Considerazioni sparse su Facebook da quando non sono più iscritto.
Trovo della gente che dice: "passo ore su FB". Ore? Io ci passavo 5 minuti. Nel senso che FB non è un sito di interattività on-line (a parte la chat). Io mi collegavo, leggevo le novità, lasciavo messaggi ed eventualmente rispondevo a quelli che mi avevano lasciato… e stop. Lasciavo ovviamente la finestra aperta per tutto il tempo che stavo al pc, ma non stavo "su FB" per ore!!! Che cavolo ci fai per ore? Capisco le prime volte che ti fai passare tutti i tuoi contatti, ma poi? Boh. Per me aveva la stessa perdita di tempo delle email: quando ti colleghi leggi le ultime, poi tieni il client aperto per sapere se nel frattempo te ne arrivano e prima di scollegarti da un’ultima occhiata. Stessa cosa con FB, quindi per me NON era una perdita di tempo… o perlomeno relativa.
Il fenomeno FB è esploso in modo esponenziale: ogni giorno senti di persone, magari di cui non sospetteresti mai, gente che non sa la differenza tra un tostapane e un computer, che si è iscritta a FB. Persone che non usano nessun tipo di instant messenger, eppure che sono state conquistate da questo social netowork. Ieri leggevo che in tutto il mondo gli iscritto sono 120 milioni: vi rendete conto di che mole di dati ha in mano mister Zuckerberg? Che bello, dopo il "sogno americano" esiste ancora il sogno di Internet, quello dove lo studente universitario diventa miliardario grazie a una trovata geniale, come Filo e Yang, come Brin e Page, and so on..
Non c’è giorno che un giornale, un telegiornale, una rivista, non parli di FB. La scorsa settimana è uscito un libretto in allegato al Sole24h che parla di FB spiegandone i pregi, i difetti, perchè fa bene, perchè fa male…come le nuove medicine insomma.
Emblematico il caso di una ragazzo che conosco. Lo trovo tempo fa al bar e per prima cosa mi dice: "Ma tu sei su Facebook? No perchè altrimenti diventavamo amici". Ormai invece di dire "Ciao, come stai?" si dice "Ciao sei su facebook?"

Io alterno momenti in cui ho una crisi di astinenza enorme a momenti in cui mi sento "superiore", come quando trovo gente che mi chiede: "Sei su FB?" e io me la meno perchè non ci sono (una chiara sindrome snobistica). In realtà di quei personaggi mi interessa meno, perchè se è gente che incontro nella real life non ho bisogno (oppure ho meno bisogno) di comunicare con loro via FB. In realtà a volte tramite FB riesci a comunicare, nei modi e negli argomenti, in modo diverso. E’ più immediato di altri strumenti e meno formale di altri. Un po’ come lasciarsi i messaggi sul frigorifero. Ma quelli che mi mancano sono le persone che vedo raramente o praticamente mai. Gente che vedo una volta all’anno, o anche meno, gente che non vedo da anni… era un bel modo x rimanere in contatto…
Ogni tanto però è bello anche stare un po’ offline. Come quando da piccolo non vedevo l’ora che fosse estate perchè a Brallo arrivavano tanti ragazzini e poi mi ritrovavo a desiderare di stare una giornata da solo, immerso nei miei boschi, nei miei pensieri e nella mia solitudine. Come quando è bello stare col telefono spento.
Comunque, tornerò su FB, prima o poi tornerò, magari un po’ più consapevole degli usi e degli abusi che si possono fare di questo strumento.
Il mio personaggio preferito di 




Sono degli involtini speziati di carne di cavallo ripieni di lardo, coriandolo, pepe, peperoncino, aglio e prezzemolo cotti alla brace. La ricetta nasce nel XVI secolo, quando il famigerato Ugo di Moncada, inviato da Carlo V, diede l’avvio ad una serie di intrighi in collaborazione con i Colonna. 
Oltre a questa crisi, ingigantita dalle paure fomentate dai giornalisti, a preoccuparmi c’è anche la notizia di continue nuove aperture di Centri Commerciali. Io da cliente sono abbastanza un fanatico di Centri Commerciali. Quando facevo ingegneria prendevo l’auto e da Pavia me ne andavo nell’hinterland milanese per giracchiare in questi megastore e mi chiedevo come mai qui in Oltrepo non ce ne fossero. Ora è il contrario: c’è una concentrazione quasi maggiore che nel Varesotto, con la piccola differenza che non c’è lo stresso bacino di utenza! Una volta i miei amici di Pavia venivano a fare la spesa all’Iper, adesso con la Bennet e il Carrefour… col cavolo.
Di quale teoria possiamo avvalerci per uscire dall’ imminente recessione in modo rapido ed efficace? Usare la «nuova teoria classica» delle fluttuazioni nata a Chicago negli anni Settanta – che incorpora i modelli di «gestione del rischio» – è inimmaginabile, dato che con il crollo dei prezzi degli asset è proprio questa teoria a essersi dimostrata errata. Alcuni hanno pensato di rivolgersi a John Maynard Keynes. Le sue riflessioni sui rischi e sulle speculazioni sono acute, ma la sua teoria sull’ occupazione è problematica e le soluzioni politiche «keynesiane» sono, nel migliore dei casi, discutibili. Le banche hanno parlato della discesa dei prezzi delle case come se fosse la conseguenza di un qualche shock. Secondo i loro modelli, sono shock casuali a far deviare il prezzo degli asset dai valori previsti. In realtà non sono stati terremoti, periodi di siccità o altri fattori esterni a provocare la caduta dei prezzi. La causa principale è stata una previsione basata su modelli del tutto erronei. Gli speculatori e gli acquirenti di case, pensando che gli affitti o i costi di costruzione sarebbero saliti, contavano sul fatto che nel futuro il prezzo delle case sarebbe aumentato e questo provocava anche un aumento di prezzo delle case esistenti. Ma nel corso degli anni né gli affitti né i costi (in termini reali) sono cambiati. In una situazione del genere, i prezzi (reali) prima o poi devono tornare a scendere. Questo era il mondo di Keynes. A Cambridge, nel suo Treatise on Probability, Keynes mostrò come un investitore debba tenere conto di circostanze non note. A Londra gestì un fondo con O. T. «Foxy» Falk e si arricchì, ma fu poi colto di sorpresa dal crollo dei prezzi delle materie prime all’ inizio del 1929. Si rese conto così della fragilità delle certezze degli investitori. Quando gli investitori cominciano a ritirarsi, il prezzo dei beni, che in precedenza aumentava, dapprima fluttua, e alla fine precipita insieme alle convinzioni su cui si basava. Nella Teoria generale del 1936 Keynes affermò che il prezzo degli asset era determinante per l’ occupazione. Se un cambiamento nel modo di sentire della gente provoca il crollo dei prezzi degli asset (insieme a quello delle azioni e delle case), gli investimenti si riducono e l’ occupazione si contrae (aumenta la disoccupazione), soprattutto nelle industrie di beni capitali (capital goods). Sfortunatamente, da allora nulla andò più bene. Keynes fece un grave errore, non distinguendo tra una caduta dei prezzi degli asset dovuta a cause monetarie – un aumento esogeno, o autonomo, della domanda di denaro – e una caduta dovuta a cause che non hanno nulla a che fare con l’ offerta e la domanda di denaro – ma dipendono, per esempio, da una minore fiducia negli investimenti azionari o nel settore immobiliare. Il primo fenomeno potrebbe essere risolto con mezzi monetari: la banca centrale potrebbe accrescere l’ offerta di denaro, risollevando così il prezzo degli asset senza trascinare gli altri prezzi e i salari in un’ inutile spirale di aumenti. La recente crisi della speculazione sugli immobili è però un fenomeno non monetario: deve esserci un calo dei prezzi delle case, in termini monetari, rispetto a quelli dei beni di consumo. Keynes sosteneva che l’ aumento dell’ offerta di denaro potrebbe funzionare anche in questo caso: i lavoratori non sono consapevoli che altrove i salari per lavori analoghi sono saliti come i loro e si astengono quindi dal richiedere salari alti quanto prima, in termini reali; in questo modo le assunzioni sono incentivate e l’ occupazione torna a crescere. Ma continuare a sostenere una ripresa di questo tipo richiederebbe di sicuro un aumento senza fine dei salari, che continui a precedere le aspettative – una prospettiva poco attraente. Keynes pensava sempre di più a misure non monetarie per cambiare il nuovo equilibrio non monetario derivante da una perdita di fiducia degli investitori. Riteneva che anche la domanda dei consumatori incentivasse l’ occupazione. Un aumento della domanda incoraggia, in un primo tempo, le aziende ad aumentare la produzione e ad assumere un maggior numero di lavoratori. Ma in un’ economia aperta quest’ incentivo sarebbe di stimolo soprattutto per i paesi esteri. Nell’ economia globale, l’ aumento della domanda dei consumatori farebbe solo aumentare i tassi d’ interesse, spianando la strada al calo dei prezzi reali degli asset, degli investimenti e dei salari. Keynes poneva l’ accento sull’ investimento come leva per aumentare l’ occupazione. Secondo questa teoria, si potevano stimolare gli investimenti privati attraverso sgravi fiscali, o aiuti alle nuove aziende o a chi assume. Keynes vedeva con favore gli investimenti da parte dello Stato o di imprese statali. Gli americani, con i loro aeroporti da incubo e i ponti che crollano, accoglierebbero volentieri la realizzazione di nuove «infrastrutture». Ci si deve chiedere, però, se un massiccio spostamento di investimenti dai privati allo Stato non soffochi la creazione, lo sviluppo e l’ adozione di idee innovative da immettere sul mercato. La teoria del capitalismo si basa sulla diversità delle fonti da cui possono scaturire nuove idee commerciali, sulla varietà dei gruppi di imprenditori disposti a investire, delle risorse finanziarie – angel investors, venture capitalists e altri – e degli utenti. E si basa anche sull’ importante presupposto che i proprietari di imprese finanziarie e commerciali non debbano render conto a nessuno (se non alla propria coscienza) – e siano quindi liberi di usare il loro intuito, una condizione molto diversa da quella di rigido controllo a cui devono giustamente sottostare i funzionari dello Stato. Un considerevole aumento della presenza del governo nel settore degli investimenti potrebbe quindi limitare l’ innovazione e abbassarne la qualità. Continueremmo a essere in crisi. Alla fine della vita Keynes disse all’ amico Friedrich Hayek che intendeva riesaminare la sua teoria in un libro successivo. Sarebbe andato oltre. L’ ammirazione che noi tutti nutriamo per l’ enorme contributo di Keynes non dovrebbe trattenerci dall’ andare oltre.