Terza puntata tratta dall’Agenda Vogherese. La prima la trovate cliccando qui, la seconda cliccando qui. Stavolta si parla della settimana di Pasqua.

Al mercoledì santo vigeva l’usanza dâ bat Bârâbân, battere Barabba. Il sagrestano dava un segnale ai ragazzi in chiesa che, armati di verghe, cominciavano a battere con forza sulle panchine. I più dispettosi approfittavano del rumore per inchiodare le lunghe vesti delle donne alle panche.

Al giovedì santo si legavano le campane e per chiamare i fedeli alla funzione religiosa il sagrestano si faceva aiutare dai ragazzi che con lâ bâtârölâ, crepitacolo, e lâ crìârölâ, la raganella, facevano un rumore infernale sostituendosi alle campane.

Al venerdì santo si vestivano i bambini da angeli e da soldati romani: ângiâl e giüdé. Ruolo molto ambito che si traduceva in ândà in ângiâl e ândà in giüdé. In città comparvero per la prima volta nel 1833 e per vederli da vicino in chiesa nacque una rissa che provocò molti arresti.

Al sabato santo si slegavano le campane e ai primi suoni si sparava con pistole e fucili o si facevano esplodere dei mortaretti con l’intenzione di uccidere Barabba. Era uso lavarsi gli occhi per preservarli dalle malattie ritenendo, in quel momento, che l’acqua fosse benedetta.

I contadini riempivano 4 boccette d’acqua benedetta da collocare ai 4 angoli dei loro campi per preservarli dalla grandine.

Nella settimana che precedeva la Pasqua si pulivano le case con particolare cura e si facevano stagnare pentole e tegami. Ai ragazzi veniva regalato âl câvâgnö dl’öv, un minuscolo cestello di pasta che conteneva un uovo sodo. Un piatto tradizionale era la torta d’erbe, tramandato dall’antica Roma col nome di “moretum”.
 

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