(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Ancora uncorrect, ancora immigrazione

Leggo qui su Repubblica:

Aiuto, sono di sinistra
ma sto diventando razzista

GENTILE Augias, ho 49 anni, vivo a Roma, lavoro al Quirinale, ho studiato, leggo buoni libri (credo e spero), mi interesso di politica, leggo ogni giorno 2 quotidiani, guardo in tv Ballarò e Matrix e voto a sinistra, sono stato candidato municipale per la Lista Roma per Veltroni. Cerco di insegnare alle mie figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, dell’importanza dell’istruzione, delle buone letture e dello studio, l’etica del lavoro e del sacrificio per ottenere qualcosa di duraturo e vero nella vita.
Lotto ogni giorno, al loro fianco, contro la cultura del nulla e dell’apparire, contro i Tronisti e le Veline e i Grandi Fratelli.

Ma questo è un altro discorso e quindi torno subito a me ed alla mia richiesta di aiuto.
A 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non riesco a sopportarlo.

Non c’è stata una molla scatenante, un atto di violenza compiuto verso di me o la mia famiglia o amici, ma un continuo stillicidio di fatti letti, di violenza vista, di sicumera da impunità, di moralità calpestata, di identità violata e violentata, di fatti raccontati da persone sconosciute su un tram o una metropolitana.
Ad una signora anziana che ha tossito (forte e ripetutamente) sul tram la giovane ragazza slava seduta davanti a lei ha detto: "Se sei malata devi scendere, vecchia!!". Alle mie rimostranze sia la ragazza che il suo accompagnatore hanno semplicemente risposto: "Tu che c.. o vuoi, fatti i c.. i tua", proprio così tua, alla romana.

Altro giro sul tram, affollato. Sale una vecchietta, si avvicina ad una ragazza di colore, la più vicina all’entrata e seduta tra altre 2 persone anziane e, gentilmente, le chiede il posto: prima non risponde e poi, all’insistenza dell’anziana biascica un "vaffanc.. vecchia puttana". Il vecchietto seduto si alza per darle il posto: io intervengo per dire che non è giusto, lei è giovane e può benissimo alzarsi per una vecchietta. Quella si alza, mi guarda, dice qualcosa e poi mi sputa la gomma americana che ciancicava: l’ho presa per il colletto e l’ho sbattuta fuori dal tram, alla fermata. Tutti ad applaudire ma io mi sono vergognato come un ladro per la mia reazione ed alla fermata successiva sono sceso.

Lavorando al Quirinale ogni tanto vado a comprare un panino in piazza Fontana di Trevi: ho sventato 2 borseggi da parte delle zingarelle. Ad un turista di Palermo ho fatto recuperare tutto il bottino che gli era stato trafugato e, appena mi accorgo della loro presenza di branco in caccia, avverto la polizia che staziona alla fontana: nessuno si muove perché devono stare vicino alle moto o alle macchine.
Ed allora capisco che Fontana di Trevi è terra di nessuno, tra decine di venditori di pistolette che fanno le bolle di sapone e di quegli aggeggi rumorosissimi che si lanciano in aria e fanno il verso dei grilli mentre le bande imperversano.

Di fronte agli stupri che avvengono, troppo frequentemente, in varie città italiane, mi chiedo: e se io stuprassi una giovane araba alla Mecca o a Casablanca, se venissi preso dalla locale polizia a cosa andrei incontro? E se a Bucarest, in metropolitana, avessi accoltellato un giovane rumeno per una spinta ricevuta, che mi avrebbero fatto le locali autorità? Perché devo essere sempre buono ed accogliente con i nomadi, ahi tasto dolentissimo e pericolosissimo, quando questi rubano, si ubriacano, violano la mia casa e la mia intimità, quando rovistano nei cassonetti e buttano tutto fuori, quando mendicano con cattiveria e violenza, quando bastonano le immigrate che non vogliono prostituirsi, quando sbattono i bambini in strada o mandano i figli a scuola con i pidocchi?

Perché se chiedo l’espulsione immediata dei clandestini violenti e ladri e meretrici e protettori di meretrici vengo immediatamente accostato a Eichmann?
Perché lo schieramento politico che mi rappresenta, se io chiedo certezza delle pene e della detenzione, mi risponde con Mastella che nomina direttore generale del Ministero di Grazia e Giustizia quel Nuvoli Gianpaolo che, secoli fa ormai, ai tempi di Mani Pulite, ebbe a dire di Borrelli "se il procuratore fosse condotto alla forca sarei in prima fila per assistere all’esecuzione"?

Perché quando Fini, allora competitor di Rutelli a sindaco di Roma, propose di spostare i campi nomadi fuori dal Gra di Roma, tutti noi della sinistra (quindi me incluso ed in prima fila) gridammo "tutti i fascisti fuori dal raccordo" ed ora, a più di quindici anni di distanza, prevale l’idea del mio sindaco e del prefetto di compiere in tutta fretta questa operazione smentendo così, sostanzialmente, tutta la politica fin qui seguita dell’integrazione e dell’accoglienza solidale?

Perché devo sopportare lo strazio umano di vedere per le strade, di giorno e di notte, giovanissime prostitute schiave senza che a qualcuno, di destra prima e di sinistra ora, sia venuto in mente di vietare la prostituzione in strada cambiando semplicemente la legge in vigore? Però se i cittadini delle zone interessate scendono in strada e reclamano, con le ronde e con le fiaccole, un minimo di decenza ed anche di lotta alla schiavitù ecco subito le anime belle gridare al fascismo ed al ritorno delle camicie brune.

Sta crescendo ogni giorno di più l’intolleranza, sta montando l’odio per lo straniero e nessuno fa nulla per spegnere queste pericolosissime braci. Centinaia di persone come me, che hanno sempre litigato con tutti per difendere chi entra in questo Paese, che si sono battute come leoni contro l’intolleranza e la violenza xenofoba, sono stremate e ridotte, ormai, alla schizofrenia. Io voglio spegnere quelle braci prima che si trasformino in un incendio di rancori e violenza, non voglio lasciare più il monopolio della legalità alla destra e quindi non capisco, perché dare il voto locale agli immigrati, dopo 5 anni di permanenza nel nostro Paese, quando in nessun grande Paese dell’Europa Occidentale questo avviene.

So benissimo, come tutti gli italiani, che in Italia, ogni giorno, mille e più reati, anche odiosissimi, vengono compiuti da miei connazionali, nessuno crede veramente che la sicurezza venga messa a repentaglio solo dagli immigrati, non voglio e mi opporrò con tutte le mie forze al dagli allo straniero. Ma voglio legalità, voglio la cultura della legalità in questo benedetto Paese, voglio che chi sbaglia paghi.
Claudio Poverini

Se Nicolas Sarkozy ha conquistato l’Eliseo è anche per come ha affrontato prima da ministro dell’Interno, poi durante la campagna elettorale il tema dell’immigrazione. Con durezza, diciamolo. Senza negare, almeno a parole, una tradizione d’accoglienza che si vuole generosa, ma senza risparmiarsi l’elenco dettagliato di tutti i casi in cui i nuovi arrivati saranno immediatamente espulsi. La sua è stata una campagna visibilmente di destra appoggiata dai media e dall’industria ma, anche alla luce della lettera
che pubblichiamo (necessariamente tagliata) ciò che dobbiamo chiederci è: sul punto specifico dell’immigrazione dove si collocano oggi i confini tra destra e sinistra?

Ricordo perfettamente gli anni in cui ‘Law and Order’, slogan della destra americana, era stato adottato nelle campagne elettorali fasciste: ‘Legge e Ordine’. Dobbiamo avere il coraggio di dire che non è più di destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale rappresentano un problema grave per l’equità della nostra convivenza. Non è di destra sostenere che l’immigrazione deve essere controllata, o chiedere agli immigrati di farsi carico di una serie di responsabilità civili, ivi compreso (per fare un esempio) l’obbligo di apprendere la lingua nazionale. Non è di destra reclamare una cultura della legalità che valga per tutti.

Al contrario, la cultura della legalità (a ogni livello – qui il discorso sarebbe lungo) è ciò di cui abbiamo più bisogno per evidenti ragioni di giustizia. Non si possono lasciare impegni così delicati alla destra che li assolverebbe a modo suo, con brutalità cieca anche senza arrivare alle cannonate che qualcuno minacciava tempo fa. È la sinistra che deve farsene carico ed è un carico pesante, forse il compito più difficile che oggi debba affrontare. Bisogna cominciare a dirlo con parole forti e chiare, con lucidità di visione, con il coraggio di chi sa innovare, prima che la denuncia del signor Claudio Poverini venga sommersa nel caos di episodi sempre più frequenti di rigetto, di intolleranza. Perché a quel punto la battaglia l’avrebbero persa tutti, gli immigrati e i cittadini.
Corrado Augias


(7 maggio 2007)

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1 Comment

  1. Oggi Veltroni, sindaco di Roma, risponde così:

    Caro direttore, Repubblica ha ospitato ieri in prima pagina la lettera di una persona di sinistra, colta, attenta a quel che avviene nella sua comunità, che insegna alle sue figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, e che al tempo stesso non ne può più dei reati compiuti dagli immigrati (e ovviamente non solo da loro) e chiede sicurezza, pretende legalità, vuole che chi sbaglia paghi. Qualcuno vede in questo una contraddizione? Un uscir fuori dai binari del “politicamente corretto”? Se fosse così questo qualcuno sarebbe a mio avviso fuori strada, o meglio: sarebbe fermo a schemi che il nostro tempo, e la vita vera delle persone, si sono incaricati di superare.

    La legalità non è di destra o di sinistra. La legalità non ha, e non deve avere, colore politico. E’ un diritto fondamentale dei cittadini, e chiunque è al governo di una comunità sa che assicurarne il rispetto è un suo compito, un suo dovere. Soprattutto oggi, perché ogni persona che abbia occhi per vedere e orecchie per sentire percepisce che effettivamente, nella nostra società, le braci dell’insicurezza e della diffidenza verso gli stranieri rischiano di trasformarsi in un incendio di intolleranza e poi di odio, di chiusura e poi di esclusione. Quanto di più assurdo e pericoloso per la convivenza di tutti. E’ il paradosso di un tempo globalizzato: riemergono barriere e conflitti di identità, religiosa o etnica. E’ il rischio che dobbiamo evitare.

    Cosa fare, dunque. Si evitino, intanto, le facili polemiche, i tentativi di cavalcare i problemi per fini di parte, per avere dei piccoli tornaconti dopo aver alimentato le paure dei cittadini. Una volta fatto questo, c’è secondo me un duplice atteggiamento da tenere, e per darne l’idea vorrei portare un esempio concreto. Qualche mese fa ho incontrato i ragazzi di un liceo di Roma, che mi hanno raccontato di atti di teppismo, di furti di motorini, di un clima sempre più pesante. Tutto ad opera di alcuni rom del vicino campo di via Lombroso. In quei ragazzi non ho trovato alcuna forma di razzismo, nelle loro parole non c’era nulla di pregiudiziale: c’era la volontà di vedersi assicurato il diritto di vivere serenamente nel loro quartiere, c’era una richiesta di legalità, alla quale abbiamo risposto concretamente. Con l’assessore competente abbiamo svolto diverse assemblee nel campo, purtroppo senza esito. Le famiglie responsabili di quegli atti sono state quindi allontanate, mentre tutte le altre sono rimaste a vivere in quello che è uno dei tanti villaggi attrezzati nei quali in questi anni abbiamo trasferito i rom che prima vivevano in insediamenti abusivi e non controllati.

    Ecco il duplice atteggiamento: condizioni di vita migliori, scolarizzazione e inserimento lavorativo, in una parola solidarietà, per chi rispetta la legge e le regole di convivenza civile. Fermezza e assoluta severità per chi di queste leggi non si cura e queste regole le infrange.

    Fare così è indispensabile. Pensiamo a cosa sono e a cosa stanno diventando sempre più velocemente le nostre società. Pensiamo all’Italia, dove gli stranieri sono passati dal milione e seicentomila del 2000 ai tre milioni e seicentomila di oggi. Sono due milioni di persone in più, in pochi anni. Sono storie e culture diverse, sono modi diversi di credere e di rapportarsi agli altri. O tutto questo saprà convivere, o si rafforzerà nel rispetto delle differenze un patrimonio comune di regole condivise, oppure i problemi sono destinati a moltiplicarsi.

    Noi, come italiani, sappiamo cosa vuol dire emigrare, cosa vuol dire lasciare la propria terra, la propria casa, in cerca di speranza, di una vita migliore per sé e per i propri figli. L’Italia è stato un paese povero, che dopo la guerra si è risollevato grazie agli aiuti della comunità internazionale. Possibile non si riesca a comprendere che ora spetta a noi fare altrettanto, non solo perché è giusto moralmente, ma perché la prima radicale risposta in tema di immigrazione e di sicurezza è riuscire a fare in modo che dai paesi poveri non si debba più fuggire? Contemporaneamente, con la stessa radicalità si devono governare i flussi di entrata e moltiplicare gli strumenti di integrazione. E con la stessa radicalità bisogna affermare il principio che per chi sceglie di vivere in Italia, non ci sono solo diritti: ci sono i doveri, ci sono le leggi da rispettare. Integrazione e legalità devono sempre convivere.

    Bisogna evitare ogni generalizzazione a danno di rom o immigrati, ricordando sempre che molti dei delitti più efferati sono opera di italiani come noi. Ma è anche tempo, per chi si sente di sinistra, di comprendere che battersi per la legalità significa stare, come è sempre giusto fare, dalla parte dei più deboli. Se c’è un rom che ruba la pensione ad una vecchietta, per poi andarsene in giro in Mercedes, chi è il più debole? E se alcuni immigrati spacciano droga o sfruttano la prostituzione, a danno del ragazzo che distrugge la sua vita, della minorenne buttata in mezzo a una strada dalla quale va tolta, e di tutti gli abitanti di quel quartiere, chi sono i più deboli? Per chi minaccia il diritto alla sicurezza e alla legalità dei cittadini, per chi ruba alla società quel bene prezioso che è la serenità, c’è solo una risposta, ed è la severità e la fermezza con cui pretendere che rispetti la legge e che paghi il giusto prezzo quando questo non accade, quale che sia la sua nazionalità. Allora saremo anche più forti nel momento in cui vogliamo far vivere concretamente parole come solidarietà, accoglienza e integrazione. Allora potremo sperare che quelle braci non si trasformino in un incendio, perché saremo riusciti a spegnerle.

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