Avete un dispositivo con sistema operativo Android ? Per gestirlo dal computer cosa usate? Molto probabilmente un programma scaricato dal sito del produttore del vostro aggeggino e una connessione via cavo (o al limite via bluetooth).
Adesso ci viene in aiuto questo fantastico programmino che non necessita di istallare alcunchè sul pc, quindi permette di gestire il cell/tablet da qualcunque pc con qualunque sistema operativo. Basta una rete wireless, un browser istallato sul pc e un app istallata su Android che si chiama, appunto, Airdroid.
e fin qui è facilissimo, ma adesso sarà ugualmente facile:
5) Airdroid vi indica un indirizzo IP, simile a questo: "192.168.0.102:8888" e una password di 4 caratteri tipo questa: "qr72"
6) Ora sul pc aprite un browser (per essere il più chiaro possibile: Mozilla Firefox oppure Chrome oppure Internet Explorer -ma questo meglio di no, è indicato come "non raccomandato"- oppure Safari oppure…quello che volete)
7) Nella barra degli indirizzi scrivete l’indirizzo IP (nel nostro esempio scrivete "192.168.0.102:8888". Attenzione ai due punti prima di "8888"
8) Vi verrà chiesta una password, inserite quella letta su Android
9) Fatto !
Avete davanti a voi una specie di Desktop virtuale. Potete vedere e scaricare le foto, i filmati, le canzoni e tutti gli altri contenuti del vostro dispositivo. Potete vedere i messaggi, e utilizzare il pc per inviarli. Puoi gestire le applicazioni, i contatti, insomma tutto !
Ovviamente è possibile fare anche l’upload di file sul telefono. Veramente ben fatto. E per giunta gratuito. App da 5 stelle ! Siete a casa di un vosto amico e volete passargli le foto fatte col vostro cell, oppure lui vi deve mandare una nuova suoneria che ha sul computer? Senza istallare nulla, con airdroid è possibile!
Ci sono i vegetariani che non si nutrono di cibo animale. Ci sono quelli che mangiano solo carne, quelli che mangiano solo sassi e poi c’è lei: Miss Margherita, che si nutre di sole pizze! Altro che Superman!
Dove sarà andata stavolta a degustare le sue pietanze preferite? Scopriamolo subito!
Marinelladi Ponte Nizza (PV)
Pizza: sostanziosa e dolci casalinghi Locale: folkloristico con tocco ruspante Personale: autoctono In una parola: CASERECCIA
Che mezzo utilizzerà la misteriosa Miss Margherita per le sue peregrinazioni culinarie? Per me usa la moto:
Da Cecco di Milano (MI)
Pizza: ricca, conforme ai canoni della pizza napoletana Locale: tipico e avvolgente Personale: cordiale e prof In una parola: BELLE EPOQUE
Nettuno di Rapallo (GE)
Pizza: nella norma Locale: ottima posizione Personale: variegato In una parola: MARITTIMO
(Maggiormente consigliato per il pesce)
L’Ancora di Casteggio (PV)
Pizza: farcitura abbondante Locale: pulito e ben tenuto Personale: cordiale In una parola: AMALFITANA
(Nota positiva: bruschetta offerta dalla casa nell’attesa della pizza)
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Vedo che tutto sommato stavolta le recensioni sono abbastanza positive: sarà stata la fame o sono stati bravi i pizzazioli? Un giro in collina, uno nella metropoli, un salto al mare e infine ancora in Oltrepo Pavese. Ottima scelta Miss, arrivederci alla prossima ! E speriamo di non dover aspettare tanto come il cliente qui sotto:
Un’intervista a Siro del Brallo, fatta a febbraio, proprio il giorno del suo compleanno. Nelle prossime videointerviste dobbiamo migliorare l’audio, promesso!
Ne approfitto per segnalarvi che è on-line il nuovo sito che contiene tutte le interviste:
Siro del Brallo, che all’anagrafe è Ciriaco Tordi, nasce a Ponti, piccolissima frazione dell’allora Comune di Pregola (attualmente Comune di Brallo di Pregola) il 5 febbraio 1930.
Già da ragazzino viene iniziato al commercio dal padre, Michele. A quei tempi si comprava e vendeva qualunque cosa: dai generi alimentari, alle stoffe, fino alle sigarette. Il giovane Siro si appassiona di quel lavoro e inizia a viaggiare per i paesi della zona, vendendo i suoi prodotti porta a porta, come si usava allora.
Negli anni ’50 si sposa con Rita, che fa la maestra e vive a Zerba, un paese dall’altra parte del monte Lesima. La coppia di sposini si trasferisce a Brallo, paese che stava proprio allora acquistando importanza per via della strada appena inaugurata, tant’è che ben presto diverrà sede comunale. Siro prova ad aprire un piccolo negozio, ma i tempi non sono ancora maturi: la gente non è abituata a recarsi negli esercizi, il sistema di vendita più utilizzato è ancora quello a domicilio.
Negli anni ’60 il grande salto: l’inaugurazione del negozio nella sede attuale, l’abbandono di altre tipologie di prodotti per il solo settore dell’abbigliamento e dello sport. Nasce “Il Negozio del Risparmio” ed è subito boom di vendite. Il proverbio dice che i flussi di commercio sono come l’acqua, che dal monte scende a valle. Siro invece riesce a stravolgere anche questo assioma e porta dalla pianura fino al Brallo gente a frotte, fiumane, maree, ondate, schiere, caterve, turbe, torme, branchi: gruppi, folle e moltitudini! Tutti si inerpicano per le strade di montagna per raggiungere il negozio di Siro del Brallo.
Negli anni ’70 e ’80 i clienti aumentano vertiginosamente, grazie alla politica dei prezzi più che bassi rispetto ai negozi tradizionali, all’aumento dei praticanti nelle varie discipline sportive e all’affermarsi dei prodotti di marca, che Siro propone a prezzi molto inferiori a quelli esposti nei negozi delle città.
Come nasce questa intuizione? Siro ha un vastissimo giro di conoscenze nel settore e un grandissimo fiuto negli affari. Grazie a queste doti riesce a trovare continuamente articoli di qualità a prezzi ridotti, sia perché i fornitori sanno che lui compra in grandi quantità, sia perché hanno piena fiducia in lui: un uomo d’altri tempi, uno per il quale la parola data è come un impegno firmato col sangue. Siro è abile nelle trattative, dopo una pluridecennale esperienza riesce sempre ad ottenere forti sconti. Inoltre adotta una politica che sostiene “guadagna poco ma vendi tanto”: lui si accontenta di un piccolo margine di guadagno e in questo modo riesce a esaurire grandi quantità di merce in poco tempo.
In quegli anni Siro inizia a diventare un nome che travalica i confini del territorio del pavese montano: i clienti iniziano ad arrivare, grazie solo ed esclusivamente al passaparola, da Voghera, Pavia, Vigevano, da Bobbio, Piacenza, da Tortona, Novi, Alessandria, da Genova, da Milano, da località ancor più lontane. Tutti sanno che salendo al Passo del Brallo c’è un negozio speciale, quello di Siro, pieno zeppo di articoli di qualità a prezzi ottimi.
Nel frattempo si affermano sempre più gli sport invernali, e anche nella zona aprono impianti sciistici: a Cima Colletta, sul Monte Penice, a Casamatti, al Pian del Poggio, a Caldirola e anche a Brallo. I turisti accorrono da tutte le parti e molti si fermano nel negozio di Siro a fare spesa: sci, attacchi, scarponi, giacche, pantaloni, maglioni. Siro Sport offre allo sciatore un’attrezzatura completa che gli fa risparmiare tanti bei soldini: lo sci diventata a portata di tutte le tasche.
Una delle caratteristiche peculiari del negozio è la porta di ingresso chiusa: per entrare occorre suonare il campanello, mentre alla cassa di formano delle lunghe file in attesa di pagare e accaparrarsi l’affare del momento. Non di rado, nell’attesa, la gente approfitta di qualche altra occasione e il sacco di nylon trasparente (un altro “marchio di fabbrica” di Siro) all’uscita diventa sempre più grande. Da Siro passano tutti: dai nonni ai nipoti, intere generazioni di clienti sono arrivati fino a Brallo per respirare aria pura, fare un giro nella natura, pranzare in qualche locanda tipica e soprattutto per fare un fruttuoso giro nel Negozio del Risparmio.
A partire dagli anni ’80 si afferma anche il primo figlio di Siro, che con l’insegna “Ivo del Brallo”, apre negozi a Voghera, Casei Gerola, Cervinia e, ovviamente, a Brallo, seguendo le orme del padre offrendo articoli di marca a prezzi più che vantaggiosi.
Una decina di anni dopo anche la figlia, Cinzia, si butta nel settore aprendo col futuro marito Daniele i negozi “Pianeta Sport” a Brallo e Voghera, proseguendo la tradizione di famiglia.
Infine negli anni 2000 il terzogenito Fabio gestisce per qualche anno “La Favola”, sempre al Passo del Brallo, e inaugura il negozio “Piazza Affari”, a Voghera. Tutti i figli ora gestiscono in modo indipendente i loro negozi, sempre seguiti dall’occhio vigile, amorevole e prodigo di consigli del padre.
Ma Siro, il vecchio leone, siede sempre stabilmente al posto di comando nel suo negozio, con la collaborazione preziosa di donna Rita e l’aiuto di centinaia di commessi che si sono succeduti negli anni, di cui diversi hanno intrapreso a loro volta una via imprenditoriale: alcuni hanno continuato a fare l’addetto alle vendite in altri esercizi, altri gestiscono o sono proprietari di punti vendita, altri ancora sono diventati rappresentanti, o grossisti, c’è stato anche chi ha aperto una catena di negozi di articoli sportivi a livello nazionale.
Eh si perché Siro, oltre che per i suoi figli, è stato un maestro per tante altre persone che hanno in qualche modo hanno avuto a che fare con lui (commessi, clienti, fornitori, amici) e che da lui hanno carpito le tecniche di vendita, le politiche di acquisto, la gran voglia di lavorare e di accontentare sempre il cliente, il sapersi accontentare con umiltà, la felicità di vedere uscire sempre i clienti col sorriso. Il metodo Siro ha avuto tantissimi seguaci lungo gli anni e da sempre il nome Siro, per tutti gli operatori del settore ha sempre voluto dire onestà, lealtà e garanzia. Parole che, purtroppo, indicano qualità sempre più rare.
Il Cavaliere della Repubblica Siro (onorificenza conferitagli negli anni ‘90) ha passato gli ottant’anni, ma per lui è sempre fondamentale ancora oggi riuscire a presentare ai propri clienti prodotti sempre nuovi a prezzi ancor più concorrenziali di una volta. Se volete andarlo a trovare vi aspetta sempre a braccia aperte nel suo negozio, unico, inimitabile, in Via della Pineta a Brallo, dove cercherà di soddisfare esigenze di tutti anche se, come dice lui: non è facile !
Dopo 4 anni questo blog cambia grafica. Devo dire che a me la grafica precedente piaceva molto (e poi negli anni l’avevo personalizzata parecchio), ma per motivi anche un po’ tecnici coi quali non sto a tediarvi, ho deciso di cambiare. Vi dico solo che, visto l’alto numero di modifiche che avevo apportato, non era quasi più compatibile con le nuove versioni di WordPress, il "motore", su cui gira fabiotordipuntoit. Già in versione beta ho ricevuto critiche sul fatto che il nuovo stile fosse troppo facebook-like, ma sinceramente a me la cosa non spiace: è più pulita.
Spero che possa piacere anche ai miei lettori, visto che io scrivo per me stesso, ma anche per voi: è divertente e piacevole incontrare ogni tanto qualche amico o conoscente che mi dice: leggo il tuo blog ogni tanto / spesso / sempre. Negli ultimi tempi mi capita spesso, è un buon segno.
Fatemi sapere se vi piace e datemi suggerimenti, idee, consigli, critiche!!!
Ogni tanto i giornalisti tirano fuori la solita storia delle "quote rosa": in politica, nelle aziende, ecc.
Si discute sul fatto che ci siano poche donne nei posti di potere e si vorrebbe far si che, per legge, alcuni posti siano riservati alle esponenti del gentil sesso.
A me sembra una stupidata.
Addirittura a Milano hanno osservato che ci sono molte più vie intitolate agli uomini che alle donne e si propone di fare una rivoluzione toponomastica.
Io dico: ma veramente le donne sarebbero d’accordo con questo? Non sarebbe umiliante? Io non sono né maschilista né tantomeno femminista. Ritengo che le donne e gli uomini siano diversi, che ognuno svolga un proprio ruolo nella società che non si confonde con l’altro sesso. E questa è una cosa positiva. Ci sono cose "da uomini" e cose "da donne", oggettivamente. Poi ci sono le eccezioni, come è naturale che sia, ma è bello quando una donna è "donna" e un uomo è "uomo".
Intendiamoci: non sto parlando di lavori, professioni, o ruoli: una donna è "donna" anche quando è presidente di un CDA di una grande azienda. Sto parlando di stile, di modo di fare, di essenza.
Per tutto il resto, sono assolutamente convinto che le donne e gli uomini siano assolutissimamente identici, entrambi potenzialmente pronti per posti di comando di qualunque tipo. Ma questi posti vanno conquistati, a mio parere. Le quote rose non servono a niente.
Vi faccio un esempio: nell’ultimo governo Berlusconi c’erano tante ministre. La Gelmini mi sembrava qualificata per fare il ministro, altre magari un po’ meno, quindi avrei preferito che al loro posto ci fosse stato qualcun altro, donna o uomo che fosse. Quindi è inutile "imporre" per legge le donne, sarebbe per giunta molto dequalificante: sarebbero sempre sospettate di essere lì in quanto donne e non in quanto persone valide, e questo non lo trovo per niente giusto.
Un po’ come fossero create delle "riserve indiane", per dare un contentino. Insomma, un’ennesima follia partorita dal "politically correct" (politica che io odio fortemente, se non si fosse ancora capito, e che invece la sinistra ama tanto… chissà poi perchè, pensano forse che il fatto che inizino i loro comizi con "italianE e italianI" li faccia apparire migliori di quanto siano? La solita supponenza del primato morale alquanto campato per aria….)
PV News, l’aggregatore di notizie di Pavia e provincia, si è rinnovato. Abbiamo lavorato per rendere il sistema di ricerca notizie più efficiente e una grafica che mostra le notizie più recenti inserite in una griglia.
In questo modo con un rapido colpo d’occhio potete avere un’idea di cosa è successo nella nostra provincia, in base alle notizie delle testate on line.
A proposito: se avete altre testate locali da suggerire da utilizzare come fonti di notizie scrivete a redazione@pvnews.it
Mi capita di navigare col pc portatile usando una chiavetta TIM. Mi sono chiesto: posso sfruttare la connessione anche con un tablet o con lo smartphone? Se avessi un Mac non ci sarebbe problema, il sistema operativo permette di condividere la connessione. Ma con Windows? La risposta è Connectify, un simpatico software che fa quello cercavo.
Lo si trova qui: www.connectify.me
L’ho istallato, ho scelto un nome per la rete, una password e l’ho avviato: fatto! E adesso quando sono connesso col netbook sono connesso anche col cell :-)
Il mio gatto, anzi la mia micia, si chiama Milli. E’ il diminutivo di Millicent. Ha quasi 4 anni, anche se di preciso non lo so, visto che la sono andata a prendere quando era piccolina, ma nessuno sapeva dirmi con certezza quanto tempo avesse. Dovevo scegliere tra quasi una decina di micetti. Io preferivo una femmina, in quanto i maschietti, per loro natura, sono abituati a "marchiare il territorio" in casa. Si, ci mancava anche questa! Allora preferisco sopportare i miagolii di una micia fuori di testa quando va in calore.
Me ne piaceva una, ma l’ho vista mogia mogia, pareva quasi malaticcia. In quel momento un’altro gattino mi si arrampica con le unghie sui jeans. Lo prendo in braccio e "verifico": è una femminuccia! Allora, ok, è stata lei che ha scelto me, vada per questa pallina di pelo. Almeno è vispa.
Non sapevo ancora cosa mi sarebbe capitato. Non era solo vispa, era un disatro. Non la fermavi neanche a revolverate! Saltava di qua e di la, tirava giù tutto. E’ incredibile quanto un piccolo esserino possa essere tanto dannoso. E’ riuscita anche a rompermi un telefono cellulare e addirittura la tavoletta del water !
Il nome è nato durante una chiacchierata con un amico davanti a una birra. "Millicent", subito abbreviato in Milli. La quasi totalità della gente non ha mai sentito il nome Millicent, ma vi assicuro che è un nome femminile anglosassone. E’ anche il nome di un personaggio dei fumetti Disney.
Col tempo si è notevolmente calmata. Non è una coccolona come la micia che avevo prima, però sa farsi voler bene quando vuole. Magari sono al computer e mi si accoccola sulle ginocchia, ma poi finisce che si mette a giocare col filo del mouse (d’altronde.. è un topo!) e alla fine la "scaccio". Meglio quando guardiamo la tv insieme sul divano. Ma il suo passatempo preferito è giocare alla lotta. Mi stuzzica, fa finta di scappare, poi si ferma e si mette a pancia all’aria con gesto di sfida. In quei casi è abbastanza intelligente da non tirar fuori le unghie, mi da solo delle zampate, ma poi dopo un po’ si stufa e scappa. A volte le piace anche giocare agli "agguati". Si avvicina quatta quatta, anche se lo sa benissimo che la vedo. Allora faccio finta anch’io di nascondermi e quando arriva vicina fa un balzo in aria…e poi scappa a nascondersi di nuovo: mi fa troppo ridere. Come tutti i gatti ama anche giocherellare con i vari oggetti: con le palline, ma anche con qualsiasi altra cosa di piccolo trovi in giro.
Ha una fobia particolare per il cortile di casa mia, le rare volte che l’ho messa lì o anche solo sul balcone era terrorizzata. Non ha per niente paura invece della via davanti a casa. Quando esco a prendere il caffè o per andare al lavoro mi segue lungo la via fino ad un certo punto, poi si accorge di essersi allontanata troppo e si ferma. Quando torno verso casa si accorge di me da lontano, anche se non mi vede. Probabilmente riconosce il passo, oppure mi annusa, fatto sta che esce sulla strada e mi viene incontro, come fosse un cagnolino. Mi fa le feste e mi accompagna verso casa. A volte, per divertimento, mi fermo oppure al contrario allungo il passo, o mi metto a correre. Lei si ferma, o accelera, o si mette ad inseguirmi. Talvolta c’è qualcuno di passaggio che ci guarda e ride: un gatto che si crede un cane!
La camicia è composta da una serie di elementi che ne danno la forma. Questi, combinati fra loro, generano un numero infinito di camicie diverse. La camicia è caratterizzata dal colletto, i polsini, i bottoni, le tasche e altri dettagli che differenziano una camicia dall’altra.
Il colletto è l’anima della camicia; è l’elemento che ne determina la personalità e lo stile. I colli più comuni sono:
Collo italiano: è un collo con apertura larga, con le punte che tendono a fuggire via, è molto formale e perfetto con il doppio petto. Ospita nodi di cravatta importanti. E’ il più conosciuto e il più utilizzato.
Collo francese: è un collo con apertura molto larga. Adatto ad un abbigliamento formale e a nodi di cravatta voluminosi.. Esiste anche la variante detta "mezzo francese" che ha le ali leggermente più chiuse. Pare che i francesi lo chiamino "all’italiana" !
Button Down: colletto nelle cui punte sono tagliate due asole in cui si inseriscono due bottoncini cuciti sul davanti sottostante. E’ un collo comodo e sportivo, perfetto anche per l’informale. Ospota nodi di cravatta anche corposi. Può essere portato anche senza cravatta. Adesso ci sono anche quelli coi bottoni nascosti.
Coreana: colletto piegato che rimane aderente al collo e cucito o attaccato allo scollo, da cui è separato tramite una piega. Veniva utilizzato in passato per camicie lunghe o tuniche.
Cerimonia: detto anche diplomatico è un collo con le punte piegate verso l’esterno. E’ indicato per situazioni in cui è importante l’eleganza.
Il polsino di solito è alto circa 7 cm, deve spuntare di circa un centimetro sotto la manica della giacca. I polsini possono essere ad angolo pieno, angolo smussato e arrotondati. Molti presentano due bottoni per meglio regolare la larghezza.
Per quanto riguarda la vestibilità ci sono varie tipologie di camicie, anche caratterizzati da accorgimenti di tagli particolari (per esempio a fondo quadrato oppure tondo, o fondo posteriore più lungo di quello anteriore).
Principalmente abbiamo due vestibilità: regolare (una vestibilità classica) e slim fit (per una linea più asciutta – esiste anche la variante super slim fit che sta bene solo a quelli decisamente magri)
Manca poco: il 29 febbraio 2012 sarà l’ultimo giorno in cui si potranno cambiare le care vecchie lire alla Banca d’Italia., dpo dieci anni dall’introduzione dell’euro. Se ne avete ancora nei cassetti, nelle tasche di vecchi cappotti, nei materassi del nonno, tiratele fuori e portatele in banca. Ma avrete un’amara sorpresa: il governo Monti, con DL 201/2011, ha fissato la prescrizione dal 7 dicembre 2011. Quindi le vostre lire non valgono più niente. Nulla. Zero. Solo un valore numismatico o affettivo. E pensare a quanto valevano una volta… che bei tempi.
«Per una lira io vendo tutti i sogni miei. Per una lira ci metto sopra pure lei» (Per una lira, Lucio Battisti, 1966).
Mancano all’appello anche 300mila pezzi da 500.000 lire. Messe in circolazione nel 1997, con una tiratura di 380 milioni di pezzi, le banconote da mezzo milione sono state le più preziose mai stampate dalla Banca d’Italia. Rimaste sconosciute alla massa per quasi tutta la loro esistenza, durata appena tre anni, le banconote da 500mila lire sono blu e sono dedicate a Raffaelo Sanzio, del quale riproducono tre opere: l’autoritratto, che è conservato nella Galleria degli Uffizi, l’affresco Il Trionfo di Galatea, nella villa Farnesina, e la Scuola di Atene, nei Musei Vaticani.
La Banca d’Italia non si aspetta un boom di restituzioni. Possibile però che l’imminente cambio di stagione porti fortuna. A Via Nazionale hanno fatto caso che sempre, nei momenti di passaggio dal caldo al freddo, la gente finisce per ritrovare nelle pieghe di un vecchio giaccone o nelle tasche di un pantalone pesante, i preziosi, dimenticati «tagli» e li riporti alla banca centrale.
Spesso le vecchie lire saltano fuori quando muoiono degli anziani, tra i quali c’è chi ancora tiene i soldi sotto al materasso o dentro un baule. Solo al momento del trapasso, questi biglietti vengono fuori. Un funzionario di Bankitalia racconta che nel Sud un giovanotto qualche settimana fa si è presentato con 10 milioni di lire ancora legati con lo spago. Erano del nonno, scomparso da poco.Fino a tre milioni di lire la Banca d’Italia non chiede particolari formalità per cambiare le lire in euro. Oltre questa soglia occorre presentare un documento d’identità.
Spesso in Banca d’Italia si presentano persone con in mano banconote scolorite, appiccicate, sbrindellate, magari con la filigrana penzolante. Sono i biglietti che per errore sono stati lavati e centrifugati, distrutti per sempre. La «quota» di pezzi ormai inservibili rappresenta una discreta fetta delle lire che mai rientreranno in cassa.
Per fare una lira dell’unità d’Italia oggi ne servirebbero oltre 8.577 (quattro euro e mezzo). Per fare una lira degli anni Cinquanta, dopo il boom inflazionistico successivo alla seconda guerra mondiale, ne basterebbero 34.
Secondo le tabelle di rivalutazione Istat mille lire del 1938 equivalgono a circa 845 euro odierni.
«Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la felicità» (Mille lire al mese, Carlo Innocenzi e Alessandro Soprani, scritta per l’omonimo film del 1938)
Format Distributivi del settore moda abbigliamento in Italia: situazione e prospettive del piccolo punto vendita
Trentatreesima puntata
In virtù della rilevanza strategica che rivestono i punti vendita nel panorama attuale, cresce l’importanza e l’attenzione riposta nelle strategie di comunicazione in loco soprattutto nell’immagine del negozio stesso. Martineau(Pierre Martineau, “The personality of the retail store”, Harvard Business Review, 1958) definì l’immagine di un punto vendita come “il modo in cui esso è definito nella mente del consumatore, in parte per le sue qualità funzionali e in parte per un insieme di attributi psicologici”.
È la percezione del consumatore che si confronta con le “promesse” del punto vendita, le quali si manifestano sia nell’aspetto esteriore dell’esercizio commerciale, sia nei fattori intangibili che esplicheremo in questo paragrafo. Tutti questi fattori costituiscono gli elementi di comunicazione che definiscono il modo in cui il negozio si mette in relazione coi suoi clienti, consolidati o futuri, e vanno quindi calibrati in base alle aspettative e agli obiettivi prefissati, ricordandosi sempre che non c’è mai una soddisfazione assoluta del cliente, non esiste il punto vendita perfetto, ma esistono punti vendita che, in un certo momento, in determinate occasioni, per determinati prodotti, soddisfano i consumatori meglio di altri.
L’immagine è quindi formata da una serie di fattori, sia tangibili che intangibili, i quali assumono una diversa rilevanza in relazione a diverse circostanze. Possiamo riassumerli in questo elenco:
Merce. Innanzi tutto conta la qualità dei prodotti e l’assortimento che viene presentato. Anche lo stile degli articoli determina l’immagine del negozio, così come la garanzia che si dà ma soprattutto uno dei fattori spesso preponderanti: il prezzo
Servizio. In un piccolo negozio spesso ci si aspetta di essere serviti dal personale addetto alla vendita, che può aiutare a trovare i prodotti, può consigliare, può proporre. Oltre a questo sono importanti la facilità di restituzione dei prodotti, l’eventuale credito concesso, la possibilità di sconti, la consegna a domicilio, gli orari di apertura, ecc.
Clientela. La clientela acquisita dà l’idea del genere di negozio che stiamo valutando. Un altro motivo di attrazione potrebbe essere l’affinità dell’immagine personale a quella del negozio.
Strutture. Il layout e l’architettura del negozio sono importantissimi. La disposizione della merce, i percorsi, gli strumenti utilizzati per l’esposizione, le luci, le vetrine, sono elementi essenziali per l’immagine che si vuole dare al punto vendita.
L’interno della boutique "La Dea" di Torino, dove gli arredi e i poster pop creano un’atmosfera giovanile, allegra e intrigante
Comodità. Questa è una scelta che si deve fare in sede di progettazione e di localizzazione del negozio. Alla formazione dell’immagine contribuisce infatti la location e la comodità di parcheggio o la facile raggiungibilità.
Comunicazione. Spesso un biglietto da visita è la comunicazione usata dal negozio per presentarsi, farsi conoscere e promuovere le proprie iniziative. Le insegne, le promozioni sulle vendite, le affissioni danno il senso dello stile utilizzato. Anche i simboli e i colori utilizzati sono determinanti per creare immagine.
Fattori istituzionali. Questi fattori riguardano la reputazione del negozio o dei proprietari.
Atmosfera. Entrando nell’ambiente di vendita c’è un intangibile sensazione che contribuisce a formare l’immagine. È un mix di tutti i precedenti punti analizzati che, infatti, non sono slegati l’uno dall’altro, ma fanno tutti parte di un disegno complessivo.
Tutti dicono di non aver visto Sanremo, ma tutti ne parlano. Io ho visto la seconda puntata (quella di martedì), alcuni spezzoni prima di uscire e poi in radio ho sentito quasi tutte le canzoni e interviste varie. Ecco le mie tradizionali impressioni:
Celentano: "doveva" sparare le sue bombe, altrimenti a cosa lo pagano a fare? Lo pagano perchè sapevano già che avrebbe detto qualcosa che avrerbbe fatto scalpore. A qualunque costo (appunto).
Morandi: mi sembra bravo come conduttore, però adeso basta, avanti un altro.
Volete che vi faccia un pronostico su chi vince? Proviamo, io dico NOEMI, vediamo se ci azzecco.
Lucio Dalla: ma che duetto sarebbe il suo? Diciamo che la sua è una comparsata. Altrimenti tutti gli autori di canzoni dovrebbero salire sul palco.
Arisa: ha voluto dimostrare che non è solo la stupidotta cantante di canzoncine. Brava.
Mi sembra che ci siano parecchie canzoni che abbiano possibilità di classifica: Noemi, Arisa, Dolcenera, Emma, Renga, Ninazilli E anche quelli che sto per citare.
Giggggidalessio e la Bertè: li "odio", ma quando ieri sera sono usciti sul palco con DJ "Jafar" Get-Far FARGETTA… beh ragazzi… che tamarroni. Secondo me il remix dance può funzionare! E qui cito anche Martin Solveig che ho visto l’altra sera reintrando a casa: siccome DJ quando sono ospiti in televisione non fanno altro che far finta di premere dei tasti a caso su un mixer o robe simili, almeno lui si è sforzato di (far finta di) cantare…
Mi sono perso la serata con gli ospiti stranieri, mi hanno detto che Brian May abbia spaccato! E, a proposito, il tizio col violino…David Garret: l’esecuzione di Smells Like Teen Spirit era proprio wonderful.
Ma la sconosciuta tra i big chi era? E tra le nuove proposte (scusate, ma io dico ancora "big" e "nuove proposte" come 25 anni fa…) ancora prima che iniziasse il festival dicevano che avrebbe vinto il quindicenne scapigliato, visto che è già molto conosciuto e ha un sacco di fan su FB. Buon per lui.
Stasera gran finale. Se volete essere sicuri di addormentarvi, seguitelo alla radio, ma non su RTL, sulla RAI dove i due telecronisti Emanuele Dotto e soprattutto Carlotta Tedeschi vi faranno secchi in pochi istanti.
Sono andato a vedere il film A.C.A.B. tratto dal libro di Carlo Bonini.
Il film è ben fatto, parla di una squadra di celerini (pardon, adesso si chiamano agentidelrepartomobiledellapolizia), dove arriva una nuova recluta, un ragazzo che sceglie la Polizia perchè è l’unico lavoro onesto che gli potrebbe capitare, e il reparto Celere perchè è quello che paga di più. Fa un po’ fatica ad ambientarsi, si trova catapultato in un altro mondo, dove stavolta è lui ad avere il manganello in mano.
I suoi nuovi "amici" sono Mazinga, che ha problemi di imcomprensione col figlio, Negro, che ha problemi con la moglie straniera e Cobra a cui pende sulla testa una denuncia per aggressione. Questi agenti sfogano i loro problemi anche sul lavoro, facendo anche gli "straordinari" per mazzuolare qualche teppista o "tirare le orecchie" a qualche sbandato. La nuova recluta non riesce a capire fino a che punto si può arrivare, finao a quando bisogna essere "fratelli" e pararsi il culo l’un l’altro.
Il film ha sullo sfondo una serie di fatti di cronaca realmente accaduti: i racconti della scuola Diaz di Genova, l’uccione di Gabriele Sandri, la morte dell’agente Raciti a Catania, lo stupro e omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, i pestaggi di stranieri da parte di gruppi di fascisti, ecc.
La morale del film è: ci sono i teppisti "in borghese", ma talvolta quelli "in divisa" non sono troppo diseguali.
Come ben sapete, e se non lo sapete ve lo dico io, gli sci sono formati dallo sci (appunto) e dall’attacco di sicurezza. Ormai la grande maggioranza di questi attrezzi escono già dalla fabbrica con gli attacchi integrati, regolabili dal venditore in base allo scarpone, al peso e stile di sciata del cliente. Fino a qualche anno fa invece la normalità era che gli attacchi erano un’entità separata dallo sci, e occorreva fissarli al momento dell’acquisto.
Noi venditori abbiamo sicuramente la vita più facile coi nuovi modelli: prendi un cacciavite e in meno di 5 minuti fai tutte le regolazioni. Sono rari gli sci a cui devi mettere gli attacchi ancora "a mano".
Io ho imparato a fare questo lavoro fin da ragazzino. Nel negozio dei miei genitori era mia mamma la "ski man" (le "ski woman" non erano contemplate a quei tempi..e forse neanche a questi tempi!) e gli attacchi li montava lei. Ha partecipato anche a diversi stage organizzati dalle ditte produttrici per spiegare le nuove tecnologie e le nuove tecniche. Quando avevo circa 12/13 anni ho iniziato a farle da assistente. Lei mi ha insegnato la tecnica, i trucchi e il fatto che ogni lavoro è diverso dall’altro. Ho avuto un altro maestro, Fiorello (no, non quello della TV!) che mi ha insegnato la precisione.
Una volta venduti gli sci, li si mette sul banco di lavoro e si fermano in una morsa. Poi si prende una "maschera", detta anche "dima". E’ un aggeggio, fornito dalla ditta produttrice degli attacchi, che permette di fare i fori sullo sci nel punto giusto, una volta regolata in base alla lunghezza dello scarpone. Una gran bella comodità: prima ancora si faceva tutto a mano, occorreva fare dei calcoli e delle misurazioni precise al millimetro per individuare il punto giusto dove forare.
Si fissa la maschera sullo sci, la si sblocca, la si regola in base allo scarpone del cliente e poi la si blocca. A questo punto la si posiziona in modo che, una volta finito il lavoro, la metà dello scarpone risulti in un punto ben preciso dello sci (che non è la metà, ma un po’ più indietro verso la coda). Per fare questo c’è un segno sulla maschera che deve essere allineato ad un segno ben preciso sullo sci (anche questa operazione una volta andava fatta a mano, segnando con una squadra e una matita un punto dello sci e poi facendo dei calcoli)
Ora bisogna forare. Per prima cosa bisogna scegliere la punta del trapano da usare. Le punte sono un mix tra quelle per il legno e quelle per il metallo. La cosa simpatica e utile è che sono costruite in modo che, anche volendo, il foro risulti di una lunghezza predefinita. I diametri più comuni sono quelli da 3,5 e da 4,1 millimetri. Le lunghezze variano da 7 a 10 millimetri. Solitamente gli sci meno strutturati, come quelli da bambino, necessitano una punta piccola e corta, viceversa per gli sci molto tosti occorre quella grande. In ogni caso la punta più grossa è andata via via scemando di utilità, in quanto da una decina di anni gli sci hanno una struttura esterna molto meno rigida di una volta e si forano meglio.
Ricordo quella volta che mi è stato concesso di preparare il mio primo sci tutto da solo: era per la morosa di un ragazzo di Brallo, il quale mi disse: "Sei bravo, eh? Chissà quanti ne hai già preparati". La morosa, attuale moglie e madre di figli, è tuttora viva e vegeta, quindi mi è andata bene.
Certo, negli anni gli errori non sono mancati: sbagliare maschera, non regolarla sulla lunghezza dello scarpone, perdere una vite… insomma il campionario dei casini combinati è vario. Anche qui c’è da dire che negli ultimi anni gli errori si sono praticamente azzerati, vuoi per l’ormai più che ventennale esperienza, vuoi per il sopracitato meccanismo di integrazione sci-attacco che lascia ben poco spazio al lavoro dello ski-man (e quindi anche ai possibili errori). (ecco, adesso me la sono gufata, speriamo bene)
E poi ricordo quel periodo, primi anni ’90, in cui gli sci erano durissimi e si faceva una fatica bestia a far entrare le viti, e dovevi avvitarle e svitarle più volte per cercare di farle entrare. E quella volta che mi sono fatto un bel taglio sulla mano perché ho "pulito" il foro appena fatto, dimenticandomi delle schegge di metallo. E quella volta che si è rotto il filettatore dentro al foro. E quella volta che era tutto giusto: maschera, regolazioni, punta, ecc, solo che per un inspiegabile motivo l’attacco era di un particolarissimo modello che aveva altri fori. E quei pomeriggi in cui mi capitava di preparare anche una ventina di paia di sci. Ovviamente tutti uno diverso dall’altro e tutti di clienti con una fretta pazzesca. Eh si, perché magari stavano lì tutto il pomeriggio a pensarci, poi una volta decisi pretendevano lo sci pronto immediatamente. E allora venivano lì a vedere, a chiedere, a insistere, a parlare, a curiosare… insomma a rompere le scatole: il modo migliore per farmi deconcentrare e quindi perdere ancora più tempo.
I più facili da montare erano i Salomon, i più complicati gli ESS / Atomic, ma anche i Tyrolia Freeflex. Non mi sono mai piaciuti i Look. I Geze e i Marker erano senza infamia e senza lode. Parlo per il lato montaggio, chiaramente, non discuto sulla validità tecnica.
Attualmente quasi tutte le marche si sono integrate: la Rossignol faceva solo sci, adesso fa sci, attacchi (rilevando la Geze e la Look) e scarponi. Salomon faceva attacchi, adesso fa anche sci e scarponi (rilevando la Sangiorgio). Nordica faceva scarponi e adesso da anche sci e attacchi, ecc. Ormai offrono tutti la gamma completa. E, come detto, gli attacchi sono spesso integrati nello sci: si montano ad incastro oppure con le viti, ma occorre più forare direttamente lo sci, quindi sempre più il trapano e soprattutto le maschere diventano strumenti non necessari.
Era ora, aggiungo io, e chiudo. Buona sciata a tutti.
A grande richiesta vi darò la mia preziosa e segretissima ricetta dei miei biscotti alle noci.
Io sono un avanguardista della cucina, e non seguo le ricette in modo sistematico, preferisco modificarle a mio piacimento in base al mio gusto personale e a come sta andando quello che sto preparando. Pertanto non stupitevi se non sarò preciso nelle quantità e nei tempi.
Occorrente:
Burro
Zucchero
Farina
Noci (ma andrebbero bene anche nocciole o mandorle)
Prendete una bella padella (io la uso bella larga) e schiaffateci dentro un sacco di burro, diciamo circa 400 grammi. Fatelo sciogliere. Non dovete farlo friggere, solo sciogliere. Usate un cucchiaio di legno per facilitare la cosa e per "sbatterlo" un po', come fosse un uovo. A questo punto versatelo in una bella scodellona grande (una "biella") e aggiungete lo zucchero, almeno la stessa quantità, a poco a poco in modo da farlo sciogliere, se possibile. A questo punto aggiungete la farina, sempre a poco a poco, in modo che non si formino dei grumi. Impastate e impastate e impastate, finchè non otterrete una specie di pasta abbastanza consistente. Io uso circa mezzo chilo di farina.
Nel frattempo prendete un saccheto di noci e sbriciolatele. Io che sono pigro le taglio sul tagliere col coltellaccio, come fosse prezzemolo, perchè farlo "a mano" mi tedia. Versate le noci nella pasta e mescolate il tutto. L'ideale sarebbe poi metterla su un piano e tirarla col mattarello. Io non dispongo di tale attrezzatura e la schiaccio con le mani. La pasta, a causa del burro, è una roba abbastanza unta e bisunta.
Prendete una bella teglia, imburratela ben bene. Tagliate dei "pezzi" della vostra pasta. Io nel mio piccolo uso un bicchierino per fare dei biscotti rotondi. Solo che poi mettendoli in forno, probabilmente perchè la mia pasta è sempre troppo poco consistente, si sciolgono un po' e diventano quadrati :-)
Mettete i vosti biscotti nella teglia e infornate. Ci vuole abbastanza tempo. Io farei così: li metto in basso a fuoco alto in modo da dargli una botta di fuoco, poi li sposto in alto e tengo il fuoco basso e li tengo un bel bel po'. Ma proprio un bel po', diciamo una quarantina di minuti.
Cmq basta aprire il forno ogni tanto e dargli un'annusata, un'occhiata e magari un assaggino. Quando li reputerete abbastanza pronti spegnete pure, raffreddandosi acquisteranno ulteriore consistenza.
Gli ingredienti che vi ho detto producono un paio di teglie di biscotti. Se ne volete fare una sola, dimezzate gli ingredienti (così potete anche sperimentare se vi vengono)
Sono biscotti dietetici, con poche calorie e pochi grassi. Un biscotto equivale a un pasto completo.
Visivamente fanno abbastanza schifo, è una parte che devo ancora migliorare. L'importante è che siano buoni :-)