Questo è il secondo romanzo dell’amico Valerio Gasio. Adesso dirò le cose che mi sono piaciute e quelle meno.

Cose che mi sono piaciute:

  • Valerio si è documentato su (e ha vissuto in prima persona) la Voghera degli anni ’70 e pertanto è un simpatico amarcord di sensazioni, luoghi, personaggi, di oltre 40 anni fa.
  • Il libro si legge bene, scorrevole. La storia è adeguatamente strutturata, c’è la giusta suspence e le giuste dosi di dico-non-dico. Gradevole anche l’uso dei flashback nel 1928.
  • Per essere comunque l’opera di un non professionista è notevole.

Cose che non mi sono piaciute:

  • Anche se Valerio non fa questo di lavoro, il suo è il secondo romanzo, quindi se per il primo lavoro alcuni errori gli vanno ampiamente perdonati, adesso dovrebbe fare un salto di qualità.
  • Ad esempio: troppi errori di battitura. Troppi. Ce ne sta uno a libro. Due. Ma almeno uno a capitolo no, sono troppi. Valerio: fallo rileggere ben bene a qualcuno oppure affidati ad un editor.
  • Alcune volte ho notato delle discrepanze anche nel racconto stesso. Stefano (che poi è il protagonista, “cucito” su Valerio stesso) ama vedere in tv i duelli tennistici Borg – McEnroe, ma il primo incontro tra i due avverrà solo nel 1978, mentre il racconto è ambientato nel 1975. Poi c’è una cosa che non mi quadra: il libro parla di lettere scritte nel 1928, e Francesco dice che quell’epoca era un bambino. Secondo una comune definizione di “bambino”, potrebbe aver avuto al massimo 12 anni. Quindi 12+47 (dal 1928 al 1975) fa 59 anni. E nel libro è descritto come un vecchietto che fa fatica a fare tutto. A meno che non abbiamo avuto malattie, a 59 anni non può essere così messo male.
  • Infine i dialoghi: troppo “finti” e descrittivi. Molto spesso Valerio utilizza i dialoghi per descrivere la situazione o i pensieri, che invece andrebbero fatti intuire o spiegati al lettore in altro modo. Mi spiego meglio con un esempio, aprendo il libro a caso. Pagina 41, quando l’anziano Francesco si accorge di Stefano nella sua stanza , si gira e lo spaventa, poi dice: “Non volevo spaventarti, scusa. E’ che non ricevo mai visite e quando succede mi accorgo subito se c’è qualcuno. Sei un ragazzo molto giovane, non mi sembra di conoscerti“. La trovo un’esclamazione abbastanza artefatta.

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