(raccolta molto sparsa di pensieri)

fabiotordi

Tag: italiano

La Crusca risponde

Si dice "sdraio" o "sdraia"? E al plurale? Sdrai? Sdraie? E’ più corretto scrivere "buttare la pasta" o "calare la pasta" ? Cocomero o anguria? Zucchina o zucchino?

A tutti questi dubbi risponde l’Accademia della Crusca, la prestigiosa istituzione linguistica italiana, anche su Facebook (www.facebook.com/AccademiaCrusca)

Così ogni giorno potete dipanare i vostri dubbi e imparare qualcosa di nuovo (o avere delle conferme)

Qual è il plurale di "parola chiave": "parolE chiavE" o "parolE chiavI"? A proposito: ricordatevi che "qual è" si scrive senza l’apostrofo, perché non si tratta di un’elisione (che prevede l’apostrofo), ma di troncamento. Infatti la parola "qual" esiste come forma autonoma. 

Una questione di famiglia

Mi arriva un sms di mia sorella che mi dice che deve scrivere una giustificazione per mia nipote (cioè sua figlia) per la scuola e mi chiede se, secondo me, si scrive FAMILIARI oppure FAMIGLIARI.

Io farei così: se dovessi usare l’aggettivo nel senso di "qualcosa che riguarda la famiglia", metterei la GL, e quindi famiGLiari. Se invece intendessi dire "ben noti, abituali", scriverei con la L, quindi famiLiari. A questo punto, dopo aver sparato la mia cazzata del giorno, cerco di informarmi su internet. Non prima di aver suggerito una scappatoia a mia sorella: scrivere "DI FAMIGLIA" !

Tralasciamo yahoo anwser, dove ognuno dice la sua, trovo sul sito del Corriere della Sera una riflessione a firma di Ivana Palomba, che dice che le due espressioni sono altrettanto valide, anche se la prima è forse più usata e più corretta (quella con la L). Fa anche dei riferimenti a vari scrittori che volutamente tralascio perchè, vivaddio, io nel 2012 non voglio certo scrivere come Manzoni. Mi spiego meglio per non sembrare impudente con questi paragoni: ognuno vive, e scrive, nel tempo in cui si trova. Manzoni è uno dei creatori dell’italiano moderno, ma la lingua è una cosa viva e oggi si parla e si scrive in modo diverso. La grammatica non è matematica, per fortuna. (Detto questo: nei Promessi Sposi vengono utilizzate entrambe le forme).

Elisa mi dice invece che le sue maestre le hanno sempre insegnato che si scrive famiLiari, con la L, e che la grafia con la GL sarebbe stata cassata ed evidenziata con una bella matita rossa. Cosa ne dice in proposito l’Accademia della Crusca?

Per prima cosa spiega il perchè delle due forme. Il latino non aveva la G, e la parola FAMIGLIA si scrive con la G perchè deriva dalla lingua parlata, che adotta la versione palatale. FAMILIARE invece è una parola più "dotta" che deriva dalla lingua scritta e discende direttamente dal latino. Nel tempo tuttavia, è apparsa anche la versione più volgare FAMIGLIARE che è comunemente accettata. Pertanto non si può discutere di "giusto" o "sbagliato", ma consiglia comunque di utilizzare la versione "dotta", che fa più figo.

Stessa sorte per le parole FILIALE o FIGLIALE, la prima è la più dotta, cionondimeno (che si può scrivere anche ciò nondimeno) la seconda è stata utilizzata anche da Goldoni, Foscolo, Nievo, D’annunzio… E qui si può chiudere la discussione con un bel: e chi se ne frega ! :-)

Dannificato

La parola del giorno è: DANNIFICATO, parola sicuramente desueta, vetusta e arcaica, sebbene esistente. Meglio usare DANNEGGIATO.

Visto a Varzi – PV

Corsi di italiano

Lo ammetto, l’idea non è mia, me l’hanno suggerita…
Visto che prolificano ancora i vari corsi di lingue: De Agostini, Speak Easy e quant’altro, che insegnano le classiche inglese, francese, tedesco, spagnolo e le nuove russo, cinese, arabo… perchè non fare un bel corso di italiano?

Non sto scherzando: pensate una bella uscita a fascicoli che ci spiega le regole della grammatica, magari in modo divertente: i plurali, i tempi dei verbi (addirittura il congiuntivo, brrr!), la punteggiatura, la grafia delle parole più difficili, i modi di dire, ecc.

Ovviamente deve essere un corso "moderno", non pedante e noioso. In questo modo si otterrebbero due risultati importanti. Il primo è insegnare ai tanti italiani che si sono dimenticati, o che non hanno mai studiato troppo, a scrivere e parlare in italiano corretto. Gli ignorantoni come me ne trarrebbero grande beneficio. Non dovrebbe essere un corso tenuto da qualche sapiente ottuagenario (con tutto rispetto per chi ha la barba bianca, ma mi riferivo a quelli incartapecoriti, si può avere 80 anni all’anagrafe ma avere il cervello proiettato al futuro più di un trentenne limitato), ma da qualche attento osservatore del costume, che sia al contempo colto e preparato. Insomma una bella lezione divertente.

Il secondo obiettivo lo si otterrebbe insegnando per bene la lingua italiana agli stranieri, che per forza di cose non sono in grado di entrare nelle sfumature, seppur parecchi sappiano parlare la lingua di Dante molto meglio di me (ci vuole poco, direte voi). Conoscere la lingua porterebbe loro grandi benefici, non trovate?

Secondo me è una bella idea. Che caspita: vogliamo imparare il cinese se non sappiamo parlare bene neanche la nostra lingua.

Almeno l’italiano sallo ! A me mi sembra che è più meglio che c’hai delle basi, no?

Avvocata nostra

Per una donna si dice "avvocato" o "avvocata" ? Lo so che io mi disturbo il sonno con queste questioni di lana caprina, ma è un pour parler, poi ognuno fa come meglio crede…

Ho trovato spunti interessanti nella pubblicazione "Donne, politica e istituzioni. Percorsi, esperienze e idee" a cura di Maria Antonella Cocchiara, edita da Aracne Editrice. Contiene un saggio di Lucrezia Zingale dal titolo "Donne e linguaggio: la cultura della differenza". L’autrice, citando diverse fonti, compie un viaggio attraverso gli ultimi decenni di discussioni sul genere delle parole, rilevando il fatto che molte parole in uso nelle varie lingue, e in quella italiana nella fattispecie, hanno da sempre avuto solo la forma maschile (lo definisce "linguaggio sessista"). Il perchè e il percome e il comemai bisogna cambiare le cose lo lascio a voi. L’autrice riporta le origini di questa discussione, che nascono dal movimento femminista, quando per esempio consigliò l’abolizione dei termini "Signora / Signorina", ritenuti asimmetrici rispetto al termine "Signor", utilizzato per gli uomini, perchè identificano le donne non rispetto a se stesse, ma in relazione a qualcun altro. Il pensiero femminista ha aperto una riflessione sul fatto che l’uso della lingua riflette differenze legate al sesso / genere.

In Europa gli studi sulla rappresentazione linguistica di uomini e donne e
sul carattere discriminatorio riscontrabile in certi usi della lingua cominciano
a presentare una certa vitalità intorno alla fine degli anni Novanta. Essi partono
dalla considerazione che il principio del maschile come genere dominante,
variamente parametrizzato in ciascuna lingua, è causa alternativamente
di invisibilità e di eccessiva visibilità delle donne: da un lato ne oscura la presenza,
nascondendole sotto una morfologia maschile, e dall’altro, qualora
venga usato il femminile anziché il maschile, ne enfatizza la presenza, così da
farla apparire deviante rispetto alla norma.

Da qui nascono delle riflessioni sulla necessità di un nuovo uso della lingua. Ma come? Prima una premessa:

Il linguaggio è soggetto a modificazioni nel tempo, esso si contamina ed
arricchisce di nuove forme e di nuovi vocaboli.
Se mettiamo a confronto i testi di oggi con quelli di un secolo fa ci accorgiamo
che il linguaggio utilizzato è profondamente diverso: termini in disuso,
arcaici e termini di nuovo conio. Diversi i vocaboli, diverse le forme lessicali
e grammaticali.

e ancora:

Il linguaggio si modifica e risente della storia, della cultura, delle tradizioni
e delle abitudini. […] L’italiano, per esempio, come molte altre lingue distingue sul piano formale
tra genere femminile e genere maschile. La scelta fra l’uno e l’altro genere
grammaticale non è neutra ed ha risentito di una tradizione nella quale,
inevitabilmente, si sono stratificate le convenzioni sociali determinate, a loro
volta, dalle caratteristiche storiche e culturali delle varie epoche.
[…]

Eppure se nuove parole entrano con naturalezza nel linguaggio corrente,
tra la gioventù in particolare, per alcune di esse, per il linguaggio di genere ad
esempio, non si riesce a trovare uno spazio. L’introduzione di termini nuovi,
professionalizzanti per le donne, come dottora, avvocata, ministra, questora,
magistrata etc., viene osteggiata in ogni modo con diverse giustificazioni:
«suona male», «non è corretto», «è inutile, non serve», «vi sono altri vocaboli
sostitutivi», «esistono vocaboli neutri che si riferiscono a uomini e donne»,
«perché forzare la lingua», «che motivo c’è di cambiare se uomini e donne
sono uguali» etc.
In realtà le resistenze si registrano anche tra le stesse donne che spesso
preferiscono definirsi al maschile, forse perché si sentono più titolate e riconosciute
nel mondo degli uomini.

[…]

È necessario oggi, alla luce dei cambiamenti avvenuti nella società e al fine
di costruire la coscienza di tali innovazioni, rinnovare la lingua, introdurre
e utilizzare parole nuove di genere femminile, mutare il significante, cioè la
forma di una parola (sia essa un sostantivo o una forma verbale) usata fino ad
oggi solo al maschile, affinché essa denoti un referente femminile.
Non possono essere invocate ragioni di grammatica, sintassi, morfologia
per giustificare il conservatorismo.
Prima non esisteva la donna magistrata, ministra, avvocata (qualcuna).
Erano ruoli maschili e come tali erano definiti. Non era necessario ripensare a
queste professioni al femminile perché nessuna donna ricopriva la carica o il
ruolo.

Infine, citando SABATINI A. (1987), Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, in EAD., Il sessismo nella lingua italiana con la collaborazione di Marcella Mariani e la partecipazione alla ricerca di Edda Billi, Alda Santangelo, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma:

Nella sezione dedicata a “titoli, cariche, professioni, mestieri” la Sabatini
raccomanda di
1. Evitare di usare il maschile di nomi di mestieri, professioni, cariche, per segnalare
posizioni di prestigio quando il femminile esiste ed è regolarmente usato
solo per lavori gerarchicamente inferiori e tradizionalmente collegato al
“ruolo” femminile (amministratrice unica, segretaria generale) […]
2. Evitare di usare al maschile nomi di cariche che hanno la regolare forma femminile
(senatrice, notaia) […]
3. Evitare di usare al maschile, con articoli e concordanze
maschili, nomi epiceni (la stessa forma ha doppia valenza maschile e
femminile) o di formare un femminile con l’aggiunta del suffisso –essa, o anteponendo
o posponendo il modificatore donne (la parlamentare, la preside, la
comandante, la presidente) […]

4. Evitare di usare al maschile o di femminilizzare
con il suffisso –essa nomi di professione che hanno un regolare femminile
in –a (deputata, avvocata è un participio passato dal latino advocatus, advocata);
vedi la preghiera “Salve Regina”; Eia ergo, advocata nostra […]
(Satta, 1971) […]
5. Evitare di usare al maschile o di femminilizzare con il
suffisso –essa sostantivi riferiti a professioni e cariche il cui femminile può
esser formato senza recar disturbo alla lingua (la ministra, la sindaca) […]
6. Evitare di usare al maschile o con il modificatore “donna” i seguenti nomi
terminanti in –tore (pretora)

In realtà quello che è successo, e quello che io penso, è che la lingua si forma e si trasforma da sola. Nessuna imposizione "dall alto" hai mai fatto presa, perchè alla fine è la lingua comune, qualla usata, quella parlata, che vince. E se è uso comune dire "la preside", è altrettanto comune rivolgersi ad una legale come all’avvocato Taldeitali e non come avvocatessa nè tantomeno avvocata (quest’ultimo, lasciamolo riferito alla Madonna, che va benissimo…)

Italiano male bene

[Legenda: Male –> Bene]
Vogliono la locuzione:

allora –> all’ora (e viceversa; "allora" è soltanto l’avverbio che indica "in quel momento"; "andavo a cento chilometri allora" è sbagliato)
affianco –> a fianco ("affianco" esiste: è voce del verbo "affiancare")
approposito –> a proposito
aldilà –> al di là (a meno che non si tratti del sostantivo "Aldilà", in tal caso attaccato e maiuscolo)
aldisopra –> al di sopra (esiste "al disopra", ma è orribile)
aldisotto –> al di sotto (come sopra, esiste anche il bruttissimo avverbio "disotto")
allincirca –> all’incirca
centrare –> c’entrare (nel caso si indichi "avere a che fare"; il verbo "centrare" significa "fare centro")
daccordo –> d’accordo
daltra parte/daltraparte –> d’altra parte
daltro canto/daltrocanto –> d’altro canto
daltronde –> d’altronde
dora –> d’ora
infondo –> in fondo ("infondo" è voce del verbo "infondere")
ingiro –> in giro
intondo –> in tondo
inquanto –> in quanto
l’altranno/laltranno –> l’altr’anno
l’altroieri/laltroieri –> l’altro ieri/l’altrieri (la seconda è corretta, ma brutta e poco usata)
manmano –> man mano/a mano a mano (anche "mano a mano", ma è una forma scorretta, anche se accettata)
nientaltro –> nient’altro
percui –> per cui
peresempio –> per esempio
perfavore –> per favore
pocanzi –> poc’anzi
quantaltro –> quant’altro
senzaltro –> senz’altro
tralaltro –> tra l’altro
tuttaltro –> tutt’altro
tutt’edue/tuttedue/tutteddue/tutte due –> tutt’e due
tuttoggi –> tutt’oggi
tuttuno –> tutt’uno
viavia –> via via

Non vogliono la locuzione

a bastanza –> abbastanza
a fatto –> affatto (ovvio che si parla dell’avverbio e non di preposizione + sostantivo "fatto"; "a fatto compiuto" è corretto, e non "affatto compiuto")
al di là/Al di là –> Aldilà (nel caso di sostantivo)
all’ora –> allora (qui parliamo dell’avverbio "allora"; viceversa, se voglio la preposizione + sostantivo, per esempio se parlo di "chilometri", allora ci vuole "all’ora" e non "chilometri allora"; così, se dico "all’ora di pranzo" serve la locuzione)
altri menti –> altrimenti (certo, se state parlando di un serial killer che stacca il mento alle vittime, allora ci può stare: "il detective trovò nello sgabuzzino molti altri menti")
a punto –> appunto (nell’espressione "mettere a punto…" la separazione è corretta)
ben sì –> bensì
da vanti/d’avanti –> davanti
da vero –> davvero (a meno che il vostro personaggio non parli romanesco)
di nanzi/d’inanzi –> dinanzi/dinnanzi/d’innanzi
dopo domani –> dopodomani
d’ovunque –> dovunque
e bene –> ebbene (parliamo della congiunzione; se dite "devo affrontare un gigante, e bene che vada mi romperà le ossa", è giusto)
e pure –> eppure (idem; se dite "devo affrontare un gigante, e pure un vampiro!" è giusto)
fa bisogno –> fabbisogno
fin anche –> finanche
fin’ora – finora/fin ora
in dietro –> indietro
in anzi –> innanzi
in fatti –> infatti
in oltre –> inoltre
in torno –> intorno
in vero –> invero
mal famato –> malfamato
mal fidato –> malfidato
né anche –> neanche
né meno –> nemmeno ("né meno" esiste, ma è talmente arcaica da poter essere considerata scorretta; si parla dell’avverbio o congiunzione; in espressioni come "né più né meno", oppure analoghe a "né meno forte, né meno bello di Fabio", serve la locuzione)
né pure –> neppure
non che –> nonché (come congiunzione, ma chiaro che esiste anche l’uso di "non che": "Non che Fabio sia il più bello del mondo, ma è molto affascinante (e modesto)")
o pure –> oppure
o sia –> ossia (come sopra, si parla della congiunzione: "che sia sano o sia pazzo" è corretto, sbagliato "sia sano ossia pazzo")
o vero –> ovvero (nel caso di congiunzione; come sopra: "che sia falso o vero" è corretto, sbagliato "che sia falso ovvero")
per ciò –> perciò (nel caso di congiunzione; come sopra: "per ciò che hai fatto sarai condannato" è invece corretto, e sbagliato "perciò che hai fatto sarai condannato")
per fino –> perfino
per sino –> persino
per tanto –> pertanto (come sopra: "sarai premiato per tanto coraggio" è corretto)
più tosto –> piuttosto (spero capiate da voi che "Fabio è più tosto di quanto sembri" è corretto)
poi che –> poiché
pressa poco/press’a poco –> pressappoco (a meno che non stiate dicendo: "pressa poco la testa di silente, non devono vedersi segni")
pur troppo –> purtroppo
qual cosa –> qualcosa (nel caso di pronome; in altri casi è corretto separare: "Silente ha mentito, la qual cosa è molto grave")
qual ora/qual’ora –> qualora
se bene –> sebbene
sì che –> sicché (parliamo della congiunzione; "sì che andiamo a Roma" è giusto)
sì come –> siccome
sopra tutto –> soprattutto
sotto sopra –> sottosopra
tal mente –> talmente
tal’ora/tal ora –> talora (si parla dell’avverbio; se dico "arriva alla tal ora" è giusto)
tal volta –> talvolta (come sopra)
tutta via –> tuttavia
via vai –> viavai
vice versa –> viceversa
vice [ruolo] –> vice[ruolo] (per esempio "vicepresidente" e non "vice presidente")

Locuzioni o Vocaboli

[Legenda: Bene – Bene]

allato – a lato (il primo è raro)
allorché – allor che/all’or che (la seconda è arcaica, la terza poetica – usate la prima)
almeno – al meno (il secondo è arcaico, ma non errato; evitatelo, comunque)
ancorché – ancor che (la seconda è arcaica, evitatela)
anzitempo – anzi tempo
anzitutto – anzi tutto
benché – ben che (la seconda è arcaica)
casomai – caso mai
chissà – chi sa (se usato come avverbio che introduca dubbio, tendenzialmente è meglio la prima; se dico "chi sa la tabellina del due?" è corretta la separazione; l’espressione analoga "chi lo sa!" va scritta separata)
ciononostante – ciò nonostante (ok, ma scrivetelo separato, eh)
controvoglia – contro voglia
cosicché – così che
dappertutto – da per tutto (ma non dapertutto)
dappoco – da poco
dappresso – da presso (meglio la seconda)
dapprima – da prima (meglio la prima)
dapprincipio – da principio
difronte – di fronte ("difronte" esiste ma è orribile)
disopra – si sopra (idem)
disotto – di sotto (idem)
dopotutto – dopo tutto
finché – fin che (più usata la prima, ma corrette entrambe)
giacché – già che (entrambe piuttosto arcaiche; l’espressione (per lo più colloquiale) "già che ci sei" (o simili), non vuole "giacché"; in altri casi l’uso di "già che" è più raro, meglio forme come "visto che"/"dato che")
invano – in vano (rara la seconda)
malgrado – mal grado (raro il secondo)
manodopera – mano d’opera
nondimeno – non di meno
nonostante – non ostante (molto meglio il primo)
oltremisura – oltre misura
oltremodo – oltre modo
peraltro – per altro
perlomeno – per lo meno
perlopiù – per lo più
quantomeno – quanto meno
quantopiù – quanto più
sennonché/senonché – se non che (con due enne è corretto ma Orribile; più diffusa la prima versione)
sennò – se no
seppure – se pure (più diffusa la prima)
sissignore – sì signore (le espressioni sono entrambe corrette; meglio ancora, "sì, signore"; la prima è più onomatopeica e da usarsi in ambito militare o dove si simuli un tono militareggiante)
suppergiù – su per giù
tantomeno – tanto meno
tantopiù – tanto più
tuttalpiù – tutt’al più (preferire il secondo)
tuttora – tutt’ora (più frequente il primo, ma corretti entrambi)

Composti di "su" e "giù"

laggiù, lassù, quaggiù, laggiù: esiste la forma separata (la giù, la su, qua giù, la giù), ma è obsoleta.
insù, ingiù – in su in giù: utilizzare la forma unita solo in locuzioni precedute da preposizione ("Tizio ha il naso all’insù"); in tutti gli altri casi non è propriamente errata, ma è da preferire la locuzione.

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