Ricordo quel giorno del luglio 1992, sulla panchina del parco di Brallo, stavamo noi diciottenni a elaborare piani per provarci colle ragazze. Nel tardo pomeriggio venne Alberto, un ragazzone grande, non molto carino, ma che ci sapeva fare: aveva un nonsoché a renderlo simpatico alle donne e anche agli uomini.
Veniva al Brallo solo d’estate, come tanti, ma era amico di tutti. Passavamo le giornate al parco, oppure al Trebbia, in piazza o in giro in bici, e lui mi diceva sempre: “vedrai l’anno prossimo, quando avremo la patente, allora sì che potremo portare in giro le ragazze“.
Quel pomeriggio arrivò di corsa dicendo: NE HANNO AMMAZZATO UN ALTRO. Un altro chi? Chiesi. UN ALTRO MAGISTRATO, DI QUELLI DI PALERMO, HANNO MESSO UN’ALTRA BOMBA. Avevo ancora negli occhi l’esplosione di Capaci, dove avevano fatto saltare in aria l’autostrada per uccidere quel Falcone. E adesso un altro. Un brivido lungo la schiena. I brutti fatti di cronaca nera di una volta li avevo assorbiti come fa un bambino, senza farci troppo caso, ma quelli no: avevo diciott’anni e a quell’età stai per mangiarti il mondo. Ed ecco che qualcuno compie una cosa così grave, così feroce. Pareva di essere in guerra.
Un altro, mi aveva detto Alberto, ne hanno ammazzato un altro.
Passò l’estate, e in primavera un giorno vennero i parenti di Alberto nel mio negozio a Brallo. Mi dissero: forse non l’hai saputo, Alberto aveva la febbre forte, gli hanno diagnosticato una leucemia fulminante e nel giro di una settimana non c’era più.
E io nell’estate 1993 giravo in auto, con la mia bella patente, sperando in un futuro migliore, cercando di capire meglio cosa stesse succedendo nel mondo e ricordando sempre quel ragazzone che stava simpatico a tutti, che però non era con me a girare in auto e invitare le ragazze al Trebbia.