, direte voi, il sabato? Ma non era il lunedi? Si vede che voi il venerdì sera non uscite oppure il sabato mattina non lavorate… Odio l’allergia primaverile, odio i moscerini che si spiaccicano sul parabrezza e non vanno via neanche se usi il prodotto specifico. Odio le canzoni di Gigi d’Alessio, odio fare la fila, odio la sabbia, la polvere, il cemento e tutte quelle cose lì. Odio quelli che mi dicono cosa dovrei fare, odio la schermata blu della morte (per fortuna ormai non c’è più), odio quelli che mi fumano addosso, odio gli z…oticoni che mi rubano in negozio, odio quelli che mi fermano per strada per chiedermi soldi per le cause più assurde e quindi odio anche Fastweb, Sky e tutta quella massa di rompicoglioni che mi chiama a casa al mattino per propormi le loro str…ane iniziative a cui io TANTO NON ADERISCO! Odio quelli che fanno subito gli amiconi, ma chi ti conosce? Odio la Juventus e tutto ciò che mi ricorda la Juventus, odio svegliarmi e non sapere che ore sono. Odio star male, il sole negli occhi, i serpenti, i maleducati in auto, i biglietti da visita troppo grossi che non stanno nel portafoglio. Odio i cachi, il ketchup, le olive.

E poi odio tante ma tante ma tante altre cose….

L’idea di questo post me l’ha data questo sito.

Noi siamo qui

Un fedele lettore del blog, Marco, mi ha invitato alla data vogherese di un tour di concerti tenuti da un gruppo di cantanti emergenti (tra cui lui ;-) per raccogliere soldini per Haiti.

Il concerto si terrà a Voghera, al Teatro Arlecchino, il giorno sabato 12 giugno 2010 alle 21 e l’ingresso costa 5 euro intero e 3 euro ridotto. E’ un prezzo sicuramente abbordabile per una bella serata di musica, anche al di là del fine di solidarietà.

Potete avere maggiori info sul sito ufficiale:

www.noisiamoquitour.it

oppure sulla pagina Facebook.

Quel fantasma per amico

Decisi di non parlare con nessuno di quello che avevo visto, anche per non sembrare preda di allucinazioni estive.

La sera successiva, dopo l’orario di chiusura, preparai lo stesso appostamento, dopo aver lautamente cenato e dopo diversi caffè per combattere il sonno.

Verso le tre del mattino, quando ero convinto che non sarebbe accaduto nulla, ricominciarono i rumori provenienti dalla sala. Stavolta uscii subito allo scoperto brandendo il bastone. Il visitatore notturno era lo stesso della notte precedente. Quando mi vide arrivare lasciò cadere la bottiglia di vino che aveva tra le mani e si diresse urlando verso l’uscita sbarrata, che attraversò senza aprire. Rimasi talmente scosso che non potei muovermi, mi ci vollero diversi minuti per riacquistare il sangue freddo. Controllai bene la porta d’entrata che era chiusa a doppia mandata. Non vi erano più dubbi, quell’essere non era reale, vale a dire che non era fatto di materia, insomma non era umano. Mentre ero perso in questi pensieri udii rumori di passi, mi voltai di scatto e lo rividi: era lui, era lì, lui in persona, o in non-persona, e qualunque cosa fosse, era a non più di quattro o cinque metri da me.
«Perché non fuggi?».
Lo guardai impietrito. La sua voce era profonda.
«Ho troppa paura», risposi.
Una sonora e fragorosa risata riempì la sala del pub «Castello» in quella notte d’estate del 1999. L’essere altri non era che il fantasma di Giovanni Malaspina. Mi spiegò la sua storia e mi fece molte domande. Minuto dopo minuto la mia paura svanì e l’interrogatorio si trasformò in una chiacchierata, che durò fino all’alba. Mi raccontò di quando, nel 1570, entrò in conflitto con i marchesi di Pregola per divergenze familiari e assaltò il vecchio castello, gli diede fuoco e lo distrusse, uccidendo barbaramente alcuni degli occupanti. Purtroppo per lui nella fortezza vi era ospite un vecchio negromante del Nord Europa che gli scagliò una terribile maledizione: dopo la morte il suo fantasma sarebbe rimasto intrappolato tra le mura del castello fino alla fine del millennio. Dopo decenni di solitudine, non gli sembrava vero che il maniero fosse ancora abitato. Avrebbe voluto bere qualche sorso di alcol ma, essendo incorporeo, non poteva, perciò furente fracassava i calici a terra.
Nelle settimane che seguirono queste chiacchierate si svolsero con regolarità quasi giornaliera. Giovanni mi chiedeva del mondo attuale, io mi facevo raccontare le abitudini, le imprese, le guerre e la vita di corte di quei secoli lontani.
Quando in autunno chiusi il pub, decisi di andare a trovare il simpatico spiritello almeno una sera la settimana. Così per i mesi seguenti continuarono i nostri incontri davanti al caminetto a chiacchierare. Passarono i mesi ed arrivò l’inverno. Il 31 dicembre mi recai al castello, dove trovai Giovanni in quello che una volta era il salone principale. Ci salutammo calorosamente. Ero triste per la perdita di quella figura ormai familiare, ma ero felice per lui, che avrebbe finalmente trovato la pace. Attraversò per l’ennesima volta il muro che divide il salone della cucina e scomparve.

Circa un mese dopo ero nel bar per fare un po’ di pulizie quando, ad un tratto, mi ritrovai davanti quel personaggio buffamente abbigliato che ormai conoscevo bene.
«Giovanni! Ma… come…» esclamai.
«Ricordi la maledizione? Ebbene, il millennio finisce il 31 dicembre del duemila, quindi, amico mio, dovrai sopportarmi un altr’anno ancora».

Questo è quanto accadde a partire da quell’estate del 1999.

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Come ho già scritto e detto più volte, ma lo ripeto perché molti ancora me lo chiedono: è solo un racconto, non ho avuto le allucinazioni. E per di più Giovanni Malaspina non è mai esistito, il castello fu distrutto da Gian Maria malaspina e nel 1575.

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ps dell’utimo minuto: secondo un’altra fonte fu distrutto da tal Giovanni Malaspina nel 1571… quindi un fondo di verità in quello che ho scritto c’è !!!!

Racconto d'estate

Nel 1999 il quotidiano La Provincia Pavese istituì un piccolo concorso letterario dal titolo "Il racconto d’estate". Chiunque avesse voluto inviare un piccolo racconto che si svolgesse nella nostra provincia evrebbe visto il suo lavoro pubblicato sul giornale e avrebbe partecipato alla vittoria finale. Io, per curiosità, per la voglia di cimentarmi in qualcosa di nuovo e per fare un po’ di sana e onesta pubblicità ad un’iniziativa che stavo per intraprendere, mandai il seguente raccontino:

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Nell’estate del 1999 decisi di aprire una birreria a Pregola, frazione del comune di Brallo. A dir la verità una frazione dal passato glorioso, tant’è che fino a non molti decenni prima era il capoluogo comunale, sede da secoli di un marchesato. Il luogo che avevo intenzione di trasformare in un piccolo bar stagionale aveva anch’esso una brillante storia: era parte della casaforte (chiamata castello dagli abitanti del paese), residenza dei marchesi Malaspina, feudatari di Pregola dal 1164 e ivi residenti fino all’inizio del XX secolo. Inaugurai il pub «Castello Malaspina», situato nell’ala ristrutturata della struttura medievale, verso metà luglio. Nei giorni successivi iniziarono ad arrivare avventori da tutto l’Oltrepò pavese: gente del luogo e turisti attratti dalla frescura e dal fascino del maniero. Non avevo mai fatto quel lavoro prima di allora e l’inatteso successo mi aveva disorientato un po’. Non sapevo ancora che ben più emozionanti eventi mi avrebbero coinvolto. Tutto ebbe inizio quando alcuni abitanti del paese vennero a lamentarsi per il rumore proveniente dal bar che li aveva disturbati durante la notte. Io mi scusai sfoderando tutti i sorrisi di cui ero capace, ma in seguito mi venne in mente che il giorno precedente era lunedì e quindi il pub era chiuso.  Con un misto d’ansia e preoccupazione mi recai di corsa al castello, dove trovai molte bottiglie spostate, alcune rovesciate, e numerosi cocci di bicchieri in terra. Con un rapido sopralluogo notai che non c’erano altri danni, e nessun furto: un intruso beone dunque. Non risultavano assolutamente segni di scasso: da dove poteva essere entrato?

La settimana successiva, di martedì, mi si presentò sotto gli occhi la stessa scena: bottiglie e bicchieri sui tavolini e per terra, porte e finestre integre. Feci sostituire al più presto la serratura dell’ingresso, pensando che qualcuno fosse riuscito a procurarsi un doppione delle chiavi. Non riuscivo a spiegarmi comunque un particolare: perché gli ignoti visitatori non si limitavano a portare via le bottiglie o a berle in silenzio, bensì le frantumavano rischiando di farsi scoprire per il frastuono? Il lunedì seguente all’ora di cena ero nel castello, appostato nella toilette nell’attesa dei vandali della notte, armato di un grosso bastone. Rimasi tutta sera nello stanzino di pochi metri quadrati, fermo immobile,finestre chiuse, nessun rumore, il caldo che cominciava ad essere insopportabile, con grosse gocce di sudore che mi scendevano sulla fronte. Dopo qualche ora la situazione era peggiorata perché stupidamente non avevo cenato e i morsi della fame iniziavano a farsi sentire, accompagnati  dal mal di schiena dovuto alla scomoda posizione. Infine la sonnolenza ebbe il sopravvento e mi addormentai.
Fui  svegliato da rumori che provenivano dalla sala, mi affacciai e….cosa vidi: un uomo che stava versandosi del rum. Appoggiò il bicchiere su di un tavolino, lo riempì e bevve. Continuò per altre due o tre volte. Io ero preso dall’osservazione dei suoi abiti: di stranissima foggia, pareva un costume teatrale. Nel frattempo l’insolito ospite continuava a servirsi finché, in uno scatto d’ira, scagliò con forza il bicchiere per terra. Non potei più trattenermi e uscii allo scoperto ma, quando mi vide, corse verso il muro laterale e… lo oltrepassò vicino al camino!
Potete immaginarvi lo sgomento misto a paura che provai in quegli attimi. Dopo essenni un po’ tranquillizzato, diedi un’occhiata intorno: ancora una volta lo scenario era composto da cocci di vetro e bottiglie aperte.Un particolare mi sembrò subito molto strano: la bottiglia di rum era quasi piena, e io avevo visto’quel personaggio bere più di quattro bicchieri.
Preso da un autentico terrore aprii la porta — che era rimasta chiusa a chiave — e me ne andai.
Quella notte non dormii.
Avevo sognato ad occhi aperti per colpa del pasto saltato, del sonno e del caldo?

(continua domani)

Il dondolo

Quando ero piccolo avevamo un dondolo in casa. Era un dondolo di metallo, con i due supporti laterali, e l’asta in alto su cui era appeso, appunto il dondolo. Sono scarso come creatore di definizioni, ma ho voluto spiegarlo perchè molti confondono il dondolo con la sedia a dondolo. Il nostro era come quello di questa foto.

Era il mio posto preferito. Sopra la struttura metallica aveva un cuscino color marrone che copriva lo schienale e arrivava fin sotto il sedere. Era bello rifugiarsi li a leggere, mentre mi dondolavo. Quasi subito diventai troppo grande per starci sdraiato e allora mi sedevo normalmente. Cavoli quanti "Topolino" ho letto su quel dondolo. Quando ero un po’ più grandicello ho provato ad usarlo anche per studiare, ma non mi faceva stare concentrato. Ma per leggere era il posto più rilassante al mondo.

Anche i gatti di famiglia hanno sempre apprezzato quell’oggetto, così come i miei nipotini (nipotini all’epoca, adesso nipotoni) ci hanno schiacciato parecchi pisolini. Mia mamma talvolta, specie d’inverno, lo usava per appendere i panni lavati e in quei casi non potevo utilizzarlo… che rabbia.

Negli anni se n’è andato x fare spazio ad altri mobili e alla fine è finito a Pregola, come complemente del Bar Castello Malaspina. Che fitta al cuore vederlo l’altro giorno, coricato lungo la piccola scarpata a fianco del bar. Il mio dondolo…. !!!!

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