Sono stato a Pavia a vedere questa mostra di fotografie di Marcella Milani. Marcella è stata in alcuni alberghi della provincia di Pavia, chiusi ahimè da anni. Alcuni li ha visitati una volta sola, altri più volte, e ogni volta è riuscita a racchiudere una storia nelle sue foto.
Forse avevano ragione quelli che dicevano che la fotografia “ruba” l’anima. Guardando queste foto mi sentivo come Jack Torrence quando guardava le foto dell’Overlook Hotel e riviveva quei momenti. Spero solo di non andare fuori di testa come lui, ecco.
Marcella ha visitato parecchie strutture della mia zona: l’albergo Buscaglia al Passo Penice, l’albergo Normanno e l’albergo Serenella al Passo del Brallo, l’albergo Colletta a Cima Colletta e l’albergo Giovà al Passo del Giovà.
La mostra mi ha lasciato un sacco di sensazioni: nostalgia, malinconia, ha riaperto un pezzo di quel vuoto dentro che, come dice il nostro conterraneo Max Pezzali, “non si chiuderà mai, tanto vale conviverci“.
Il compito di un’artista è proprio quello: di suscitare emozioni, quindi complimenti all’autrice e… visitate la mostra.
Seguendo i consigli della guida “A un passo dalla vetta” di Cristiano Zanardi, ho voluto fare questa passeggiata. Arrivo a Bruggi, in Alta Val Curone (dalle parti di Caldirola, il Curone nasce lì vicino). La giornata non sembra bellissima, ma parcheggio fiducioso a fianco della chiesa e parto.
All’inizio bisogna seguire il sentiero che porta fino alla vetta del Monte Chiappo (che prima o poi farò), ma ad un certo punto occorre deviare sulla sinistra e raggiungere la pineta sopra Bruggi. Durante la salita ci sono degli scorci panoramici gradevoli che mi fanno anche capire che sto prendendo quota. Si oltrepassa una capanna nel bosco e poi un punto di ristoro con tavolo e panchine di legno. Quando sono all’interno della pineta, anche se è un luogo che non ho mai visitato, ho come la sensazione di sentirmi a casa. D’altronde io ci sono cresciuto in una pineta, quindi camminare sulla soffice coltre di aghi e riconoscere il classico sottobosco delle conifere mi regala emozioni. Mi sembra di perdermi in quel luogo.
E infatti mi perdo. Dovrei raggiungere il Monte Garavè, ma sbaglio qualcosa nei vari bivi che incontro, non segnalati. Nel dubbio, di solito cerco di stare a sinistra, in quanto l’anello che dovrei fare è in senso antiorario. Nei giorni scorsi ha piovuto, quindi c’è un bel pantano e ad un certo punto il sentiero che sto seguendo si rivela per quello che è: una semplice traccia lasciata dalle vacche portate al pascolo (si sente lo scampanellio in lontananza). A questo punto, grazie alle mappe sul cellulare, risalgo un po’ a caso e raggiungo il crinale e quindi la “Via del Sale“, ma siccome sono un bastian contrario, vado in direzione opposta a quella canonica, cioè verso Varzi.
Che bello: da qui si vede il Lesima, ma si vede bene anche Cima Colletta e laggiù spicca il Penice. Scendendo raggiungo il Colle della Seppa e ovviamente giro verso Bruggi, quindi a sinistra (a destra si scende in direzione Armà). Detto così sembra che sia quasi arrivato, invece la strada strerrata è molto lunga e arzigogolata. La discesa è comunque piacevole, soprattutto una volta raggiunto il paese. La vista è incantevole: tutti i tetti di Bruggi e laggiù la chiesa. E’ singolare il fatto che sia stata costruita in fondo al paese, di solito è in centro o tuttalpiù in cima. Scendo, trovo la fontana, tante casettine carine ristrutturate bene, una vecchia insegna “commestibili” che mi fa ricordare come anche ogni piccolo paese avesse una volta delle attività.
Chiudo l’anello, mi fermo per una preghiera e una candela, è uscito il sole, la vita è bella, salgo in auto e ritorno a casa. 8,8 km – 1h50min – 507m dislivello.
Attenzione attenzione. Siro ha venduto davvero DI TUTTO nella sua vita: addirittura le nocciole alla Ferrero! La Nutella è anche opera di Siro? Scopriamolo con questo video.
Il 13 settembre 2019 è andato in scena questo spettacolo teatrale al Castello Visconteo di Voghera. E’ stata la replica di “Agilulfo“, messo in scena il 25 maggio al teatro San Rocco. Perchè aveva un altro nome? Perché in realtà è stato in parte modificato, sopratutto nella rappresentazione.
Agilulfo era il saggio di fine anno del primo anno del corso di recitazione (scuola Oltreunpò Teatro) che la nostra coach Michela ci ha preparato per mettere a punto le cose imparate durante l’anno. Eravamo in un teatro, con le quinte, i camerini, il pubblico davanti, ecc. Ne ho parlato qui: https://www.fabiotordi.it/blog/?p=2656
Qui si trattava di recitare nel primo cortile del castello e quindi Michela ha pensato di sfruttare tutto lo spazio, visto che non avevamo un vero e proprio palco. Per questo si stava “tra” il pubblico, intorno, sopra (sulla balconata). E’ stato aggiunto un narratore (un cantore, mi verrebbe da dire, visto che narrava cantando), e parecchie scene sono state modificate in modo che il pubblico, tutto il pubblico, potesse vederle al meglio. E’ stato una specie di teatro interattivo e devo dire che è venuto bene, visti anche i riscontri positivi che abbiamo ottenuto. Quindi grazie all’amministrazione comunale e all’assessore alla cultura del Comune di Voghera che ci ha dato questa possibilità, grazie a tutto lo staff di Oltreunpò che ci ha guidato, ci ha insegnato, ci ha tenuto a bada, ci ha spronato e ha cercato di spremere il meglio da ciascuno di noi, grazie soprattutto ovviamente a Michela e un bravo a noi: Elisa, Moreno, Valerie, Valentina, Francesco, Stefania, Chiara, Simone, Fabio, Paola.
La scorsa estate ho letto questo romanzo, di Giorgio Macellari. E’ un racconto abbastanza breve, di facile lettura. Volendo, si legge in un viaggio in treno. Per essere al suo primo romanzo giallo, l’amico Giorgio ha un bel ritmo, una storia che fila, ambientata a Voghera nel 1989, tra la redazione locale de “La Provincia Pavese“, le partite a biliardo al Cevenini e i dintorni nebbiosi di Campoferro. La storia è ben scritta, non saremo forse davanti a una pietra miliare della letteratura thriller, però vale la pena leggerlo, per ritrovarsi in quell’atmosfera tardo anni’80 di Voghera e cercare di capire, fino all’ultimo, chi è l’assassino.
Sono quasi non-notizie, nascoste tra le pagine della cronaca locale. A me è sempre sembrato ovvio che, se esiste tutta questa smania di accoglienza e soprattutto di sistemazione in hotel, dietro ci deve essere un interesse economico. A me personalmente è stato chiesto di partecipare a un “business” che prevedeva di sistemare gli immigrati da qualche parte, facendomi intuire che era un business redditizio (ovviamente non ho neanche pensato di accettare).
Ricordo anche un’amica straniera in lacrime quando mi raccontava i sacrifici che ha fatto e che continua a fare per lavorare dignitosissimamente in Italia, sacrifici seri e pesanti, mentre chi magari ha meno bisogno sta comodamente in albergo a fare niente.
A volte la ragione sta nel mezzo, magari ha ragione la Rackete a voler salvare vite umane, magari ha ragione chi dice che c’è dietro un sistema criminale (come il pm di questo articolo), magari ci sarebbe da chiedersi a chi giova tutto questo? Stranieri di serie B quasi da sfruttare e stranieri di serie A da mantenere e viziare e poi, quando non rendono più, mollare come bestie al pascolo
QB. Quando chi scrive ricette ritiene che sia inutile quantificare la quantità di un ingrediente, scrive semplicemente “Q.B.” che sta per “quanto basta” e vale a dire “mettine un po’ quanto te ne pare, dipende dai tuoi gusti”, oppure “ma come, non lo sai quanto devi metterne? Su, non scherziamo, lo sanno tutti”. In questo libro però le ricette sono nella testa, e nell’arte, del suo protagonista, lo chef stellato Quinto Botero, che si ritrova coinvolto addirittura in un omicidio, che stravolge e sconvolge la sua vita fatta di lavoro, di cucina, di cucina e di lavoro, tutte cose che lui non riesce a scindere l’una dall’altra.
Questo libro è l’opera prima di Matteo Colombo, neodirettore de “Il Popolo” di Tortona. Non lo devo dire certo io, ma il ragazzo sa scrivere. Tiene incollato il lettore dalla prima all’ultima pagina. Sempre interessante, mai noioso. Molto inserito nella parte (il mondo della cucina e soprattutto dell’alta cucina), avvincente, convincente. Uno stile personale, moderno, senza fronzoli. Una trama avvincente, credibile e ben costruita, una scrittura perfetta.
Annche quest’anno il risultato è stato portato a casa e stavolta con un tempo davvero record: 8 ore e mezza.
Ecco la versione 3D del percorso che abbiamo fatto. Si nota bene il tratto più duro, quello che parte una volta arrivati in fondo alla valle dell’Avagnone e ci si inerpica lungo la costa della “Valle dell’Inferno”