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Storia delle dominazioni di Brallo e Pregola

Ai tempi dei tempi dalle nostre parti abitavano già gli uomini (e presumo anche le donne), come dimostrano diversi ritrovamenti in zona di utensili e manufatti in pietra, in bronzo e in ferro. Nel primo millennio avanti Cristo c’erano i Liguri, divisi tra varie tribù. Ad un certo punto (IV secolo a.C.) sono arrivati i Celti, in pianura, che erano sicuramente più evoluti dei Liguri, i quali sicuramente avranno assimilato innovazioni da parte di questi "Galli" . Nel secondo secolo avanti Cristo arrivano i Romani. Questi privilegiavano maggiormente l’agricoltura rispetto alla pastorizia e alla caccia, quindi fondarono numerose città lungo la via Postumia, nella pianura dell’odierno Oltrepo Pavese e dintorni: Libarna (Serravalle Scrivia), Derthona (Tortona), Iria (Voghera), Piacenza.

Caduto l’Impero Romano, la zona cadde sotto il dominio dei Longobardi (572 d.C.), che avevano come capitale Pavia e si erano convertiti al cattolicesimo. Il re Agilulfo ospitò il monaco irlandese Colombano, che poi giunse a Bobbio e vi morì (615), non prima di aver fondato il famoso monastero, che negli anni successivi divenne un vivace centro di vita religiosa e culturale.

Nel frattempo si era formato il Sacro Romano Impero e per esempio Ottone I di Sassonia rilasciava un diploma dove viene citato per la prima volta nella storia l’abitato di Pregola, scrivendo che è assoggettato proprio a Bobbio.

Più tardi comandò Oberto, marchese della Liguria Orientale, progenitore della stirpe dei Malaspina. Iniziarono a chiamarsi così a partire dal marchese Alberto verso il 1124. Avevano feudi in Lunigiana, in Val trebbia, Valle Staffora e Val Curone. Sia Federico Barbarossa, che Federico II che Carlo IV confermarono ai Malaspina i loro privilegi e i loro possedimenti. Con la divisione del casato tra Spino Fiorito e Spino Secco, i Marchesi di Pregola furono tra i più importanti di quest’ultimo.

Nel frattempo tutta la Lombardia, e quindi anche l’Oltrepo e il Bobbiese, passarono sotto la dominazione del ducato di Milano dei Visconti e degli Sforza. Condividendone le sorti, passò quindi sotto la dominazione francese e poi, nel 1589 con la Pace di Cateau-Cambrésis, sotto quella spagnola.

Ad un certo punto, con il Trattato di Utrecht del 1713 Pregola finisce sotto sotto l’Austria, ma ci rimane poco perchè col trattato di Worms del 1743 si trasferisce finisce sotto casa Savoia (mentre da Pavia in su rimane territorio austriaco). Scusate queste mie imprecisioni: non sono uno storico, solo un dilettante: il primo trattato pose fine alla guerra di successione spagnola, il secondo rimescolò un pochino le carte per aggiustare gli attriti. Il trattato di Aquisgrana ribadì le stesse cose.

A questo punto venne istituita la provincia di Voghera che comprendeva l’Oltrepo Pavese e il Bobbiese, nonchè la parte bassa dell’attuale provincia di Alessandria e un pezzo di Liguria. Per capirci da Busalla a Cantalupo Ligure. Dopo la parentesi di Napoleone, nel 1815 viene istituita la provincia di Bobbio. Da Godiasco in su è tutto il territorio di questa provincia. Ne ho parlato in questo articolo: clicca qui.

La provincia di Bobbio e quella di Voghera nel 1859 sono inglobate nella nuova provincia di Pavia, ma nel 1923 c’è un riassetto e alcuni comuni finiscono nella provincia di Genova (come Fontanigorda e Gorreto), altri nella provincia di Piacenza (come Bobbio, dove ci fu un sollevamento popolare, perchè i bobbiesi non volevano assolutamente esser soggetti a Piacenza)) e altri rimangono in quella di Pavia, come Pregola.

E siamo quindi arrivati ai giorni nostri, Pregola fa parte della Repubblica Italiana e nel 1958 il comune ha cambiato denominazione, aggiungendo il nome del Passo del Brallo a quello di Pregola diventando comune "di Brallo di Pregola"

Ecco un mio articolo sul COMUNE DI PREGOLA
Ed un altro sul cambio del NOME DEL COMUNE

Il comune di Pregola nel 1859

Tratto da
"Monografia di Bobbio ovvero Cenni Storici statistici, topografici ed economici"
di Daniele Bertacchi. Pinerolo, 1859

Egli era un medico veterinario militare, nato a Bobbio, che scrisse questa monografia quando aveva all’incirca 40 anni (8 lustri, dice lui) dopo che si era allontanato dal paese natio da più di 15 anni e dopo esser diventato bibliotecario presso la Scuola Militare di Cavalleria.

Bobbio era allora la provincia all’estremo confine orientale dello Stato di Sardegna. Confinava con Piacenza (Ducato di Parma), con la provincia di Voghera (a Bagnaria, chiamata "Bagnara"), con la provincia di Chiavari, con quella di Genova, quella di Novi Ligure e quella di Tortona. 
E’ un lavoro molto interessante, quello del Bertacchi, che oltre a una sequenza di numeri e statistiche, inserisce anche annotazioni interessanti. Come la critica che fa alla strada che collega il capoluogo a Varzi, fatta passare a suo parere sulla parte sbagliata del monte Penice, spendendo inutilmente denaro e rendendola così piena di curve e con molte salite che affaticano i cavalli. In questo modo dice che Varzi ha molte più relazioni con Voghera che con Bobbio e "passeranno forse dei secoli prima di poterla soppiantare". In realtà l’alta Valle Staffora non ha mai avuto forti legami col bobbiese (per non dire scarsissimi), tant’è che successivamente ha seguito le sorti di Voghera finendo nella provincia dell‘ex-austriaca città di Pavia.
Altro particolare curioso, citato dall’autore, è che proprio nel 1859, mentre si doveva stampare quel libro, gli austriaci occuparono Bobbio, ma furono prontamente scacciati. Pochi mesi dopo la provincia di Bobbio venne sciolta e fatta confluire per l’appunto nella provincia di Pavia. In seguito, nel 1923, i cuoi comuni furono ripartiti tra le province di Pavia, Piacenza e Genova.

Ecco quali erano i comuni della provincia, con indicato tra parentesi la provincia attuale: Bobbio (PV), Pregola (attualmente il comune è denominato Brallo di Pregola, PV), Romagnese (PV), Corte Brugnatella (PC), Ottone (PC), Cerignale (PC), Zerba (PC), Gorreto (GE), Rovegno (GE), Fontanigorda (GE), Rondanina (GE), Fascia (GE), Varzi (PV), Bagnara (Bagnaria, PV), Sagliano (attualmente frazione di Varzi, PV), Pietra Gavina (Pietragavina, PV), Val di Nizza (PV), Cella di Bobbio (attualmente Cella frazione di Varzi, PV), Santa Margherita di Bobbio (Santa Margherita Staffora, PV), Menconico (PV), Zavattarello (PV), Valverde (PV), Trebecco (frazione di Nibbiano, PC), Ruino (PV), Caminata (PC), Fortunago (PV), Sant’Albano (frazione di Val di Nizza, PV),.

Eccone la descrizione del Comune di Pregola:

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PREGOLA (Pregula)

Giace in una vallata tra i monti Penice, Lesima ed Ebro, nelle valli della Staffora e della Trebbia, all’ovest sud-ovest di Bobbio, da cui dista chil 10,80.

Gli sono annessi l’intiera parrocchia dedicata a S. Innocenzo, una sua succursale dedicata a S. Lorenzo, la parrocchia di Cencerrato sotto l’invocazione di S. Gioanni Battista, una cappellania consacrata a M. V. Assunta, ed un’altra del villaggio di Pratolungo, frazione della parrocchia della Pieve; e finalmente quella di Montarzolo dedita a S. Giacomo apostolo.

In tutte queste chiese nulla havvi di particolare ad osservarsi, e tutta la popolazione del Comune è distribuita nelle tre seguenti parrocchie: S. Agata in Pregola, S. Gioanni Battista in Cencerrato, e S. Innocenzo in Colleri. La chiesa di Pregola è di moderna costruzione e di bel disegno – Diocesi di Bobbio.

Il suolo, quantunque in generale poco fecondo, tuttavia produce frumento, segala, grano turco e legumi. Il monte Lesima è di qualche fertilità pei suoi pascoli.

Le vie comunali sono quelle che mettono a Bobbio, Ottone e Varzi, e si trovano tutte in mediocre stato. Quella che guida alla Cima della Colletta presso il Barostro è chiamata strada di Annibale.

Oltre il fiume Trebbia, che bagna il confine sud-est di questo Comune, scorrono quivi i torrenti Avignone, Montagnola e Staffora. L’Avignone ha origine da una sorgente detta la Fontana dei Tovi sul monte Lago, e, ingrossato da molti rivi di destra e di sinistra, sbocca nella Trebbia vicino a Ponte Organasco, in direzione di maestro a scirocco.

Il Montagnola nasce dalle falde occidentali dell’ora detto monte e della Colletta, e dirigendosi nella Staffora di rimpetto a Cegno.

I pesci di queste acque sono di qualità inferiore, tranne quelli della Trebbia, di cui si è già altrove parlato.

I pregolesi sono di robusta costituzione e di buona indole. Essi fanno commercio dello scarso prodotto del loro bestiame col borgo di Varzi.

Pregola appartenne un tempo come feudo ai Malaspina, e vi esiste tuttora un’antica casa fortilizia tenuta da una superstite famiglia diramata da quei feudatarii.

Pregola e Corte Brugnatella rimasero gli ultimi Comuni di tutta la Provincia a provvedersi di scuola pubblica elementare.

Dipendono da questo Comune le frazioni Barostro, Bocco, Bralello, Brallo, Casone, Cencerrato, Colleri, Corbesasso, Cortevezzo, Feligara, Lama, La Tomba, Lisera, Lomeglii, Pietra natale, Ponti, Pratolungo, Rosaiolo, Selve, Sotto il groppo, Valle di sotto, e Valformosa, le quali frazioni sono sparse tra le valli della Trebbia e della Staffora. 

La popolazione è di 1756 anime divise in 367 famiglie e 413 case. 

I Conti Dal Verme

Spesso quando si parla di via Dal Verme, a Voghera, molti la prendono in giro, storpiandola in "via del verme". In realtà la famiglia Dal Verme è stata molto importante nella storia dell’Italia settentrionale. Tempo fa ho letto un libro, scritto da Bernini e Scrollini, che si intitola appunto "I Conti Dal Verme", che racconta le storie del casato, dalle prime notizie certe fino ai giorni nostri. Senza nulla togliere alle generazioni attuali, la parte più interessante, a mio avviso, si è svolta a partire da Verona nel XII secolo fino a Voghera sul finire del XVI secolo.

Ecco un breve riepilogo dei principali avvenimenti.

Le notizie storiche partono dal 1174 con Nicola “de Vermo o Vermis” a Verona e proseguono col pronipote Pietro, milite di Cangrande Della Scala, decorato nel 1328. Il figlio Luchino partecipò ad una congiura contro Cangrande che tuttavia fallisce. Ai Dal Verme vengono confiscati tutti i beni e banditi dalla città scaligera. Si trasferiscono a Milano, dove i Visconti incaricano subito Luchino di compiti militari, prima a Bologna , poi a Genova e a Parma, infine a Pavia, presa nel 1359.
Proprio nella città sul Ticino si iniziò la costruzione del castello e Luchino se ne servì come base per le campagne militari. Nel frattempo c’era da riconquistare anche l’Oltrepo Pavese, caduto in mani nemiche. Dopo aspre battaglie e movimenti d’armi e di denaro (il principale avversario fu ingaggiato da Pisa e abbandonò la battaglia), nel 1365 Voghera fu viscontea.
Nel frattempo, un anno prima, Luchino era già partito addirittura per Creta e la conquistava per conto dei veneziani. Insomma era uno che non si fermava mai, sempre in giro a combattere, anche se tra una battaglia e un trasferimento trovava il tempo di scrivere al Petrarca, di cui era corrispondente. Un paio di anni più tardi salpava alla volta della Terrasanta, ma durante il viaggio trovò la morte.

Eravamo rimasti alla morte di Luchino. Il figlio Jacopo combattè anch’esso per conto dei Visconti, dai quali venne nominato signore in val Tidone nel 1388 e, negli anni successivi, anche in zone limitrofe. Egli dimorava a Pavia, e servì Gian Galeazzo Visconti sino alla sua morte, per poi trascorrere gli ultimi anni a Venezia.
Il figlio Luigi fu a sua volta un condottiero al soldo di vari signori: Bologna, il Papa, per poi difendere Venezia dai Visconti. Infine passò armi e bagagli proprio al servizio dei Milanesi, che in cambio gli offrirono il feudo di Bobbio, Castel S. Giovanni e Voghera. Proprio nel centro oltrepadano venne ad abitare la moglie Luchina, mentre il marito guerreggiava in giro per la penisola.
L’abitazione scelta era il castello visconteo, ubicato a porta S. Stefano. Era una struttura tipicamente militare fatta costruire dai vogheresi su ordine di Gian Galeazzo Visconti nel 1372. Luchina scelse il maniero come dimora, nonostante non fosse confacente ad un utilizzo civile, ingentilendolo e riadattandolo. Luigi morì nel 1449 e venne sepolto a Voghera nella Collegiata di S.Lorenzo.

Il successore designato, il figlio Pietro, era ancora bambino e quindi fu Luchina a governare Voghera per qualche anno. Pietro fu spesso il lite con gli Sforza e venne anche fatto arrestare un paio di volte. Rimase vedovo e si risposò proprio con una nipote di Ludovico il Moro, ma morì anch’esso giovane. Nel 1485 il Signore di Milano decise allora di incamerare tutti i beni dei Dal Verme, segnando la fine della signoria vermesca su Voghera.

Annibale

Avete presente Annibale? Quella della seconda guerra punica, quello che è venuto in Italia a piedi da Cartagine.

Dunque, Cartagine era dove più o meno adesso c’è Tunisi. I cartaginesi avevano a quei tempi (circa 200/300 anni prima di Cristo) il predominio sul Mar Mediterraneo (in conflitto con la Grecia) quando, ad un tratto, si accorsero che i Romani, dopo aver conquistato la penisola italica, avevano intenzione di mettersi anche a dominare sui mari, e la cosa non gli andava molto a genio.

Allora litigarono, e fu la cosiddetta Prima Guerra Punica (dal nome in latino con il quale venivano chiamati i cartaginesi: Punici, derivato da Phoenici, in riferimento alle origini fenicie del popolo) che vide sconfitti proprio i cartaginesi (nonostante questo bisogna dire che anche Roma subì pesantissime perdite). Allora il generale Amilcare, suo figlio Annibale e suo genero Asdrubale (che fantasia nei nomi, eh?) per distrarsi si trastullarono con la conquista della penisola iberica, dove fondarono Cartagena. Alla morte di Amilcare e Asdrubale, i capo dell’esercito diventò, appunto, Annibale.

Siccome era ancora molto incazzato coi romani, decise di fare una cosa mai vista: prese su baracca e burattini e puntò verso Roma. E fu la Seconda Guerra Punica. Partì da Cartagena a maggio del 218 con circa centomila uomini e 37 elefanti. Roma era lontana e durante il tragitto deve combattere con tante popolazioni e conquistare tante città. Quindi un po’ di uomini li perde sui campi di battaglia e altri li lascia a difendere il terrotorio. Ad agosto passò i Pirenei con la metà dei soldati e sempre 37 elefanti. Nell’attuale Francia trovò dei Galli che gli diedero una mano per combattere il comune nemico, ma nel frattempo i romani vennero a sapere che lui è li e gli andarono incontro.

Annibale non volle lo scontro, perchè il suo scopo era arrivare in Italia e sobillare le popolazioni oppresse a ribellarsi a Roma. Allora allungò il giro, superò le Alpi e piombò nella Pianura Padana. Ma vi rendete conto di cosa è stato capace? Non fu certo una passeggiata, ma un’impresa epica compiuta addirittura d’inverno: chissà che effetto faceva sulle popolazioni che lo vedevano passare!!! Tu sei lì, nella tua bella e tranquilla pianura e ti vedi passare un esercito di mori con… degli elefanti! Pazzesco. Sarebbe un’impresa straordinaria oggi, figuriamoci duemila e passa anni fa!

Una volta arrivato nella penisola italica, seguì il Po e si scontrò la prima volta coi romani dalle parti di Vigevano, presso il Ticino (la prima T). I Romani stavano antipatici a parecchia gente, tra cui i celti, chiamati dalle nostre parti "Galli", che erano stati conquistati da Roma e non vedevano l’ora di disertare e aiutare Annibale. Solo che avevano il braccino corto e non si prodigavano certo nello sfamare l’esercito cartaginese. Allora Annibale "comprò" la grande dispensa romana di Casteggio, e poi si avviò verso Piacenza, dove l’esercito di Scipione si era rifugiato, passando sui monti. La leggenda dice che è passato proprio sul monte Lesima, dalle mie parti. Il toponimo Lesima deriverebbe proprio da una presunta ferita alla mano del condottiero punico: "Lesa Manus". La seconda battaglia fu nei pressi del fiume Trebbia, la seconda T. Gli africani diedero una suonata ai romani, che si ritirarono con le pive nel sacco (si salvarono in 10 mila su 20 mila).


(immagine tratta da Wikimedia:
http://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Percorso_di_invasione_di_Annibale.png?uselang=it)

Annibale scese in terre etrusche puntando verso Roma. Ormai si sentiva la vittoria in tasca, anche se quasi tutti i suoi elefanti erano nel frattempo morti e lui stesso si era ferito gravemente ad un occhio. Quando furono vicino al lago Trasimeno (la terza T) diedero un’altra ripassata all’esercito romano: botte da orbi e ne uccisero un bel po’. A Roma la notizia fece non poca paura, e allora decisero di dare pieni poteri a un mio omonimo Quinto Fabio Massimo. Nel frattempo il nostro Annibale si rese conto che non aveva un esercito attrezzato a porre assedio a Roma, allora cambiò tattica: cercò di convincere le varie popolazioni a ribellarsi a Roma. Si rese ben presto conto che più si avvicinava alla Città Eterna e più trovava popolazioni a lei fedeli. Si recò quindi nel Sud Italia, ma anche qui non ebbe troppa fortuna con i vari popoli. Quando si trovava in Puglia ci fu un’ulteriore battaglia, a Canne, anche questa ampiamente a suo favore. Annibale continuava a vincere, ma il suo esercito, lontanissimo da casa, si assottigliava sempre più. Questo gli permetteva di dominare i territori meridionali, ma non di sferrare l’attacco decisivo all’odiata Roma. Difatti l suo avversario venne appellato come il "Temporeggiatore". Stette lì parecchi anni. Figuratevi che partì dalla Spagna nel 219 a 28 anni e rimase in Italia fino al 203 a 44 anni !!! Dopodichè tornò in patria, dove subì la grande sconfitta nella terza guerra punica da parte di Scipione l’Africano (figlio del già citato Scipione).

La sua vita volse alla fine in modo complicato. Si mise in politica, ma fu ostacolato fortemente, e così scelse l’esilio. Andò a Tiro in Libano, a Efeso in Turchia, a Creta, in Armenia, in Anatolia (ma dove diamine sarà l’Anatolia??), e nuovamente in Turchia dove si uccise per non essere consegnato vivo ai Romani.
Sicuramente fu un condottiero eccezionale, uno dei più grandi della storia.

Altre info…

…continua da ieri la storia della chiesa di Pregola.

Il campanile. Il campanile attualea torre  fu costruito nel 1934 per sostituire il vecchio campanile "a vela".

Il cimitero. Il primo cimitero era vicino alla chiesa, sul cocuzzolo del monte. Alla fine del 1600 gvenne costruito un nuovo cimitero vicino alla chiesa, ma nel XIX secolo ne fu costruito un altro, quello tuttora in funzione, lontano dal centro abitato.

Sempre tratto dallo stesso libro un piccolo paragrafo dedicato alla chiesa di Brallo:

Chiesa succursale di Brallo. Brallo, diventato capoluogo di comune nella prima metà del XX secolo si trovava sprovvisto di un seppur minimo luogo di culto. Forse influì il fatto che lo stesso paese era ed è diviso fra due parrocchie: la parte ad est dipende dalla parrocchia di Colleri, quella ad ovest è sotto la giurisdizione di quella di Pregola.
Il richiamo turistico che ebbe il territorio dopo la costruzione della strada intervalliva, il benessere che si stava sviluppando dopo la guerra e l’aumento delle auto private che favorì gli spostamenti famigliari, suggerì al parroco don Luciano Faravelli di far costruire la chiesa a Brallo.
Fu costituito un comitato promotore che affiancò il parroco nell’espletare le pratiche burocratiche e per la ricerca dei fondi necessari, composto da Carlo Bottiroli, Angelo Cavanna, Lino Gualdana, Pietro Ravetta e Siro Tordi. Per la progettazione fu scelto l’architetto Enrico Decorato di Milano, il quale presentò una proposta per una chiesa moderna in stile alpino. I lavori iniziarono le 1961, la chiesa fu ultimata nel 1965 e nel 1969 fu benedetto e consacrato l’altare.
 

(notadiFabio: per altre info su questa chiesa clicca qui)

Chiesa di Sant'Agata di Pregola

Fiorenzo Debattisti ha raccolto in un bel volumetto, intitolato "Nascita di Pregola e dell’antica chiesa di Sant’Agata" le sue ricerche sulla vecchia chiesa di Pregola. Queste ricerche hanno portato alla luce alcune interessanti storie della nostra parrocchia. Eccone alcune.

La chiesa è stata costruita dai monaci del monastero di S. Colombano di Bobbio, fondato dal santo irlandese nel 614. Già nel 622 il monastero ricevette una cospicua donazione di terreni da parte dei regnanti Longobardi, tra cui il territorio di Pregola. Per trovare citata la chiesa di S.Agata bisogna aspettare  l’anno 862. La chiesetta era sul cucuzzolo della montagna e il paese dovrebbe essere sorto intorno ad essa.I resti di quell’antica struttura sono tuttora visibili sotto alcuni metri dalla vetta in posizione sud-evst. A pochi metri vi si può trovare il fonte battesimale. L’unica mappa che riporta la chiesa risale al 1766, rinvenuta nell’Archivio di Stato di Torino.

Quando i marchesi Malaspina si insediarono a Pregola, costruirono anch’essi il loro castello sulla stessa montagna già occupata dalla chiesa e dal cimitero. Io sono andato tante volte da ragazzino su quella montagnetta, mentre mia mamma sistemava l’orto poco distante dalla Fiat 500 rossa parcheggiata nel prato, e ho sempre creduto che i resti fossero quelli del castello. In realtà, molto probabilmente (visto che non sono rimasti i ruderi), l’antico castello fu costruito dove adesso c’è la parte alta del paese. Un altro fatto non documentato ma verosimile è quello che vede la chiesetta incendiata durante l’assedio e la distruzione del castello da parte di Gian Maria Malaspina (anche se in questo post si dice che era il 1571 e il Malaspina in questione si chiamava Giovanni, invece in questo post è confermato il tutto…). Infatti nel 1576 la Diocesi di Tortona ordina di costruire una nuova chiesa. Ordine che venne disatteso per lunghissimo tempo a causa delle poche risorse economiche del paese.

Nel frattempo era sorto un oratorio, dedicato a S.Rocco, voluto probabilmente dai Malaspina, a poca distanza dalla casaforte fatta costruire copi ruderi del vecchio castello, in posizione più pianeggiante ai piedi della montagna. Verso la fine del XVII secolo questo oratorio fu modificato, ampliato, fino a divenire la nuova chiesa di S.Agata. Pare che i parrochiani non fossero entusiasti di questa soluzione, forse per non oltraggiare la tradizione della vecchia chiesetta, forse per ritrosia verso i marchesi che pretesero dei privilegi in cambio del vecchio oratorio.

La chiesa fu più volte aggiustata e mantenuta, ci furono lavori al tetto e alla sacrestia e, nel 1968, fu demolito l’altare esistente per sostituirlo con uno nuovo rivolto all’assemblea secondo lo spirito della riforma liturgica.

(fine prima parte, domani la seconda)

Ramo dei marchesi Malaspina di Pregola

Tratto (a volte liberamente tratto) da “I Malaspina di Val Staffora”, di Guido Guagnini, 1967

(seconda parte)

Esistono due rami. Un primo ramo va fatto risalire a Carlo Malaspina che sposò nel 1697 Lucrezia, figlia del marchese Giuseppe Malaspina di Godiasco, dal quale ereditò alcune porzioni feudali nonché l’elegante, antico palazzo Malaspina di Godiasco, il cui portale reca scolpite in arenaria la leggenda delle origine malaspiniane. Dall’epoca del matrimonio abitò sempre in Godiasco, ove pure dimorarono i suoi discendenti. Carlo ebbe un solo figlio, in seconde nozze, Corrado. Questi morì in giovane età ed ebbe vari figli: Guglielmo, che trovò morte tragica perendo annegato nello Staffora in piena, Giovanni e Riccardo. Quest’ultimo ebbe come figli Giovan Maria e Guglielmo, celibi, e Vittorio che a sua volta ebbe un solo figlio, Corrado. Come vedete ci sono nomi ricorrenti nella genealogia dei Malaspina. I figli di Corrado morirono in giovanissima età ad eccezione della quartogenita, Maria Teresa, nata nel 1891, che si fece suora ed è tuttora vivente (in realtà, in base alle mie fonti, è morta negli anni ’80 del secolo da poco terminato. Il libro del Guagnini è del 1967).

L’altro ramo della famiglia fu originato dal marchese Giuseppe nel XVII secolo. Giuseppe fu padre di Baldassarre che ebbe a sua volta un figlio, Antonio, che abitava in Pregola nel signorile palazzo della sua famiglia e che era in ottime condizioni finanziarie e che, anche dopo la soppressione dei feudi, aveva conservato ampi possessi fondiari in valle Staffora e in valle Trebbia; possedeva inoltre il bel palazzo di Varzi, ora sede del Municipio.
Il marchese Antonio ebbe due figli: Teresa e Baldassarre, nato nel 1826, che sposò Teresa Muzio di Varzi e che fu padre di Antonio e Rodolfo. Antonio, celibe, morì in Varzi nel 1923. Rodolfo, avvocato, aveva sposato la sua servente ed amante perché fu minacciato dai parenti di lei non volendo regolarizzare la sua posizione, ma non ebbe figli e morì l’anno dopo improvvisamente. Fu l’ultimo maschio dei marchesi Malaspina di Pregola.

Il castello antico di Pregola sorgeva sulla rupe posta all’ingresso del paese e fu distrutto nel 1571. Con in materiali ricavati si costruì l’attuale palazzotto, impropriamente detto castello. Nella sala principale del palazzo cinquecentesco vi è un bel camino scolpito e sopra di esso si vede il grande stemma dei marchesi Malaspina di Pregola che risulta così inquartato: nel I e nel IV di rosso, alla aquila bicipite coronata d’oro sulle due teste; nel II e nel III d’azzurro, allo spino secco, sorgente da una montagna di nero, afferrato da destra dal Leone Bianco rampante in posizione eretta e coronato d’argento. (Purtroppo è andato distrutto)

Pregola assume per lo storico un’importanza eccezionale perché può essere presa come archetipo del costituirsi del paese signorile della valle Staffora. Anticamente il feudo si estendeva molto verso mezzogiorno e comprendeva torri e castelli che le numerose divisioni fra i membri della famiglia ridussero sempre più, finchè cessato di essere marchesato autonomo, nel 1879 fu aggregato di fatto al marchesato di Santa Margherita.

Pregola fu senza dubbio la tappa del primo affacciarsi dei Malaspina sulla valle Staffora, considerata come il solo itinerario rapido per raggiungere le fertili pianure del Po. Pregola fu scelta come sede propizia a guardia del valico, con funzioni di controllo e con diritto di pedaggio, fonte prima della ricchezza del signore.

Ancora Malaspina

Tratto (a volte liberamente tratto) da “I Malaspina di Val Staffora”, di Guido Guagnini, 1967

(prima parte)

In primis c’era la famiglia nobile dei cosiddetti “Obertenghi”, così chiamati dall’illustre capostipite Oberto. Da questa famiglia ne discenderanno altre altrettanto illustri, come quella dei Marchesi di Massa-Parodi, di Massa-Corsica, dei Pallavicino, dei Lupi, dei Cavalcabò, dei Marchesi d’Este e, ultimo ma non ultimo, dei Malaspina. Questi ultimi discendono da uno dei figli di Oberto, vale a dire Oberto Obizzo I. Lui e i suoi discendenti si localizzarono tra gli appennini tra Genova, Tortona e Piacenza, nelle valli del Trebbia e dello Staffora, per tornare più tardi in Lunigiana, estremo lembo della Liguria Orientale, per rivendicare i diritti dei loro avi. Probabilmente questi primi progenitori dei Malaspina fissarono il loro centro nella sicura rocca di Oramala, in alta valle Staffora. Pronipote di Oberto Obizzo fu Alberto, detto “Malaspina”.

Sull’origine di tale soprannome, poi diventato nome ufficiale della casata, sono stati scritti fiumi di inchiostro. C’è chi sostiene addirittura che non fu assegnato ad Alberto, ma che fosse già in uso ai suoi avi. Questi nomignoli non erano certo loro prerogativa, visti i soprannomi Pelavicino (primo nome dei Pallavicino), Ribaldo, Malapresa, Malnipote, Iniquità, dati ai signori di quei tempi, che spesso facevano della rapina il loro mezzo per ottenere denaro dai sudditi e dai viandanti.

Il figlio di Alberto fu Obizzo, grande figura si signore feudale. Fu difensore di Tortona nel 1155, per cui la città gli dedica oggi una piazza, e poi ottenne dall’imperatore Federico Barbarossa un diploma di investitura feudale e assegnazione di territori. Questo importante diploma è la prova che i Malaspina dominavano in Lunigiana (nelle odierne province di Massa Carrara e La Spezia), la valle Staffora da Godiasco a Brallo, al Penice, l’alta val Curone, la val Borbera e alcuni luoghi di pianura nell’Oltrepo Pavese.

Fu nel 1221 che la famiglia si divide in due rami. Corrado sceglie come sede Mulazzo e mantiene lo stemma di famiglia, consistente in uno spino secco. Obizzino sceglie come sede Filattiera e adotta come stemma uno spino fiorito. Sia una discendenza che l’altra ebbero destini molto confusi. A quei tempi non era più uso mantenere intatti i possedimenti che quindi spesso venivano divisi tra i discendenti. Questa è stato uno dei motivi che hanno diminuito la forza della famiglia Malaspina. Quando si tentò di porvi rimedio istituendo le primogeniture fu troppo tardi. E ragione di debolezza e dissolvimento furono anche gli antagonismi, le discordie e le fazioni che tennero spesso divise le famiglie fra di loro e talora anche i membri di una stessa famiglia.

(continua domani)

Lo stemma di Voghera

Tratto da "Voghera nel Cuore", a cura del Comune di Voghera, Assessorato al Turismo, 2004


II Comune di Voghera, secondo la ricostruzione del conte Antonio Cavagna Sangiuliani posteriore al 1871, al tempo della Dieta di Roncaglia (15.12.1154), mostrando fedeltà all’imperatore Federico Barbarossa, assunse a proprio stemma l’aquila imperiale in campo dorato con sbarre bianche e nere e, secondo altre fonti, anche rosse, con l’iscrizione che termina con le parole Signo Sacrati Imperii Durabit Viqueria tempore longo si sciet vivere cauta.
Lo stemma, a forma di scudo, recava nella parte superiore, in campo oro, un’aquila imperiale unicipite poggiante su un attraversamento fasciale costituito da tre bande nere e tre bianche fra loro alternate, occupante la parte centrale, mentre la parte inferiore è costituita da campo rosso.
Al di sopra dello stemma campeggiava una corona turrita a cinque torri uguali, significante la presenza di fortificazioni. Nel linguaggio araldico le bande nere rappresentano la fazione ghibellina, quelle bianche, la fazione guelfa; l’aquila imperiale poggia sulla pace delle fazioni della comunità (il campo rosso).
Con decreto dato in Milano il 19 gennaio 1608 da Filippo III di Spagna, la Contea di Voghera venne elevata a Marchesato e infeudata a Don Petrus Enriquez Azevedo, conte di Fuentes, come risulta dal diploma originale conservato nell’archivio di Stato di Milano.
Il marchese di Fuentes aggiornò lo stemma di Voghera dandogli forma ovale, inquadrandolo in una cornice barocca, sormontata da una corona marchionale a tre gigli intercalati da due punte argentate, mentre nei due fori inferiori erano incastonati alternativamente rubini, perle e smeraldi.
Negli anni ’30 del XX secolo lo stemma fu riconosciuto dalla Consulta araldica in forma di scudo, mantenendo l’aquila imperiale in capo oro, sormontata dal fascio littorio poggiante su fasce convesse alternate nere ed argentee con sottostante campo inferiore rosso e la corona marchionale, sovrastante. Sotto lo scudo figurava un nastro azzurro con l’iscrizione Signo Sacrati Imperii durabit Viqueria e un ramo di alloro intrecciato con uno di quercia, legati, al centro, con nastro rosso.
Con l’avvento della Repubblica Italiana, viene tolto il fascio littorio.

Malaspina

Avevo scritto anche qui che vi avrei raccontato un po’ la storia dei Malaspina. Quello che scriverò è essenzialmente tratto dallo splendido libro "I Malaspina" di Giorgio Fiori.

Dunque, per prima cosa: da dove vengono i Malaspina? Diciamo subito che provengono da una delle più grandi famiglie feudali del medioevo, gli Obertenghi.  Questi nel corso della storia si divisero dando vita a numerose dinastie, tra cui gli Estensi, i Pallavicino e, appunto i Malaspina. Il primo ad avere questo soprannome fu un tal Alberto, circa nel XII secolo. Il perchè (e anche il percome) lo avessero chiamato così resta un mistero… forsè perchè non era proprio di animo buono e gentile, ecco ! A quel tempo la sua stirpe aveva in mano due territori ben distinti: quello in Lunigiana e quello più al nord nelle valli Trebbia, Aveto, Staffora e Bormida. Un personaggio molto importante fu Obizzo, figlio di Alberto, che passò allegramente più volte da guelfo a ghibellino, aiutando sia il Barbarossa che la Lega Lombarda. I figli e nipoti di questo, Corrado e Obizzino, ebbero invece numerosi problemi con Piacenza, sia a causa di guerriglie che soprattutto di problemi finanziari (dovevano gestire un territorio troppo grande e sterile). Per far fronte a questa situazione divisero i possedimenti: a Corrado (capostipite della linea dello Spino Secco) andò la maggior parte della Lunigiana, la val d’Aveto, Trebbia e Borbera, mentre ad Obizzino (linea dello Spino Fiorito) la rimanente parte della Lunigiana , la Valle Staffora e Curone.

Qui incominciò l’ulteriore suddivisione dei possessi, che minarono la potenza politica ed economica della famiglia. Al figlio di Corrado, Alberto (che fantasia nei nomi eh?) andò il feudo di Pregola nel 1266.Questo feudo era composto dal territorio alla sinistra del Trebbia, da Torriglia fin quasi a Bobbio. Pregola ne era la capitale e il limite occidentale. Un personaggio degno di nota è il marchese Corradino, che nei primi anni del 1300 riuscì ad occupare Bobbio e fu alleato dei Visconti di Milano. I suoi eredi, per manifesta paura di attacchi da parte dei genovesi, dei piacentini o dei milanesi, si accordarono proprio coi Visconti, a cui donarono ufficialmente tutti i loro possessi, col patto di esserne nominati feudatari.
Malgrado tutte le divisioni i Malaspina conservarono una certa influenza nella politica italiana e si mantennero alleati degli Sforza, i nuovi duchi di Milano.

I Malaspina di Pregola si suddivisero in diversi rami, tra cui quello di gran lunga più importante e che è durato fin quasi ai giorni nostri è il ramo, appunto, di Pregola. Ebbe come capostipite Azzo figlio di Corradino, che a sua volta ebbe un figlio sempre di nome Azzo. Siamo circa nel sedicesimo secolo. Nel 1541 Oliviero Malaspina, figlio di Azzo, ricevette la conferma dell’investitura imperiale per il suo feudo,  e successivamente venne assassinato da altri Malaspina. Suo figlio Gian Maria (finalmente un nome diverso!!!) tentò nel 1570 di occupare con la forza il castello di Pregola, di cui era condomino, ma che allora era tenuto da altri suoi parenti. Il colpo non gli riuscì e, per vendicarsi, devastò e incendiò per rappresaglia Zerba e Belnome, bruciando persone e rubando il bestiame. L’anno successivo gli vennero confiscati i beni e Gian Maria nel 1575 pose nuovamente l’assedio al castello di Pregola ma, non essendogli riuscito di averlo a patti, lo incendiò distruggendolo completamente.

A Pregola fu costruito un palazzo, probabilmente alla fine del ‘500, che venne sempre denominato "castello", in quanto residenza dei marchesi, ma che più propriamente era una casaforte. Rimase residenza per lungo tempo e appartenne al ramo della famiglia fino alla sua estinzione.

L’ultimo feudatario di Pregola fu Baldassarre, dato che nel 1797 l’invasione francese pose fine ai feudi imperiali che furono annessi prima alla Repubblica Ligure, poi alla Francia e infine, in seguito alla caduta di Napoleone, al Regno di Sardegna. La fine del feudalesimo non provocò veri danni finanziari ai signori di Pregola, che già nel ‘700 avevano accumulato anche un vasto patrimonio fondiario, sia in Valle Staffora che in Val Trebbia. Antonio, figlio di Baldassarre, fu l’ultimo a risiderere stabilmente a Pregola. Suo figlio e i suoi nipoti abitarono prevalentemente a Varzi. Indovinate come si chiamò suo figlio? Esatto: Baldassarre! Il quale ebbe a sua volta due figli: Antonio (ma va?) e Rodolfo.

Questo Baldassarre morì giovane e i figli furono cresciuti dalla madre, donna energica ed avveduta. Nel 1868 essa acquistò per loro conto il palazzo posto sulla piazza principale di Varzi e che divenne sede principale della famiglia; il palazzo di Pregola era invece utilizzato come villeggiatura estiva. I due giovani orfani Malaspina si diedero a quel tipo di vita ozioso piuttosto diffuso nella società provinciale del tempo, poichè la loro posizione sociale, tanto più invidiabile se paragonata all’indigenza generale della popolazione della montagna, rendeva loro assai più facili i successi di un certo tipo.
Il marchese Antonio, a furia di fare lo sbruffoncello, quasi quasi ci lasciò le penne. Verso il 1873 frequanteva una signorina appartenente ad una delle migliori famiglie di Varzi, Maria Giacobone che, lusingata dalla prospettiva di un grande matrimonio, lasciò cadere altre occasioni. Nel 1879 il Malaspina troncò il rapporto e si trasferì a Roma, dove già abitava il fratello Rodolfo che, laureatosi in legge, si dedicava alla carriera giudiziaria. Per giustificare questa rottura Antonio raccontò in giro delle ragioni assai lesive all’onorabilità della ragazza che ne risentì anche in salute. Il fratello Ambrogio giurò di vendicarla, qualora il Malaspina si fosse azzardato a ricomparire in paese.

Il Malaspina, forse ignorando il seguito della vicenda e le chiacchiere di paese, ritornò in Varzi e, il 29 aprile 1880, davanti al caffè Callegari, posto sulla piazza principale e luogo di ritrovo dei notabili locali, si avvicinò senza darsi pensiero al crocchio ove era anche il Giacobone, che sentendosi con ciò provocato, estrasse una pistola e gli sparò, ma lo colpì solo superficialmente. Subito fermato e disarmato, il Giacobone si costituì spontaneamente; al giudizio che seguì in Voghera, l’opinione pubblica era tutta dalla sua parte; egli venne addirittura assolto e la vicenda finì in tal modo. Sua sorella trovò ugualmente marito, mentre il Malaspina continuò con le sue attività galanti, imitato dal fratello che a Roma mandava avanti una lunga relazione con la sua governante.
L’ormai maturo Antonio si prese a servizio una giovane di Pregola, certa Rhos, che a sua volta nutrì notevoli speranze di essere sposata, ma non ottenne nulla. Mise al mondo un figlio, che il marchese Antonio si guardò bene dal riconoscere anche perchè era mezzo scemo e fisicamente disgraziato; e men che meno ne sposò la madre. Non si sposò mai e morì nel 1923 nel suo palazzo di Varzi.

Suo fratello Rodolfo, rimasto unico erede del patrimonio, passò a sua volta la vita tra le facili avventure, ma infine i congiunti della sua convivente lo obbligarono a regolarizzare con il matrimonio la sua posizione. Naturalmente, per l’età più che matura dei coniugi, non vi era più speranza di prole, ed anche il marchese Rodolfo, che spesso veniva a soggiornare a Varzi, vi morì improvvisamente nel 1924. Il palazzo di Varzi divenne sede del municipio, quello di Pregola fu acquistato da una famiglia di amici e congiunti e vi continuò ad abitare la Rhos e una sua sorella fino alla morte.

(ps posso aggiungere che ne primi anni del 2000 una parte del palazzo, detto castello, è stato animato da centinaia di persone che frequentavano un pub nato nell’ala meno nobile del palazzo e chiamato, appunto "Castello Malaspina")

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