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The Darkest Truth About Love from Hannah Jacobs on Vimeo.
La persona perfetta non esiste. Siamo irrimediabilmente soli. L’amore è un’illusione.
Tutto quello che non rientra nelle altre categorie
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The Darkest Truth About Love from Hannah Jacobs on Vimeo.
La persona perfetta non esiste. Siamo irrimediabilmente soli. L’amore è un’illusione.
Su "Topolino" 3094, oltre alla meravigliosa storia "L’Isola del Tesoro", splendido omaggio al romanzo di Robert Louis Stevenson che mi ha fatto riaffiorare bei ricordi di quando ero giovinetto, c’è un altro graditissimo omaggio. Nientepopodimeno che all’Indagatore dell’Incubo, il misterioso, politically correct, fascinoso ex poliziotto Dylan Dog, creato dal bronese Tiziano Sclavi.
Proprio in questi ultimi mesi Dylan Dog è passato sotto la supervisione di Roberto Recchioni che ne sta modificando un po’ l’ambientazione (non il carattere, o lo stile) per dargli forse quel pizzico di novità che dopo quasi trent’anni (Dyd è uscito nel 1986) forse ci voleva.
Topolino ha omaggiato questo eroe bonelliano con una storia molto bella, "L’alba dei topi invadenti", sulla falsariga del titolo del primo albo Dylaniato "L’alba dei morti viventi" (che a sua volta si rifà sia nel titolo che ai personaggi non-morti ai film del capostipite del genere: Zombi di Romero, che nel titolo originale si chiamava "L’alba dei morti").
ll soggetto della storia è proprio del nuovo curatore, Recchioni, mentre la sceneggiatura di una vecchia conoscenza per i lettori dei Dylan: Tito Faraci.
Topolino nei panni di Dylan Top, Pippo in quelli di… Pippo (Groucho), Basettoni e Manetta sembrano essere identici all’ispettore Bloch e Jenkins, mentre Xabaras è magistralmente interpretato da Macchia Nera, infine Morgana non poteva che essere Minni. La vicenda si svolge a Uninvited, anzichè Undead. L’unica pecca è stata quella di metterlo nello stesso albo di Topolino con un’altra storia così importante che gli ha "rubato" la copertina (anche se una versione di "Topolino" con Dylan Top in copertina è stata realizzata in tiratura limitata per la fiera "Cartoomics")
E’ vero ci sono cose più importanti
Di calciatori e di cantanti
Ma dimmi cosa c’è di meglio
Di una continua sofferenza
Per arrivare alla vittoria
E poi non rompermi i coglioni
per me c’è solo l’Inter
A me che sono innamorato
Non venite a raccontare
Quel che l’Inter deve fare
Per noi niente è mai normale
Né sconfitta né vittoria
Che tanto è sempre la stessa storia
Un’ora e mezza senza fiato
Perché c’è solo l’Inter
C’è solo l’Inter per me
Solo l’Inter
c’è solo l’Inter per me
No, non puoi cambiare la bandiera
E la maglia nerazzurra
Dei campioni del passato
Che poi è la stessa
Di quelli del presente
Io da loro voglio orgoglio
Per la squadra di Milano
Perché c’è solo l’Inter
E mi torna ancora in mente l’Avvocato Prisco
Lui diceva che la serie A è nel nostro DNA
Io non rubo il campionato
Ed in serie B non son mai stato

Football Club Internazionale Milano 1908
Ricordi quando ti avevo detto che non so niente sull’amore? Non era la verità… So molto sull’amore. Vi ho visto! L’ho visto nascere per secoli e secoli. Era l’unica cosa che rendeva il tuo mondo sopportabile. Ah… Tutte quelle guerre, le falsità, il dolore, l’odio. Ero tentata di posare il mio sguardo altrove in eterno. Ma il vedere come l’umanità si arrende all’amore! Si possono setacciare gli angoli più remoti dell’universo senza trovare una cosa altrettanto meravigliosa… Si certo, io so che l’amore è incondizionato. Ma ho imparato che può essere imprevedibile, inaspettato, incontrollabile… insopprimibile! E molto facile da confondere con l’avversione… e quello che cerco di dirti Tristan, è che credo di amarti! Il mio cuore è come se ora il mio petto non lo potesse più contenere. È come se… come se ormai non appartenesse più a me ma fosse tuo. E se tu lo volessi, in cambio io non ti chiederei niente. Niente preziosi, niente doni o manifestazioni di grande devozione… niente, vorrei solo sapere che mi ami. È il tuo cuore in cambio del mio. (Yvaine a Tristan)

Sono le 2153


Nel post che potete leggere cliccando qui avevo parlato di alcune storpiature delle marche. Eccone altre.
"ANDI" invece di "AND1" (leggasi "and one", quello finale è il numero uno)
Sulla stessa strada è "WOLKL" pronunciato "FOLCHI", perché la L finale, scritta in minuscolo, viene scambiata per una I.
Poi c’è "DOLOMITE" che alcuni pronunciano inspiegabilmente "DOLOMITI". Tipo: "Avete una giacca della Dolomiti?"
Oppure la marca sportiva "DUBIN" pronunciata alla francese "DUBEN", quando invece è italianissima e deriva dal nome del fondatore Dunio Bini.
Stessa cosa per "COLMAR" che alcuni si pavoneggiano di chiamare "COLMàR", sostenendo addirittura che il nome derivi dal paese francese omonimo, quando invece, anche in questo caso deriva dal nome del fondatore (italiano, di Monza) Mario Colombo.
Va beh poi non citiamo neanche la "NAPAPIJRI" che ognuno pronuncia come vuole. Poi c’è stato chi diceva "GURU" con l’accento sulla U finale, come fosse francese, o come quello che chiedeva le camicie della "POSCIACCHE", che altro non era che la napoletanizzazione di "PAUL SHARK".
Ma poi ho sentito anche pronunciare "NEW BALANCE" come fosse "NEW BLANCHE", e la marca di occhiali "PICASOL" detta "PICASSO".

Dario Rebolini è mio zio. E’ stato partigiano. Qualche anno fa ha scritto una storia romanzata, intitolata "I tre colonnelli", che poi è stata pubblicata sottoforma di libro.
Deve essere stata un’esperienza che ti sconvolge la vita. Parti militare, ti mandano in Jugoslavia a combattere a 19 anni, età in cui i ragazzi di oggi giocano alla Playstation e si lamentano che la squadra del cuore ha perso. E’ tornato in Italia e dopo l’8 settembre ’43 ha disertato, si è dato alla macchia e poi si è arruolato nella resistenza. Non voglio sindacare su cosa fosse giusto e sbagliato, perché quei momenti, quel periodo storico, quella vita l’ha vissuta lui e non io. Io conosco molte storie che mi ha raccontato mia mamma –sua sorella– sul periodo del fascismo, sui rastrellamenti, sul comportamento dei "regolari" (i "fascisti") e di quelli dei "ribelli" (come venivano definiti allora quelli che poi sono stati chiamati "partigiani").
Penso tuttavia a quello che poteva succedere, anche leggendo questo racconto che, a parte la parte romanzata, racconta tutte storie vere, fatti e avvenimenti realmente accaduti e vissuti in prima persona da Dario. Il governo si butta in una guerra, che già per definizione (come tutte le guerre) è inutile, dannosa, rovinosa, e questa più delle altre. Tanti ragazzi vengono arruolati e mandati a morire per la brama di pochi. Quando mezza Italia viene invasa dagli Alleati a molti è chiaro che la dittatura è prossima alla fine, è solo una questione di tempo. E si organizzano le frange di resistenza. E’ storia abbastanza nota, o perlomeno risaputa. Dove è più facile darsi alla macchia? Naturalmente sui monti, e quindi anche sui nostri monti. Per la varietà del genere umano immagino che ci fosse chi stava da una parte o dall’altra perché ci credeva e chi invece lo faceva per convenienza. Hai una casa, una famiglia, una posizione e rischi tutto per difendere una fantomatica "libertà"? Puoi decidere di farlo, ma sei giustificato se non lo fai. Mio zio scelse di farlo, non so se per convinzione, se per l’incoscienza dei vent’anni, se per non tornare a combattere per un capo "ingiusto", se perché ritenesse di poter realmente contribuire a qualcosa di grande e nobile, se per una presunta convenienza o se una miscela di tutte queste cose. Mia mamma mi diceva che in famiglia questo suo unirsi ai "ribelli" non era stato visto molto di buon occhio, non fosse altro per la paura di ritorsioni sulla famiglia. Era pur sempre un figlio, ma aiutarlo significava rischiare di compromettere gli altri membri: i fratelli, i genitori, ecc. Ma tant’è: Dario aveva vent’anni, non era più un bambino, aveva già vissuto sulla sua pelle la guerra, e come tutti i ventenni era convinto di poter cambiare il mondo. In quei mesi in cui è stato partigiano deve averne viste e vissute di tutti i colori, atti di eroismo e di vigliaccheria, momenti di disperazione e di trionfo. Che cosa orribile la guerra, e ancora più orribile la guerra civile, quella che c’è stata in Italia, nei nostri luoghi, dal ’43 al ’45. L’amico, il parente, il vicino che in tempo di pace conoscevi come amico, potevi trovartelo "dall’altra parte". Magari tu eri un "partigiano" e sparavi, mentre di là c’era un "fascista", e un tempo eravate amici. La guerra tira fuori le brutture e trovarsi con un fucile in mano può portare a gesti orribili. Perchè i caduti della guerra in quel caso non erano gli "stranieri", i "nemici", ma i tuoi connazionali.
E pensate forse che i soldati tedeschi mandati a combattere e morire nelle nostre valli fossero dei cattivoni senza cuore? Indubbiamente qualche gerarca si, senza dubbio, così come qualche gerarca fascista. Ma a morire di solito non sono mai i capi. Bush ha fatto tante guerre stando comodamente seduto nella sua poltrona. Ripeto: che cosa brutta la guerra.
è Natale… ma io non ci sto dentro

IN QUESTO MONDO DI LADRI
Entra una signora, fa un giro e sta per uscire dicendo:
"Ripasso quando ho più tempo"
"Va bene signora, ha visto quante belle cose?"
"Si, si sono già venuta quest’estate a fare un po’ di refurtiva".
Spero intendesse "rifornimento" o_O !
MA CHE TE LO DICO A FARE?
Una signora vuole una tuta sportiva per il marito.
"La volevo di questo modello, ma ha solo questa grigia chiara"
"No signora, ne ho altre, che taglia ha bisogno?"
"La volevo di questo modello, ma lei ha solo questa chiara, la volevo scura"
"No signora, di quel modello ho altri colori. Che taglia le serve?"
"Si, ma io la volevo di questo modello, ma lei non ce l’ha"
"Siiiiii che ce l’ho signoraaaaaaa!!! Se mi dice che taglia ha bisogno le faccio vedere gli altri coloriiiiiiiii"
"XXL"
"Eccole, c’è nero, blu e grigio scuro"
"Va bene, prendo quella grigia chiara" (come volevasi dimostrare)
"D’accordo, poi se per caso non dovesse andare bene può cambiarla"
"Va bene, ma le posso chiedere una cosa? Se non dovesse andare bene posso cambiarla?"
"Si signora, certo" (ma che te lo dico a fare?)
AZZURRO
Entrano marito e moglie. La moglie mi dice:
"Mio marito vuole questo maglione azzurro, ma di un altro colore".
(ma perchè il marito non ce l’ha una voce?)
"Guardi signora, qui ci sono tutti i colori, quale le piace?"
"Azzurro"
"Ma è quello che lei ha in mano"
"No, ma io volevo un azzurro più chiaro, e poi questo è una XL, non vede che mio marito è magro?"
(Signora, non si arrabbi, io non le ho detto niente, ha fatto tutto lei)
TUTA
Poi ci sono quelli, e sono tanti, che chiedono:
"Vorrei una tuta, insomma un completo felpa e pantalone, li avete?"
"Certo, venga, eccoli"
"No, ma io volevo solo il pantalone" (oppure "solo la felpa")
(ma allora perchè mi hai chiesto una tuta?)

Sono stato a cena in questo ristorantino di Pavia. E’ proprio in centro, in Strada Nuova.
E’ piccolino, perlomeno se non ha altre stanze oltre a quella dove abbiamo cenato, ma non credo. Sulle pareti ha appeso vecchi attrezzi, mi ha ricordato un po’ l’altro ristorante qui vicino, il Cupolone.
Come antipasti, dalle nostre parti non puoi sbagliarti: salumi su salumi, niente da dire! Sembrava quasi però di stare all’estero, parlavano tutti inglese. Probabilmente c’era in giro un qualche simposio di professoroni. Infatti, nel tavolo a fianco (e il posto è talmente piccolo che TUTTI I TAVOLI sono "a fianco") ho riconosciuto due miei professori ai tempi di Ingegneria. Non mitici, miticissimi. Non dico i nome per la privacy, dico solo che sono marito e moglie e chi c’era a quei tempi capirà.
Come primo (e unico) piatto ho assaporato gli gnocchi di patate e pancetta con ragù di manzo e vitello tagliato al coltello. Very Good. Saltato il secondo, per dolce ho scelto la mousse di castagne con salsa al bracchetto e biscotto canestrello. Più facile a mangiarsi che a scriversi, delicata e deliziosa.
Vino? Sicuramente era un Bonarda fermo dell’Oltrepo. Purtroppo non ricordo la cantina, non vorrei dire una stronzata, ma mi pare Casarini.
Il posto è carino, è facilissimamente raggiungibile. Vista la carenza dei posti bisogna prenotare. Uno di quei posti che bisogna almeno provare una volta, visto che ci si passa sempre davanti!
Secondo lancio col parapendio. Un po’ più scarsotto del primo, ma tant’è…
Stanno rifacendo gli impianti sciistici del Monte Chiappo, vale a dire la seggiovia che parte da Pian del Poggio. E’ una cosa sicuramente bella, perché dalle nostre parti è la pista più lunga. Però io credo che il solo fatto di rimodernare gli impianti non sia, da solo, sufficiente. Negli anni 70 e 80 dello scorso secolo erano GLI impianti. Chiunque volesse cimentarsi con l’attività sciistica e abitava in Valle Staffora o zone limitrofe, poteva contare sugli impianti al Penice, Casamatti, Brallo, Cima Colletta, Caldirola e, appunto, Pian del Poggio. Erano altri tempi. Si partiva, che so, da Voghera e in circa un’ora si era sulle piste da sci: papà, mamme, figli, nipoti e nonni al seguito per un’allegra scampagnata. La neve cadeva abbondante, gli atleti erano poco esigenti e tutti si divertivano. Oggi ci sono le autostrade che con qualche minuto in più ti portano sulle piste della Val d’Aosta che, con tutto il rispetto, sono un altro pianeta rispetto a quelle dell’appennino pavese. Nel 2015 invece chi se la sentirà di partire da Voghera, affrontare un strada che, se fino a Varzi è inadeguata, dopo diventa addirittura terribile? Io spero tanti, me lo auguro. Spero altresì che scenda tanta neve e che le piste siano tenute bene e battute come si deve. Sono in ogni caso convinto, che per i nostri paesi ci siano almeno un paio di grossi handicap che se rimangono incolmati non permetteranno non solo ai turisti di venirci a trovare, ma renderanno sempre più difficile agli abitanti di rimanere e di lavorare. Il primo l’ho già citato: la strada. Se la ex Statale del Penice era talmente importante da essere considerata, appunto, una statale e andava bene per le auto e i mezzi di trasporto di trenta o più anni fa, ormai è inadatta ai mezzi odierni. E questo va a scapito del turismo, dell’industria, del commercio e del traffico stesso. La strada è sempre più intasata e gli abitanti e sindaci dei paesi che attraversa sono ormai stufi, mentre gli automobilisti sono esasperati. A mio avviso, quando c’erano i soldi (e c’erano ancora tanti abitanti, e qualche industria, e molto turismo, cioè i già citati anni 70 e 80) avrebbero dovuto ipotizzare una strada più bella, più larga e che magari evitasse qualche paese. Perlomeno fino alla "capitale" dell’Alta Valle Staffora: Varzi. Da lì in avanti è "normale" che le strade abbiano più curve, siano un po’ più strette. Beh, magari non messe male come quella che va al Pian del Poggio, ecco.
La seconda cosa è un altro tipo di strada: quella informatica. Se una volta era essenziale che il territorio fosse coperto dalle linee elettriche, dall’acquedotto e dalla fognatura, poi è diventato "normale" avere a disposizione le linee telefoniche. Nel duemilaquattordici è ASSOLUTAMENTE ESSENZIALE avere la copertura internet, quella che qualche anno fa era chiamata "banda larga", che ormai è il minimo indispensabile. Senza, siamo tagliati fuori dal mondo. Perché internet non serve per i giochini, ma per il turismo, e quindi per il commercio, per il lavoro, ecc. Così come una volta gli analfabeti erano quelli che non sapevano scrivere e adesso sono quelli che non sanno usare un computer, così adesso internet è un servizio indispensabile come la corrente elettrica.
La vedo dura. Speriamo bene….
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