(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

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Rime

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Cinquantunesima puntata (le altre le trovate guardando qui)

Uno strumento molto utilizzato è stato quello dei cartelli in rima. Si tratta di cartelli che hanno come scopo principale quello di illustrare il prezzo della merce, ma per farlo utilizzano una breve frase in rima. Questo strumento è stato molto apprezzato dalla clientela, che si incuriosisce davanti a questi cartelli e si sofferma davanti alle vetrine, o all’interno del negozio, per leggerli, anche se l’articolo esposto non è di loro interesse. L’iniziativa dei cartelli in rima è nata prendendo spunto da un’idea molto simile che mia mamma Rita aveva utilizzato per molti anni nel proprio negozio, ed ha avuto talmente successo che è diventato un punto fermo della politica d’immagine di Piazza Affari. 

I cartelli in rima attirano l’attenzione della clientela potenziale 

Il passante, o il cliente, si diverte a leggere queste frasi e rimane più facilmente impressionato dagli oggetti in vendita.
Ecco riportati alcuni esempi di scritte apparse ultimamente su questi cartelli:

  • La felpa della Kappa a questo prezzo non mi scappa.
  • Sulla neve sono un portento e con il prezzo non ti spavento.
  • Per la montagna e la città qui costa quasi la metà.
  • Senza rimpianto: costo poco e valgo tanto !
  • Che colore interessante, ed il prezzo è invitante.
  • Il modello Peuterey piace a lui e piace a lei.
  • A scuola di bellezza son promossa, son giacca calda bella e rossa.
  • Il cappotto è proprio bello ed il prezzo è sempre quello.
  • Il maglione è caldo ma leggero, non mi sembra neanche vero.
  • La manica è staccabile, il piumino è formidabile.
  • Per comprarmi spendi poco denaro, sono bello e poco caro.
  • Il maglione morbidino, costo solo un ventino.
  • La giacca è molto bella, costa meno della mortadella.
  • Ma che linea elegante, un modello che piace a tutte quante.

Un caro amico, Giovanni, dice sempre che a suo parere la particolarità di questi cartelli non sta tanto (o non solo) in quello che c’è scritto, ma sul dove sono stampati: quasi sempre carta riciclata, che rende ogni foglietto davvero unico. L’espressione usata è "fogli della focaccia", per intendere che sull’altro lato potrebbero realmente esserci pagine di qualunque tipo.

Servizio

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Quarantottesima puntata (le altre le trovate guardando qui)

Dal momento che abbiamo scelto di fare una politica di prezzo contenendo i margini, occorre ridurre al massimo le spese. Una delle spese che maggiormente incide è quella del personale di vendita. Il linea generale è indispensabile avere a disposizione del personale per illustrare, servire, persuadere la clientela, ma abbiamo deciso di limitare questa presenza per non aggravare troppo i costi. Pertanto dovevamo trovare delle tecniche sostitutive di vendita.

Si è quindi deciso di limitare la presenza di addetti ad uno fisso e uno o più stagionali, in occasioni di particolari evenienze (festività, svendite, ecc.).

L’impostazione data al servizio assistito è quella di lasciare che sia il cliente a decidere se desidera assistenza o no durante la permanenza nel negozio. Ovviamente la psicologia, essenziale per ogni buon venditore, ci aiuta e ci insegna che anche chi dice di essere entrato solo per curiosità o per dare un’occhiata, in realtà sta comunque cercando qualcosa. Magari non sa esattamente cos’è (per esempio deve fare un regalo e quindi non ha ancora scelto che oggetto regalare), oppure è frenato dalla timidezza oppure ancora dalla paura che il venditore possa essere troppo insistente. Per tutte queste categorie bisogna saper afferrare il momento giusto: dopo aver lasciato il cliente qualche istante a osservare la merce, ci si deve avvicinare per tentare un approccio. Una frase, un invito a provare l’articolo, un apprezzamento, sono i primi contatti per avviare un dialogo col cliente. Non bisogna incominciare troppo presto, pena l’infastidimento o anche l’allontanamento di chi specificatamente ci aveva espresso il desiderio di voler esser trascurati dal venditore. Non bisogna intervenire neppure troppo tardi altrimenti spesso il cliente, specialmente quello non abituale, dopo aver visionato magari solo una parte degli articoli a disposizione, se ne va, magari con un’idea sbagliata su alcune reali particolarità. Non provando la merce non può sapere molto sull’effettiva vestibilità di alcune taglie, non chiedendo può non conoscere la disponibilità di altri colori o modelli in magazzino, ecc.

Anche il linguaggio non verbale è importante. Accorgersi dei prodotti osservati con insistenza dai clienti per proporgli di provare ad indossarli, studiare come il cliente si guarda allo specchio, analizzare con uno sguardo come veste, con che stile, sono tutti fattori particolarmente importanti che distinguono un valido commesso da un mero servitore.

Capire che cosa desidera il consumatore è già un risultato importante, tuttavia è ancora più determinante essere in grado di indurlo a desiderare ciò che si vuole vendergli.

Matrice SWOT e politiche di prezzo

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Quarantasettesima puntata (le altre le trovate guardando qui)

Anche per il negozio Piazza Affari è possibile raccogliere in una tabella le caratteristiche che delineano i punti di forza, le debolezze, le opportunità e le minacce.

MATRICE SWOT

Utili Pericolosi
Interni Esperienza diretta e indiretta. Canali di fornitura consolidati. Difficoltà nell’ottenere assortimenti completi, discontinuità nelle offerte.
Esterni Sempre più attenzione alle marche e alla qualità Apertura di nuovi punti di vendita di griffe a prezzi scontati

Le politiche di prezzo assumono un ruolo essenziale nelle strategie di marketing, in quanto il prezzo è l’unica leva del marketing mix che produce ricavi e determina la posizione strategica e competitiva del business. È un fondamentale elemento per posizionarsi in un mercato, quello dell’abbigliamento firmato discount, molto elastico rispetto al prezzo, e migliorare la performance competitiva (H. Simon, D. Zatta, "Strategie di pricing", Hoepli, 2006)

Le strategie di prezzo attuate prezzo Piazza Affari portano alla fissazione dei prezzi in base al valore percepito dai consumatori, per posizionare i prezzi più bassi dei livelli di mercato. Per fare questo innanzi tutto occorre un’analisi per conoscere il proprio target dei clienti e capire che prezzo questi ritengono adeguatamente basso per ogni prodotto presente nell’assortimento.

La funzione svolta per stabilire i prezzi dei singoli articoli non deve essere considerata un’attività di scarso perso perché da questo si determina la competitività con la concorrenza e determina l’attrattività del negozio nei confronti dei consumatori. Per ogni prodotto, in base alle sue caratteristiche (marca, qualità, fase della vita del prodotto, ecc), ci si deve domandare a quale prezzo il cliente-tipo lo acquisterebbe volentieri. I clienti sono disposti a fare un sacrificio economico per acquistare il bene, quindi non ci si può e non ci si deve accontentare di un prezzo troppo basso, per non sprecare una fonte di redditività, ma nel contempo non rischiare di arrivare ad importi troppo elevati che scoraggerebbero l’acquisto.

Le componenti che contribuiscono alla formazione del prezzo per il cliente finale sono:

  • I costi variabili. Un vantaggio strutturale di costo è una condizione pressoché obbligatoria, è la componente fondamentale. Per poter operare in questo settore con la decisione di puntare sulla leva del prezzo è determinante riuscire a contenere i costi di acquisto dei prodotti. La riduzione dei costi è ricercata attraverso un severo vaglio dei fornitori e talvolta con contrattazioni personali.
  • La concorrenza. E’ indispensabile un’informazione perlomeno sommaria dei prezzi praticati dai punti vendita concorrenti per gli stessi prodotti o per altri analoghi. Questo comporta una continua documentazione, sia cartacea attraverso riviste, cataloghi, pubblicità, sia attraverso internet, sia direttamente sul posto, osservando le proposte della concorrenza.
  • Percezione della qualità. Un singolo prodotto, una marca, un’intera gamma, possono essere percepiti in modo differente da parte dei clienti e quindi necessitano di prezzi differenti. E’ difficile, senza ricorrere a strumenti raffinati e onerosi come le ricerche di mercato, accorgersi di queste percezioni; un valido contributo è dato dall’esperienza e dalla psicologia.
  • Discriminazione e politiche di sconti. Talvolta vengono praticati ulteriori sconti sia a rivenditori che acquistano in grandi quantità, sia ai clienti più fedeli.
  • Elasticità. Se si ipotizza un più che proporzionale aumento del volume di vendite di un certo prodotto è giustificabile la diminuzione del margine unitario.
  • I costi fissi. Durante il procedimento di fissazione dei prezzi occorre considerare anche il valore dei costi fissi (spese per il personale, costi di gestione, rinnovo delle attrezzature, ecc.) rapportandoli alle unità di prodotti in vendita.

Valutando questi e altri secondari aspetti occorre raggiungere le decisioni riguardanti i prezzi a cui porre in vendita gli articoli.  in un secondo momento è sempre possibile effettuare degli aggiustamenti. i casi più frequenti sono quelli di riduzione di prezzo, dovuti ad offerte di fine stagione, ad eccesso di prodotti simili in magazzino, ad offerte speciali, e così via. Più di rado si presentano casi di aumento dei prezzi, dovuti principalmente ad aumento dei costi (fissi o variabili); in questi casi è importante valutare attentamente l’elasticità al prezzo, per non incorrere in cali significativi del volume delle vendite.

Vantaggi e svantaggi

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Quarantaseiesima puntata (le altre le trovate guardando qui)

La formula di vendita di Piazza Affari porta il negozio ad avere dei punti di vantaggio rispetto ad altre attività commerciali.

Rispetto ai negozi tradizionali i punti in favore di Piazza Affari sono:

  • I prezzi più competitivi.
  • Possibilità di attuare sconti per acquisti di grandi quantità.

I vantaggi rispetto agli outlet, che rappresentano il modello di riferimento per chi è in cerca di articoli di qualità a prezzi ridotti:

  • Esiste ancora un certo legame fiduciario con il distributore tradizionale per ragioni sociali ed umane.
  • Il coefficiente di servizio prestato: prossimità (vicinanza del punto vendita ai centri cittadini), il credito al consumo, la consegna a domicilio, la personalizzazione del rapporto col cliente.

Esistono altresì dei punti che pongono in svantaggio Piazza Affari nei confronti di questi concorrenti. 

I punti in cui i negozi tradizionali sono avvantaggiati sono:

  • Assortimento orizzontale di taglie, colori, modelli a cui si aggiunge la possibilità di ordinare in tempi brevi i prodotti eventualmente mancanti.
  • Prodotti della collezione in corso e non delle stagioni precedenti.
  • Rapporto diretto con le ditte produttrici e status di “rivenditore ufficiale”.

Gli outlet center sono in vantaggio per quanto riguarda:

  • Assortimento verticale. Per ogni marca è presente un’abbondante tipologia di prodotti.
  • Rapporto con i fabbricanti. Sono solitamente emanazione diretta dei produttori e pertanto hanno canali privilegiati nel rifornimento e hanno lo status di “rivenditori ufficiali” delle rimanenze.

Prodotti e canali di approvvigionamento

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Quarantacinquesima puntata (le altre le trovate guardando qui)

Le tipologie di articoli in vendita da Piazza Affari sono principalmente di due tipi:

  • Articoli di marca. Sono prodotti griffati, di marche conosciute a livello internazionale o nazionale. Sia nel settore sportivo / outdoor come Nike, Adidas, Reebok, New Balance, Puma, Kappa, Lotto, Diadora, Mizuno, Fila, Kronos, Sergio Tacchini, sia nel settore abbigliamento e attrezzatura sci come Colmar, West Scout, Dolomite, Aesse, Nordica, Tecnica, Salomon, Rossignol, Volkl, Atomic, Dubin, Head, Trezeta, Asolo, sia nel settore moda come Baci & Abbracci, Fred Perry, Armani Jeans, Monella Vagabonda, Levi’s, Belfe, Diesel, Henri Lloyd, GianMarco Venturi.
  • Articoli non di marca. Sono prodotti con marche non note al grande pubblico, acquistate sempre privilegiando la qualità.

Canali di approvvigionamento

Per un’attività non convenzionale e così basata sulla differenziazione di prezzo e quindi sulla convenienza, la scelta dei canali di approvvigionamento è una fase critica per il successo o il fallimento dell’attività.

Un motto molto saggio del commercio recita: “Vende bene chi compra bene”.

Le fonti degli acquisti sono diverse a seconda della tipologia del bene acquistato: per i prodotti di marca si utilizzano:

  • Grossisti. Sono intermediari che acquistano in grandi quantità dalle ditte produttrici o da altri grossisti, sia in Italia che all’estero, spuntando prezzi molto favorevoli.
  • Grossisti – dettaglianti. Sono titolari di negozi molto ampi o catene di negozi, che riescono a spuntare prezzi competitivi dalle imprese industriali e quindi fungono anche da grossisti.
  • Altri negozi. Sono negozi tradizionali che si vogliono liberare da eccedenze, rimanenze, fondi di magazzino. Spesso sono punti vendita che hanno un bacino di clientela delimitato e quindi per motivi di immagine non possono mantenere in vendita i prodotti per troppo tempo, per non apparire obsoleti o disassortiti, ma non possono neanche proporli a prezzi troppo scontati (sempre per motivi di immagine e per rispetto verso i propri clienti che li hanno acquistati a prezzo pieno). Per questi motivi, a cui si aggiunge il problema dei costi di immagazzinamento e talvolta quello della rapida svalutazione dei prezzi (soprattutto nel settore dell’attrezzo sportivo, dove i clienti sono più esigenti ed attenti ai nuovi modelli proposti dalle ditte produttrici), tali negozi sono propensi ad accettare perdite, pur di liberarsi di quei prodotti che hanno terminato il loro ciclo di vendita in quell’esercizio.
  • Chiusure, fallimenti. Sono negozi o grossisti che chiudono per cessata attività, trasferimento, fallimento e hanno quindi l’esigenza di liquidare la merce in magazzino.
  • Campionari. I rappresentanti delle imprese industriali sono forniti molto spesso di una collezione di campioni da mostrare ai propri clienti. Da parecchi anni si è consolidata una tradizione, da parte delle ditte produttrici, di scaricare completamente il costo di questi campionari vendendoli all’agente stesso il quale, una volta terminata la stagione delle ordinazioni, cerca di piazzarli a prezzi ovviamente molto bassi rispetto al listino ufficiale.

Per i prodotti non di marca i canali utilizzati sono:

  • Grossisti. Sono intermediari che rivendono solo articoli non griffati, oppure un mix tra prodotti di marca e non marcati.
  • Altri negozi. Sono negozi che intendono cedere, spesso a prezzi di realizzo o addirittura in perdita, prodotti non di marca per esigenze di liquidità, mancanza di spazio, fine assortimento, inizio dell’obsolescenza dell’articolo.
  • Ditte produttrici. Sono le imprese che producono direttamente, o tramite terzisti, articoli con marchi poco o per niente pubblicizzati e pressoché sconosciuti al grande pubblico. Queste ditte hanno generalmente parecchi articoli in magazzino per far fronte a richieste di riassortimento da parte dei dettaglianti durante la stagione in corso. A fine stagione preferiscono liberarsene vendendoli a prezzi molto scontati per i seguenti motivi: ricevere liquidità da reinvestire nelle nuove produzioni, alleggerire i magazzini e diminuire quindi tutti i costi che comportano, evitare l’invecchiamento dei prodotti. Talvolta anche le ditte produttrici hanno dei campionari da alienare.

Il pregio principale di tutti questi canali di approvvigionamento è il basso costo dei prodotti rispetto ai prezzi ufficiali praticati dalle ditte produttrici. I difetti sono:

  • Distanza. Nella quali totalità dei casi (talvolta fa eccezione l’acquisto dei campionari dei rappresentanti) occorre recarsi presso il negozio o magazzino del fornitore che possono essere anche parecchio distanti dalla sede di Piazza Affari. Per questo motivo al costo della merce vanno sommati i costi imputabili al trasporto (carburante, pedaggi, eventuale noleggio di mezzi) e al tempo necessario per portare a compimento la compravendita. Per ragioni di praticità gli acquisti sono effettuati quasi sempre nelle regioni del Nord Italia, con poche eccezioni, soprattutto per quanto riguarda i capi in pelle che talvolta sono acquistati in Toscana, visto l’alto numero di produttori del settore pelle-cuoio che vi operano.
  • Discontinuità. Per ovvie ragioni questi canali non garantiscono una certezza dell’approvvigionamento e una continuità nel riassorbimento, ma, al contrario, sono fonti che offrono possibilità di acquisti di stock di merce a prezzi scontati solo saltuariamente. Questo comporta difficoltà nella gestione delle scorte, che non potrà fare affidamento sulla possibilità di assortire nuovamente i prodotti in esaurimento con sicurezza. Per questa ragione ogni tipologia di prodotto (tute da ginnastica, maglioni, gilet in piumino, giacche in pelle, ecc.) viene acquistata contattando più fornitori e con una gestione delle giacenze che faccia in modo di avere in magazzino una quantità di articoli maggiore del necessario, per sopperire ad un’eventuale carenza di rifornimenti.
  • Non assortimento. Non è raro, o meglio è all’incirca la prassi che, a causa dell’utilizzo di questi canali di fornitura, gli stock acquistati siano composti da merce disassortita per taglie, colori e modelli. Questo comporta una notevole varietà nella gamma degli articoli proposti al pubblico che da un lato è ben accettata e vista come fattore positivo di distinzione, o come peculiarità del modello di vendita, ma dall’altro può comportare difficoltà nella soddisfazione delle richieste della clientela.
  • Oscillazioni dei prezzi. Non praticando prezzi di listino (frequentemente gli importi finali sono frutto di trattative personali) queste fonti di approvvigionamento possono applicare variazioni nei prezzi anche sostanziose tra una compravendita e un’altra.

Il Negozio del Risparmio

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Quarantaquattresima puntata (le altre le trovate guardadando qui)

Dopo numerose esperienze nel commercio, sia ambulante che in sede fissa, mio padre, Siro Tordi, aprì nel 1965 il negozio che tuttora gestisce al Passo del Brallo, capoluogo del comune più a sud della Lombardia, sugli Appennini Pavesi. All’epoca la differenziazione dei prodotti era impensabile per una piccola rivendita, specialmente avendo un bacino d’utenza delimitato, in una zona dove i trasporti erano spesso difficoltosi. Il negozio offriva quindi una varietà notevole di prodotti del settore tessile – abbigliamento, ma non solo.
Per l’avvenire si sarebbe prospettato un normale ritmo commerciale, con clientela circoscritta agli abitanti della zona, senza possibilità di migliorare un sistema di vendita già consolidato e all’apparenza immutabile e senza la possibilità (o la convenienza) di attuare politiche di marketing innovative a causa della distanza dai grandi centri abitati – anche a causa di infrastrutture stradali inadeguate – e dalla ristrettezza del possibile target di acquirenti.
Al contrario, grazie ad una particolare situazione socio-economica e ad una geniale intuizione, il futuro non fu così.
In quegli anni, grazie all’onda lunga del boom economico, ci fu un fiorente sviluppo del turismo, della pratica degli sport invernali e un incremento delle spesa media per l’abbigliamento. Non erano ancora di moda le località esotiche, sia per i costi, sia per la praticità, e il Passo del Brallo costituiva una delle mete preferite per chi voleva trascorrere giornate di relax con gite o passeggiate nei boschi o cimentarsi in sport invernali nei vicini impianti sciistici. I turisti arrivavano da ogni direzione, vista la posizione favorevole, al confine di quattro regioni contigue: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Liguria.
L’intuizione fu quella di aggirare la consueta filiera di distribuzione (agenti, grossisti, ecc.) e rivolgersi direttamente alle ditte produttrici per strappare prezzi molto più vantaggiosi, acquistando stock di rimanenze, fine serie, campionari, e così via. Nacque così “Il Negozio del Risparmio”, la prima stock house ante litteram della zona. La profittabilità dell’impresa era legata alla quantità delle vendite, ma grazie anche al passaparola, ai prezzi molto contenuti e al savoir faire riguardante le relazione con la clientela, i clienti affluivano copiosi. Un particolare settore trainante fu quello delle attrezzature da sci, mercato ancora in fase nascente ma con ottime prospettive di sviluppo, con poca e costosa concorrenza e privo di category killer . Col tempo il punto vendita si è arricchito di altri prodotti di vari settori merceologici: pelletteria, calzature, abbigliamento griffato, pellicceria, abiti da uomo, pantaloni, e via dicendo, mantenendo sempre la politica dei prezzi ridotti, modificando e rinnovando continuamente gli articoli disponibili, ma conservando lo stile popolare, anticonvenzionale e un po’ folcloristico di un tempo.

Impostazione dell’attività

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Quarantatreesima puntata (le altre le trovate guardadando qui)

Notoriamente le leve principali del marketing mix sono le celebri “quattro P”: product, price, place, promotion. (Ne avevo parlato nella puntata 42)

Come già accennato precedentemente la mia scelta è stata quella di utilizzare la leva del prezzo per operare una differenziazione. La ragione per la quale non ho effettuato piuttosto una differenziazione settoriale è la massiccia presenza nella zona di negozi di abbigliamento e un bacino potenziale sufficientemente ristretto da non azzardare una specializzazione in articoli troppo esclusivi o peculiari.

La causa dominante della valutazione di offrire una differenziazione di prezzo è legata principalmente alla storia del negozio gestito dai miei genitori (ne parlerò nella prossima puntata) e al grande successo che ha ottenuto questa formula di vendita.
La mia scelta è stata quella di impostare l’attività come una stock house, personalizzata in base ai miei gusti e alle mie idee. Il negozio non è nato com’è attualmente, ma si è affinato e modificato nel corso degli anni in base alle esperienze di vendita, e alle modifiche apportate per seguire le tendenze e cercare di migliorare sempre più la redditività.

Le 4 leve del marketing mix

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Quarantaduesima puntata

Per entrare in un mercato occorre una combinazione di variabili più o meno controllabili dalle imprese per raggiungere i propri obiettivi. Per fare questo occorre vendere il giusto prodotto, al giusto prezzo, attraverso i giusti canali e con un adeguata campagna di comunicazione e promozione.

  • Product. Questa variabile è formata dalla qualità del prodotto, la confezione, il design, i servizi offerti, la marca, le garanzie, la varietà. La differenza non la fanno solo gli aspetti fisici, ma anche (e di frequente soprattutto) gli aspetti non fisici del bene venduto.
  • Price. Il prezzo è un fattore determinante. Non deve essere troppo alto – per non scoraggiare gli acquisti -, ma neppure troppo basso – per non perdere profittabilità o svalutare l’immagine dell’impresa o del prodotto (Nel 1993 la Philip Morris annunciò la riduzione del 20% delle sigarette Marlboro, per tentare di competere con prodotti più economici di altre marche. Il titolo crollò in borsa, facendo perdere 13 miliardi di dollari di capitalizzazione a causa anche della paura della riduzione del valore del marchio. Fonti: N.Klein, “No Logo”, Baldini e Castoldi, 2000 e H. Simon, D. Zatta, “Strategie di pricing”, Hoepli, 2006). La formazione del prezzo è influenzata da numerosi fattori: i costi, gli obiettivi, la domanda di mercato, concorrenza, il tasso di cambio, la legislazione vigente, ecc. Il prezzo ideale è quello più alto possibile che il cliente sarebbe disposto a pagare. Una pratica attuabile solitamente in regime di monopolio è la cosiddetta “discriminazione di prezzo”, ossia la vendita a prezzi diversi ad acquirenti diversi. Ad esempio concedendo sconti per particolari tipologie di clienti (anziani, bambini) o per elevate quantità di beni acquistati. Se un venditore opera una discriminazione perfetta riesce a vendere ad ogni cliente al prezzo che egli è disposto a pagare. In questo modo può vendere sia a chi è disposto a pagare meno sia a chi è disposto a pagare di più. Un esempio di questa tecnica di vendita è attuata dalle compagnie aeree low cost che propongono prezzi allettanti per i primi posti disponibili sul volo, alzandoli progressivamente al numero di prenotazioni. In questo modo i primi clienti, che sono disposti a prenotare con largo anticipo, otterranno un prezzo basso, consono alle loro aspettative, mentre i clienti dell’ultimo minuto, che hanno uno stringente bisogno di quel volo e sono quindi disposti a spendere molto di più, avranno esattamente un prezzo appositamente elevato.
  • Place. La variabile relativa alla distribuzione concerne i vari metodi di trasporto e stoccaggio delle merci, e sul come renderle disponibili ai potenziali clienti: ottenere che i giusti prodotti siano nei giusti posti nei tempi e nelle situazioni giuste. È una variabile che interessa i canali di distribuzione, la copertura, l’assortimento, la gestione delle scorte, la logistica, e così via.
  • Promotion. È l’arte di comunicare col pubblico, fornendo informazioni e promuovendo il prodotto per convincere il cliente ad acquistarlo. È l’insieme della pubblicità, degli strumenti di promozione, delle relazioni pubbliche.

Crisi del negozio tradizionale e alternative

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Quarantunesima puntata

Il settore dell’abbigliamento dopo la crisi degli anni ’90 e il lungo periodo di stagnazione economica, è in crisi in quanto questi prodotti sono avvertiti come voluttuari e quindi, in tempi di vacche magre, sacrificabili per l’acquisto di altri beni più preponderanti. Secondo uno studio del Censis  del 2004 le persone sono più propense alla diminuzione nella spesa di abbigliamento piuttosto che nella spesa di generi alimentari e cure mediche, ma anche di prodotti tecnologici e beni durevoli.
 

Percentuale di persone che prevedono di diminuire la spesa relativamente alle voci riportate. Fonte: Indagine Censis – Confcommercio 2004

Pur conservando la maggior parte delle caratteristiche di base del negozio tradizionale (piccola superficie di vendita, gestione familiare, nessuno o pochi dipendenti, ecc.), l’alternativa è quella di offrire sul mercato combinazioni di prodotto/prezzo/servizio che sono rivolte a soddisfare i bisogno di uno specifico segmento del mercato dei consumatori.
Vi è una concentrazione delle risorse aziendali per realizzare un’offerta che sia più valida per il soddisfacimento di particolari esigenze di consumo, ed abbia quindi maggiori possibilità di affermazione sul mercato.
Mettere in atto una politica di specializzazione significa in sostanza tentare di sottrarre il punto vendita alla concorrenza degli altri negozi che offrono le stesse categorie di prodotti, o comunque cercare di limitarla il più possibile. La specializzazione solitamente si fa per settore, dove si hanno più margini di manovra, rispetto al contenimento dei costi e dei prezzi, essendo quest’ultimo terreno di sfida spesso perdente per un’azienda di dimensioni modeste.
Per il mio negozio ho scelto, al contrario, di operare una differenziazione di prezzo. I motivi di questa scelta saranno esposti nelle prossime puntate.
 

Pubblicità su Facebook

Ho sperimentato la pubblicità su Facebook e finalmente ho capito una cosa: le potenzialità di questo sito. Ecco come mai vale così tanto la creatura di Zuckerberg. Adesso vi spiego: ho provato a fare pubblicità mirata, nella fattispecie alla pagina del mio negozio. Su FB fare pubblicità è semplice e potente. La semplicità deriva dal fatto che in pochi minuti puoi impostare la campagna pubblicitaria (diciamo dai 30 secondi ai 5 minuti massimo). La puoi far partire, terminare, sospendere e interrompere quando vuoi. Paghi solo quello che è stato fatto. Ci sono due tipi di inserzioni: quelle nella banda laterale e quelle tra un post e l’altro nella barra centrale. In quest’ultimo caso puoi fare pubblicità solo a pagine interne a FB, mentre nella barra laterale anche a link esterni. Per fare un annuncio basta una foto, un link e qualche riga scritta. Fine. Si paga con paypal.

La potenza è data dalla personalizzazione estrema. Siccome FB sa i fatti e i dati di tutti (o quasi), puoi richiedere che il tuo annuncio sia visualizzato solo da utenti con determinate caratteristiche. Per esempio gente di Voghera e zone limitrofe, dai 18 ai 60 anni, che non siano già fan di "Piazza Affari". Ma poi puoi personalizzare per città di residenza, di nascita, età, sesso, gusti sessuali e religiosi, scuole fatte, ecc. ecc. Insomma una personalizzazione pazzesca!!!

Un caso specifico: il negozio “Piazza Affari”

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Quarantesima puntata

Motivazioni dell’apertura del negozio
Il negoziante del terzo millennio deve essere un professionista del commercio. La crescita della concorrenza, la moltiplicazione delle formule distributive, la maggiore razionalità dei consumatori richiedono una preparazione superiore da parte di chi gestisce un punto vendita. Entusiasmo e determinazione da soli non bastano più.
Quando, a metà degli anni ’90, ho iniziato a pensare seriamente all’attività che avrei voluto svolgere in futuro, una volta terminati gli studi universitari, ho riflettuto a lungo sull’ipotesi di avviare e gestire un negozio di abbigliamento e articoli sportivi. Come punti di forza avevo la volontà e la risolutezza (dovute anche alla giovane età) e la conoscenza del settore nel quale avrei operato, in quanto molti componenti della mia famiglia operavano da anni in quel campo. Avevo maturato un’esperienza ormai decennale come saltuario addetto alle vendite nel negozio dei miei familiari e contavo sul sicuro supporto che in particolar modo mi avrebbero dato i miei genitori, sia economico, sia gestionale.

Quando si decide di avviare un’attività le motivazioni possono essere delle spinte positive, ma anche nascondere fattori di rischio. Ecco alcuni esempi:

  • Motivazioni esclusivamente economiche: avviare un’attività solo con la speranza di guadagnare tanti soldi. Non era il mio caso in quanto non ritengo di essere una persona avida. Inoltre nella mia vita non mi è mai mancato nulla di essenziale.
  • Motivazioni legate all’indipendenza personale. Questo è stato sicuramente una delle molle che mi ha spinto ad intraprendere questa avventura. È stato anche uno dei motivi che mi ha convinto a non abbracciare la carriera di ingegnere informatico per la quale mi stavo laureando.
  • Motivazioni familiari. Anche questo è un elemento preponderante che ha inciso moltissimo nelle mie scelte. Mio padre ha una lunghissima esperienza nel commercio, fatto che ha invogliato anche mio fratello e mia sorella ad intraprendere la stessa strada, sebbene in totale autonomia gli uni dagli altri.
  • Motivazioni legate all’assenza di alternative. Io avevo il problema contrario, quello di avere parecchie alternative e doverne sceglierne una.

Ovviamente avrei dovuto valutare anche aspetti legati alla personalità e alla poca esperienza. Sono fondamentalmente timido, che è una grave pecca per un venditore, ma col tempo ho imparato a relazionarmi con la clientela e inoltre ho adottato una serie di procedure e tecniche (come ad esempio quelle raggruppate sotto il nome di Visual Merchandising) che mi permettono di vendere i prodotti senza puntare tutto sull’interazione diretta col cliente.
Dopo aver valutato queste e altre caratteristiche (capacità di organizzare il lavoro, capacità di negoziazione, capacità gestionale e burocratica, stato di salute, diplomazia, pazienza, ecc.) ho deciso di aprire il negozio a Voghera, in provincia di Pavia, città nella quale vivevo. Nell’ottobre del 1997 apriva così i battenti il negozio “Piazza Affari”.

A questo punto occorreva scegliere l’impostazione da dare alla mia attività: il tipo di prodotti venduti, il pubblico a cui rivolgersi, la valutazione della concorrenza.

ll rapporto con il cliente

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Trentanovesima puntata

“Non vendiamo un prodotto, ma un’idea” (M. Ascarelli De Giacomi, “Psicologia e Tecnica della Vendita”, Franco Angeli Editore,1969)

Vendere non significa soltanto prendere la merce dagli scaffali e mostrarla al cliente ripetendo un certo numero di frasi imparate a memoria, non è solo il rispondere alle domande di chi abbiamo davanti, cercare la taglia e il colore desiderato, preparare la confezione e accompagnarlo alle casse. Chi nella vendita vede soltanto questi aspetti materiali non è un vero venditore. La vendita è innanzitutto un lavoro intellettuale e solo in parte un lavoro manuale: vendere significa convincere il cliente. Si può convincerlo ad arrivare fino al punto vendita, grazie alla pubblicità ed alle promozioni; si può convincerlo ad entrare, grazie all’allestimento delle vetrine, all’insegna e ad un ingresso accogliente; si può infine convincerlo ad esprimere desideri inconsci, o a farne scaturire di nuovi, per poi soddisfali con gli articoli proposti. Nel settore moda questo è ancora più vero in quanto molto spesso non si compiono acquisti per stretta necessità, ma per soddisfare esigenze più o meno voluttuarie, quindi la componente umana risulta fondamentale.

Quest’ultima parte spetta in gran parte al venditore. È un compito difficile, specialmente in un negozio autonomo, dove il rapporto con il cliente è più diretto, personale e intimo. L’addetto alla vendita non lavora sul ferro, sulla pietra, sul legno, sulla stoffa, ma sulla personalità umana del cliente e il suo strumento principale è la parola, che deve essere sempre guidata da capacità, intuito ed intelligenza.

Il cliente-tipo di un negozio tradizionale ha esigenze diverse da quello che si rivolge ad un centro commerciale, ad un negozio di una catena o ad un outlet. In un negozio il cliente cerca degli aspetti che nelle altre formule distributive mancano.

Essenzialmente cerca un rapporto umano con il venditore, da cui scaturiscono altri vantaggi. Quando si istaura questo tipo di rapporto la vendita diventa più piacevole, rapida e proficua. Analizziamo i motivi che spingono un potenziale cliente a rivolgere la propria attenzione ad un negozio tradizionale.

  • La fiducia. Il cliente si aspetta di trovare una controparte esperta della categoria merceologica dei prodotti che vende. In questo modo potrà farsi consigliare, assistere nelle scelte, supportare nella selezione delle proposte. L’opinione preponderante è quella che assegna un alto grado di competenza al dettagliante. Questo perché molto spesso il negozio è gestito direttamente dal titolare o dai familiari, e si suppone che abbiamo intrapreso questa attività per passione, e quindi siano abili intenditori della merce venduta. Queste caratteristiche molto spesso non sono presenti nelle altre tipologie di vendita, dove il personale viene assunto senza richieste di una preparazione specifica, specialmente nel settore abbigliamento e moda.
  • I servizi. Dal rapporto personale con il venditore possono scaturire dei servizi che altrove non vengono effettuati, se non in rari casi. Il venditore potrebbe accordare sconti particolari ai clienti abituali, tenere in sospeso la merce in attesa del pagamento futuro, concedere la merce a credito, accettare resi, ecc.
  • Calore umano. Un aspetto da non sottovalutare è quello che molte persone scelgono il negozio semplicemente per il rapporto umano che si istaura col negoziante. Chi lo fa per chiacchierare, magari solo del più e del meno, chi per avere un valore aggiunto agli acquisti che fa.

Questi elementi sono ovviamente legati tra di loro e partecipano assieme a formare la motivazione per la quale gli acquirenti italiani dirigono le proprie attenzioni alle consuete attività commerciali tradizionali.

Per questi motivi il rapporto col cliente deve essere oggetto di particolari attenzioni. Un abile venditore deve saper ascoltare, capire il cliente, le sue esigenze, proporre nuove soluzioni, invitare all’acquisto, e anche accettare di fare qualche chiacchiera, senza perder tempo ma senza neanche perdere la pazienza.

 “Non vendiamo un prodotto, vendiamo soluzioni” (William “Bill” Henry Gates III, all’epoca CEO di Microsoft, in una conferenza a Milano, 1994) (Io c’ero ! NotaDiFabio)

Il venditore deve essere un buon psicologo, deve conoscere il cliente e convincerlo, comprendendo il comportamento, gli atteggiamenti mentali, le motivazioni. La vendita è anche un incontro tra due menti, fra due intelligenze, fra due esseri sensibili e ragionanti, pertanto è un rapporto estremamente complesso. L’abilità del commerciante sta nell’utilizzo delle sensazioni che farà nascere, con tutti i mezzi possibili: le parole, i toni, le pause, le suggestioni, ma anche dando al cliente la possibilità di utilizzare altri sensi per valutare la merce, facendo in modo che possa toccala, maneggiarla, indossarla.

La psicologia ci insegna anche tanti altri aspetti della vendita, che qui non analizzeremo. Ad esempio occorre valutare anche i differenti tempi di reazione (dovuti ad età, stato di salute, esperienza, cultura, abitudine, ecc.) per adeguare i ritmi di presentazione degli articoli. L’elencazione di tutti gli aspetti psicologici della vendita e le opportune tecniche da utilizzare esulano gli scopi di questa tesi, ma rimarchiamo che spesso sono estremamente importanti.

"Noi vendiamo sogni" (Santo Versace, presidente della Gianni Versace s.p.a., "Io, Gianni, Donatella e la politica", Panorama, 20 marzo 2008)

La comunicazione

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Trentottesima puntata

La comunicazione rappresenta il veicolo che consente di presentare il prodotto al mercato, nel nostro caso quello di attirare il possibile cliente nel punto vendita e trasformarlo in acquirente.
Il primo obiettivo della comunicazione è quindi quello di suscitare nella clientela il desiderio di acquistare i prodotti, attirandone l’attenzione e rendendo piacevole l’atto di acquisto.
Per prima cosa occorre individuare il target della comunicazione. Per ognuno di questi obiettivi occorre predisporre un tipo di comunicazione differente. Per esempio possiamo individuare le seguenti tipologie di clientela:

  • Clienti presenti presso il punto vendita
  • Passanti
  • Clienti abituali
  • Clienti occasionali
  • Clienti potenziali (con le stesse caratteristiche dei clienti acquisiti)
  • Clienti teorici (con qualche caratteristica diversa dai clienti acquisiti)

Ad ognuno di questi gruppi, che ha bisogni differenti, occorre veicolare una differente comunicazione.
Per esempio, ai clienti del primo gruppo la comunicazione è rivolta a facilitare la selezione e la ricerca di prodotti, a rendere più piacevole lo shopping, a evidenziare offerte speciali, ad esplicitare politiche aziendali (servizi offerti, orari di apertura, e così via).
I media preposti a questa attività sono: l’azione diretta del personale, cartelli, pubblicità sul punto vendita, ecc.

I clienti potenziali o teorici possono essere raggiunti con media esterni come la pubblicità, le promozioni, le sponsorizzazioni, ecc. La pubblicità effettuata dai negozi è quasi sempre di tipo informativo, ed utilizza mezzi che hanno una copertura circoscritta ad un’area geografica ristretta, come le inserzioni sui giornali, radio e tv locali, volantinaggi porta a porta, cartellonistica stradale, ecc.

I clienti occasionali o abituali, oltre che dai media esterni possono essere anche raggiunti con la comunicazione diretta, anche sul punto vendita.

Infine i passanti possono essere invogliati da pannelli e pubblicità poste all’esterno del punto vendita o nelle vetrine.


Questo negoziante ha scelto un tono molto diretto nella comunicazione con i possibili clienti di passaggio

Il personale di vendita

Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita

Trentasettesima puntata

Per molti consumatori il negozio si identifica con il personale di vendita con il quale entrano in contatto diretto. Il ruolo del personale sotto il profilo del marketing consiste nell’insieme di attività svolte dai titolari o dagli addetti per aiutare i clienti ad effettuare gli acquisti. È un ruolo particolarmente significativo per i negozi, i cui clienti sono abituati al servizio di assistenza degli addetti alla vendita.

Questi devono far corrispondere i bisogni dei consumatori con l’offerta del negozio, attraverso un’attività molto complessa. Se il processo è ben eseguito, il consumatore è trasformato in acquirente soddisfatto e quindi con buona probabilità in un cliente fedele. Il buon addetto non si deve tuttavia limitare alla vendita distributiva, ossia porgere, illustrare o consegnare ciò che il cliente richiede, ma cercare di vendere anche e soprattutto ciò che non è richiesto, passando così alla vendita creativa, soddisfacendo anche i desideri latenti, o quelli non ancora espressi (M. Silvano, “Successo nella vendita”, Hoepli, 1994)

Per riuscire in questo difficile compito il personale di vendita deve avere un complesso insieme di caratteristiche che riguardano la personalità, l’aspetto e l’intelligenza. Queste qualità possono essere suddivise in elementi esterni ed interni.
I primi sono quegli aspetti che sono percepiti direttamente dal cliente, i secondi fanno parte del "motore" per la vendita che addetto deve possedere.

I principali elementi esterni sono:

  • Aspetto. Deve essere consono all’ambiente di vendita. Un negozio elegante dovrà avere commessi eleganti, che tuttavia stonerebbero in un negozio di articoli sportivi.
  • Simpatia, educazione e gentilezza. Il vecchio detto che "il cliente ha sempre ragione" è ancora validissimo. Può risultare di difficile attuazione e queste caratteristiche sono basilari per il rapporto coi clienti.
  • Sicurezza di sé. Per convincere un potenziale acquirente occorre innanzi tutto che il venditore sia ed appaia determinato.
  • Naturalezza e semplicità. L’artificiosità può essere dannosa. L’azione di vendita deve risultare spontanea.
  • Forma. Il commesso si deve rivolgere agli avventori con una forma adeguata, senza sopraffazione.
  • Stile. Così come l’aspetto, è opportuno che lo stile della vendita sia coerente con il contesto.
  • Fiducia. È necessario conquistare la massima fiducia del cliente.

I fondamentali elementi interni sono:

  • Psicologia. È una dote basilare per capire, assecondare e sviluppare i desideri espressi o latenti del cliente.
  • Pensiero. Per non limitarsi a rispondere banalmente soltanto alle richieste manifeste è richiesto una continua sollecitazione del pensiero.
  • Memoria. Il venditore deve ricordarsi i clienti abituali, i loro gusti e le loro idee; deve ricordarsi gli articoli in negozio e in magazzino; deve ricordarsi le caratteristiche dei prodotti.
  • Immaginazione. Ci si deve immaginare il capo indossato dal cliente, la vestibilità.
  • Fantasia creativa. Si deve suscitare prima l’attenzione e poi l’intenzione all’acquisto attraverso stimoli creati dal linguaggio e dai gesti.
  • Volontà, perseveranza. Non bisogna arrendersi davanti alle prime difficoltà, al rifiuto del cliente, ma insistere senza ostinazione.
  • Prontezza. Il buon venditore deve essere risoluto nelle sue azioni.
  • Organizzazione. Prima dell’atto di vendita occorre una minuziosa conoscenza e preparazione.
  • Capacità di osservare / ascoltare. Mettersi nei panni di chi si ha di fronte aiuta molto a comprendere la situazione e affrontarla in modo adeguato e inoltre mette a proprio agio il cliente, che di frequente cerca nel piccolo negozio un rapporto umano più intenso.

Layout

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Trentaseiesima puntata

Il negozio non è un deposito, ma è il prodotto dell’azienda (Raffaele Cercola, “Il Marketing dell’azienda dettagliante moderna”, a cura di L. Sicca, CEDAM, 1990), e quindi è grande l’importanza dello spazio come strumento essenziale per la realizzazione degli obiettivi commerciali. Il layout (disposizione planimetrica degli scaffali e attrezzature e dei posti di lavoro studiata allo scopo di razionalizzare il processo di vendita) è essenziale per la disposizione ottimale degli articoli, sia per mostrare l’assortimento che per favorire acquisti d’impulso.
Il primo passo è quello di predisporre il layout delle attrezzature. La distribuzione dello spazio deve rendere il negozio più attraente e invitante possibile per il consumatore, in modo che possa realizzare acquisti più facilmente e individuare pienamente l’offerta del negozio. Inoltre deve ottimizzare lo spazio per migliorare le performance di produttività e redditività.


Il Layout dei negozi di calzature Bata sono sviluppati con cura, in modo da supportare il cliente nella scelta all’interno del vasto assortimento.

Dopo la disposizione di scaffali e attrezzature, occorre disporre un layout per l’esposizione delle merci, che non può essere lasciata al caso, ma deve seguire opportuni criteri basati sul tipo di merce e sul genere di negozio. Ad esempio le merci più richieste vanno messe più a portata di mano, facendo magari in modo che il cliente sia obbligato a passare davanti ad altri articoli.
Il presupposto è che più merce si vende da sé e meglio è, pertanto deve essere esposta in modo da attirare l’attenzione del cliente, suscitare il suo interesse e suggerirgli l’idea dell’acquisto.
In alcuni casi potrebbe essere utile l’esposizione vicino all’ingresso di offerte speciali, limitate nel tempo; oppure la presenza di articoli a prezzo basso vicino alle casse per stimolare gli acquisti di impulso; o ancora l’esibizione ravvicinata di articoli che potrebbero suggerire un acquisto combinato (camicie e cravatte, pantaloni e cinture, e via elencando)
Non esiste quindi un layout standard, è un compromesso tra l’esigenza del consumatore di trovare subito e senza impedimenti la merce venduta e quella dell’imprenditore di incrementare la redditività.

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